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Il termine deriva dall’inglese folklore (composto di folk, ‘popolo’, e lore, ‘sapere’) coniato nel 1846 dall’archeologo inglese William John Thoms per dare una nuova definizione agli studi, chiamati popular antiquities (‘antichità popolari’) in Inghilterra o, diffusamente in Europa, antiquitates vulgares, che a partire dal XVIII secolo si erano sviluppati intorno alla cultura degli strati sociali più bassi.
Inteso come disciplina, il folclore indaga campi in parte diversi fra loro a seconda delle varie scuole antropologiche: mentre in diversi paesi lo studio abbraccia la tradizione non scritta di qualsiasi comunità, in Italia, Francia e Germania prende in esame soprattutto le società più complesse (dove il folclore rappresenta l’espressione, a volte di notevole valore culturale e artistico, delle classi sociali subalterne), riservando all’etnologia l’indagine relativa a quelle più semplici o primitive.
FONTI E CATEGORIE DEL FOLCLORE
Il folclore non è, come si potrebbe credere, limitato alle comunità rurali; la tradizione popolare si è infatti diffusa e sviluppata, con funzioni e modalità diverse, anche nei centri urbani.
Grazie alla ricerca degli storici delle tradizioni popolari, antropologi, etnologi, sociologi, psicologi, linguisti ecc., oggi la letteratura e le tradizioni popolari non sono più considerate elementi pittoreschi o romantici di una società, oppure una forma ‘inferiore’ di cultura rispetto a quella dominante o ‘alta’: il folclore è invece visto come parte dell’evoluzione della cultura e importante fonte d’informazioni sulla storia del genere umano.
La materia folclorica può essere classificata in cinque grandi categorie: idee e credenze, tradizioni, narrazioni, detti popolari e arte popolare. Le credenze rispecchiano l’intento umano di dare una risposta a fenomeni che suscitano l’inquietudine e le speranze dell’umanità: dalle malattie e ai modi di curarle alle speculazioni sulla vita ultraterrena; questa categoria comprende inoltre superstizioni, magia, divinazione, stregoneria. Il secondo gruppo, quello delle tradizioni, riguarda feste, giochi, balli; per estensione vi si potrebbero includere anche la gastronomia e l’abbigliamento. Nella terza categoria, le narrazioni, si trovano le ballate e i vari generi di racconti, il teatro, le musiche popolari, che possono essere in parte ispirati a personaggi o fatti realmente accaduti. I detti popolari comprendono indovinelli, formule magiche, proverbi, filastrocche (come ad esempio le nursery rhymes, molto diffuse nei paesi di lingua inglese). Infine l’arte popolare, la sola categoria non verbale, riguarda qualsiasi forma d’arte che esprima il carattere della vita della comunità.
PRIMI STUDI SUL FOLCLORE
Gli studi scientifici sul folclore cominciarono circa tre secoli fa. Uno dei libri più antichi sull’argomento fu il Traité des superstitions (1679, Trattato sulle superstizioni) dello scrittore satirico francese Jean-Baptiste Thiers. Un’altra opera dello stesso periodo, le Miscellanies (1696, Miscellanee) dell’archeologo inglese John Aubrey, si occupa di credenze e usanze popolari come presagi, sogni, chiaroveggenza e fantasmi.
L’opera più importante sul folclore in generale è Antiquitates Vulgares (1725, Antichità popolari) dell’ecclesiastico e archeologo britannico Henry Bourne, resoconto dei costumi popolari connessi a feste. Reliques of Ancient English Poetry (1765, Reperti di antica poesia inglese), a cura del poeta e vescovo inglese Thomas Percy, è una raccolta di ballate inglesi e scozzesi. Nel 1777 l’ecclesiastico e archeologo britannico John Brand catalogò e descrisse le origini di diverse usanze in Observations on the Popular Antiquities of Great Britain (Osservazioni sulle antichità popolari della Gran Bretagna), divenuto il modello per le successive opere inglesi sull’argomento.
In Germania, le prime opere sul folclore sono dovute al filosofo Johann Herder e ai filologi Jacob e Wilhelm Grimm: Herder pubblicò nel 1778 una raccolta di canzoni popolari tedesche, mentre i fratelli Grimm riunirono una serie di racconti popolari in Fiabe per bambini e famiglie (1812-22).
MODERNI STUDI SUL FOLCLORE
Nell’Ottocento e nel primo Novecento, in Europa aumentò l’interesse per la raccolta e l’analisi del materiale folclorico. Nacquero numerosi giornali e società che si occupavano della registrazione e della conservazione delle espressioni della tradizione popolare. La ricerca del tedesco Theodor Benfey, filologo e studioso di sanscrito, gettò le basi per tutti i successivi studi comparati in questo campo. Le sue teorie furono seguite da studiosi come il classicista e folclorista scozzese Andrew Lang, che scrisse Custom and Myth (1884, Costume e mito), e l’antropologo britannico James George Frazer, autore del celebre Ramo d’oro (1890; ampliato poi nel 1915 in 12 volumi). Le loro opere furono pietre miliari della cosiddetta scuola antropologica negli studi sul folclore.
In Italia, il primo studioso di rilievo fu Giuseppe Pitré. La sua opera principale, ancora oggi fondamentale, è la Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane (1871-1913, in 25 volumi), che illustra i più vari fenomeni folclorici dell’isola; del 1894 è la sua vasta Bibliografia delle tradizioni popolari italiane. Notevoli contributi hanno dato Giuseppe Cocchiara, autore, tra altre opere, di Popolo e letteratura in Italia (1959), ed Ernesto De Martino, acuto interprete delle manifestazioni popolari, autore, tra l’altro, degli importanti saggi Morte e pianto rituale (1958), Sud e magia (1959) e La terra del rimorso (1961).
Già nel 1905, l’Archivio folclorico danese utilizzò il fonografo di Thomas Alva Edison per registrare canzoni danesi, groenlandesi e delle isole Fær Øer. Fra i tanti studiosi scandinavi, il più importante fu il finlandese Antti Aarne, che diede impulso alla ricerca per accertare gli elementi, il luogo d’origine e la data approssimativa delle narrazioni popolari: nel 1910 creò un importante sistema di catalogazione di racconti popolari, in seguito tradotto e ampliato dall’americano Stith Thompson in The Types of the Folk Tale (1928, I tipi del racconto popolare).
SOCIETÀ FOLCLORICHE
Le società folcloriche in Europa e negli Stati Uniti hanno favorito la raccolta (con incisioni su nastro e fotografie) e la classificazione di estesi archivi di materiale folclorico. Queste società di studiosi, che hanno contribuito a fare dello studio del folclore uno strumento prezioso nella ricerca antropologica, etnologica e psicologica, comprendono l’inglese Folklore Society, fondata nel 1878; la francese Société des traditions populaires, che nel 1886 cominciò la pubblicazione della ‘Revue des traditions populaires’; l’americana Folklore Society, fondata nel 1888.
Importante è anche la Folklore Fellows (organizzazione internazionale fondata nel 1907, con sede centrale a Helsinki, in Finlandia): attraverso la rivista ‘Folklore Fellows Communications’, l’organizzazione ha prodotto più di duecento pubblicazioni, tra cui quasi quaranta cataloghi. Anche la Società internazionale per la ricerca sulla narrativa popolare, fondata nel 1959, con sede centrale a Turku (Finlandia), ha dato impulso allo studio del folclore comparato.
In Italia si deve a Pitré, che fu presidente della Società siciliana di storia patria, la fondazione del Museo etnografico di Palermo. A Roma ha invece sede il Museo nazionale preistorico ed etnografico Luigi Pigorini.