Figlio di un orefice e orologiaio, mostrò presto di essere dotato per il disegno (i primi risalgono al 1901). Iscritto nel 1907 ad una scuola commerciale, seguì nel contempo i corsi della Scuola di belle arti della Lonja a Barcellona. Si impiegò come contabile in una drogheria (1910), ma si ammalò e nel 1911 si stabilì nella fattoria di Montroig in Catalogna, che i genitori avevano appena acquistato e che restò uno dei luoghi privilegiati della sua ispirazione. Ottenne allora di potersi dedicare interamente alla pittura e frequentò a Barcellona l’Accademia di Francisco Galì, il cui insegnamento liberale lo stimolò; si legò, nello stesso periodo, ad artisti catalani, tra i quali il ceramista Llorens Artigas, suo futuro collaboratore.
Nel 1912 la Gall. Dalmau espose impressionisti, fauves e cubisti, e quattro anni dopo Vollard organizzò a Barcellona una grande mostra di arte francese; ciò spiega come tra il 1916 e il 1919 Miró raccogliesse
varie sollecitazioni: quella, piuttosto breve, di un fauvisme decorativo talvolta detto «catalano» (Nord-Sud, 1917: Parigi, coll. priv.); o quella, più marcata, di un cubismo sintetico e deliberato, applicato in particolare al ritratto (Ritratto di Ricart, 1917: coll. priv.). Più decisivi e rivelatori del temperamento originale dell’artista sono i paesaggi eseguiti a Montroig, Cambrils, Prades e Ciurana, e specialmente quelli di Montroig nel 1918 e 1919; chiamati «dettaglisti», rammentano l’ingenuità concertata di un Doganiere Rousseau. Un disegno preciso definisce, infatti, il soggetto, mentre tagli praticati secondo un metodo derivante dal cubismo sintetico svelano in uno spazio bidimensionale la vita segreta della terra; un colore acuto e freddo contribuisce al clima di una «surrealtà» già presentita (Montroig, chiesa e villaggio, 1919: coll. priv.).
A Barcellona Miró conosce Maurice Raynal e Picabia ed espone per la prima volta alla Gall. Dalmau (1918); nella primavera del 1919 parte per Parigi, dove incontra Picasso. Dal 1920 Miró lavorò durante l’estate a Montroig e trascorse a Parigi l’inverno, avendo come vicino di studio, in rue Blomet, André Masson. Il Nudo allo specchio (1919: Dusseldorf, knw), disegnato con crudele acutezza, annuncia la dissoluzione di una realtà che cede alle proprie tensioni interiori. La prima personale parigina di M ebbe luogo nell’aprile-maggio 1921 alla Gall. la Licorne.
La frequentazione degli scrittori e degli artisti del gruppo surrealista confermò l’artista nelle sue audaci trasposizioni; il passaggio all’universo onirico, mezzo fantastico e mezzo familiare, ha luogo nel 1923. La proliferazione dei motivi, legati dall’arabesco e vivacemente colorati, caratterizza ancora la Terra arata (1923-1924: New York, Guggenheim) e il Carnevale di Arlecchino (1924-25: Buffalo, ag), ma la Materìtà del 1924 (coll. priv.), per la sua esemplare economia e per il meccanismo sottile del suo simbolismo sessuale, porta direttamente al periodo surrealista di Miró (1925-27). L’imperativo dell’invenzione spontanea gli consente soprattutto di abbandonare momentaneamente l’investigazione metodica e prudente che, fino ad allora, lo aveva guidato. (Testa di contadino catalano, 1925: coll. priv.; dipinti sul tema del Cavallo da
Circo). Per converso i quadri eseguiti durante i soggiorni estivi a Montroig (1926 e 1927) appartegono a una poetica più concertata, insieme umoristica e tenera, di cui è espressione compiuta il Cane che abbaia alla luna (1926: Philadelphia, am). Miró sfrutterà questa personalissima «figuratività», dopo che l’esperienza surrealistica gli avrà consentito di provare i propri mezzi in un’atmosfera carica di «elettricità mentale» (André Breton).
I tre Interni olandesi (1928) e i quattro Ritratti immaginari (1929) sono il risultato di una genesi complessa; una trasposizione totale viene ottenuta partendo da «eccitatori», come un quadro di Jan Steen per l’Interno olandese II (Venezia, Fondazione Peggy Guggenheim), e numerosi studi disegnati. Si nota nei Ritratti k composizione del fondo a grandi zone di colore piatto, secondo una pratica derivata dall’astrattismo contemporaneo (Ritratto di Mrs Mills nel 1750: coll. priv.). Nello stesso periodo è importante la produzione di «collages», esposti alla Gall. Pierre di Parigi nel 1930 e nel 1931; vi si ritrovano gli elementi costitutivi dello stile di M, ma la manipolazione delle textures e di oggetti diversi (legno, metallo, spago, carta) stimola la sua conoscenza diretta dei materiali scelti, sempre di grande austerità. Dal 1929 (anno del suo matrimonio) al 1936 soggiornò di più in Catalogna e a Montroig; nel 1932 espose a New York presso Pierre Matisse, con cui da allora rimase in contatto.
L’opera litografica, che si sviluppò soprattutto dopo la guerra, ebbe inizio nel 1930; Miró incise la prima acquaforte nel 1933. II tema della donna, reso fortemente astratto, ricompare nei dipinti su carta Ingres a partire dal 1931. Nel 1932 (dipinti su legno), le forme si strutturano, mentre l’arabesco e la macchia, di una bella sonorità, ritmano i fondi delicati. Le «composizioni» si alternano a figure di una forza espressiva lirica violenta (Donna seduta, 1932: New York, coll. priv.). Sostenuti da un’abbondante produzione grafica (acquerelli, guazzi, nudi disegnati alla Grande-Chaumière a Parigi nel 1937), questi dipinti detti «selvaggi» (1937-38), di piccolo formato, col loro parossismo angosciato annunciano la guerra di Spagna, che costrinse Miró a stabilirsi in Francia fino al 1940. Nel 1937 il Falciatore, dipinto murale (scomparso) per il padiglione spagnolo all’Esposizione Universale di Parigi, appartiene alla stessa poetica di cui la Testa di donna (1938: Los Angeles, coll. priv.) è la testimonianza nel contempo più aspra e più compiuta.
Questa fase, ancora poco conosciuta, che può considerarsi uno dei culmini dell’espressionismo europeo, terminò piuttosto rapidamente. L’arte di Miró si dischiuse allora in una poesia aerea, particolarmente durante i suoi soggiorni a Varengeville (Seine-Maritime), luogo deputato del surrealismo, ove André Breton aveva già concepito il suo romanzo poetico Nadja. Qui Miró iniziò la serie delle 23 Costellazioni, completate a Palma di Majorca ed a Montroig nel 1941. Precedute da piccoli dipinti su tela di sacco, queste opere sono tra le più alte espressioni della pittura onirica di M. La sua poetica si precisa: la stella, la luna, la donna, i personaggi e le creature sessuate conversano in termini di colori ridenti o gravi, di linee che si scambiano l’un l’altra il più cortese e flessibile saluto.
Nel 1942 Miró tornò a Barcellona. Fino al 1944 si dedicò a lavori su carta nei quali le conquiste delle Costellazioni vengono sfruttate con più leggera gaiezza, e il tema della Donna, uccello, stella prevale durante questo periodo. Nel 1944, Miró si interessò di nuovo alla litografia e cominciò a collaborare col ceramista Artigas. Tre anni dopo si recò negli Stati Uniti per eseguire un dipinto murale destinato a un albergo di Cincinnati; nel 1950 l’Università di Harvard gli commissionò un’altra opera. Lo stile di Miró si adattò facilmente al monumentale, e tale esperienza incitò l’artista, un po’ più tardi, a dipingere in grande formato. Nei quadri di cavalletto, l’arabesco viene fortemente sollecitato, ed i suoi rapporti con lo spazio pittorico vengono modificati dal ruolo della chiazza, di colore, secondo il capriccio di un’invenzione feconda. Così, nel 1949-50, «dipinti lenti» e «dipinti spontanei» si alternano. I primi costituiscono una serie compiuta quanto quella delle Costellazioni.
La cura di Miró per il disegno, per la qualità tattile e cromatica degli sfondi, e per il bilanciato equilibrio di questi due elementi, si dispiega soltanto su formati più vasti e secondo un ritmo più ampio (Personaggi
nel buio, 1950: New York, coll. priv.). I secondi, tutti a chiazze e schizzi, in materiali diversi, attestano fini liberatori e preannunciano alcuni lavori dal 1952 e 1954, nei quali concrezioni granulose e tracciati opachi si accompagnano a un grafismo più grezzo, quasi rustico. Questa semplificazione dei mezzi, in cerca di un’espressione nel contempo brutale e raffinata, trova compimento nell’opera ceramica eseguita con Artigas dal 1954 al 1959, nonché nei pannelli murali nel medesimo materiale per l’Unesco a Parigi (1958) e per Harvard (1960). Per converso, salvo periodici ritorni a schemi precedenti, dal 1960 i dipinti si caratterizzano per una nuova investigazione dello spazio immenso, spesso monocromo, appena animato dal movimento del pennello o da qualche incidente simbolico.
Miró ha saputo talvolta conciliare felicemente le ricerche contemporanee (tachisme, espressione dello spazio totale, distruzione del supporto) con la sua scrittura personale (il Sorriso della stella all’albero gemello
della pianura: coll. priv.); ma la sua grazia nativa e la perfezione del mestiere si ritrovano più spesso nei piccoli formati (studi di Testa, 1974, ove dominano i neri, riccamente utilizzati). La ceramica impegna sempre molto l’artista, e così pure la scultura (marmo e bronzi dipinti: Labirinto, 1968: Saint-Paul-de-Vence, Fondazione Maeght). Due volte ha fornito scene per il balletto: nel 1926, Balletto russo, Romeo e Giulietta, in collaborazione con Max Ernst; nel 1932, Giochi di bambini, di Léonide Massine.
È pure autore di cartoni per arazzi, e la sua opera incisa (acqueforti, legni, litografie) è stata esposta nel 1974 al mam di Parigi, completando così l’importante retrospettiva del Grand Palais. L’arte di Miró presenta una fecondità ed una varietà rare, entro un partito di irriducibile originalità. La libertà interpretativa, unita a quel bisogno costante di fonti nuove che, dopo Montroig, ne alimenta l’opera (lavoro come un giardiniere», confidò nel 1959), fa della sua camera una delle più esemplari dell’arte moderna. Una Fondazione Miró, la cui sede fu costruita dall’architetto Luis Sert, progettista della Fondazione Maeght a Saint-Paul-de-Vence, si trova a Montjuich, presso Barcellona; raccoglie oltre cento tele donate dall’artista e il complesso delle sue litografie e sculture. Miró è rappresentato in tutti i grandi musei e coll. priv. d’Europa e degli Stati Uniti.