Nozione di caso e sua origine: il caso è una modificazione formale della terminazione di un nome con funzionalità morfosintattica. Casus (in greco ptòsis) rende l’idea di caduta; il termine pare derivi da fonte platonica (Teeteto 205D), per la prima volta compare ptòsis nella grammatikè techne; nel passo di Platone si usa il verbo pìpto per indicare il volgersi del pensiero dal moto degli archetipi alle copie: si può sottolineare la distanza (obliquo) o somiglianza (diretto) delle copie rispetto agli archetipi che si trovano nell’iperuranio; sono essi due modi del pensiero di “cadere”, declinarsi dall’uno all’altro modo di considerare questo rapporto. La categoria di caso ha dunque un suo spessore filosofico-ideologico. È presente in questa spiegazione la distinzione tra caso retto e obliquo: il primo è quello dell’essenza, il secondo della copia o dell’accidente, qualcosa di contingente e posto in relazione con altro. Anche l’ordine convenzionale di enumerazione dei casi riflette il moto del pensiero dall’essenza all’accidente. Spiegazione di Prisciano (escludendo vocativo e ablativo): nominativo = casus nominis, genitivo = esprime il vinculum generis, dativo = magis amicis convenit, soprattutto adatto a ciò che è affine, accusativo = magis ad inimicos attinet, si attaglia soprattutto ai contrari, delinea un rapporto di antitesi. L’enumerazione risponde perciò ad un moto interiore.
1) Caso profondo e caso forma: i termini derivano dagli studi di linguistica di John Filmor, studioso statunitense che inaugurò una prospettiva di tipo generativo della grammatica, e distingue tra realizzazione formale di una funzione, e funzione ad essa sottesa; la prima è chiamata caso superficie, la seconda caso profondo: egli lo definisce la percezione primitiva ed elementare alla base della realizzazione superficiale. Tra queste categorie elementari vi sono quella di chi compie l’azione di un verbo non stativo (attore), chi sperimenta l’azione di un verbo stativo (esperimentatore), e di chi subisce l’azione. Un caso profondo equivale a più realizzazioni formali: per esempio il caso profondo oggetto si può realizzare con diversi casi superficie (col genitivo nei verbi di memoria, l’ablativo con il verbo fruor ecc); anche un caso superficie corrisponde a più casi profondi. Definizione operativa di caso profondo (parzialmente distante da quella filmoriana): minimo comune multiplo semantico di ogni caso, base che accomuna macrofunzioni e microfunzioni. Se infatti non esiste differenza a livello denotativo nell’espressione dell’oggetto nei vari casi superficie, esiste invece a livello connotativo.
2) Elenco dei casi profondi:
– Caso profondo del caso nominativo (onomatikè ptòsis): idea di nome, come realtà non solo grammaticale ma anche logica, il nome equivale all’essenza, alla cosa in sé; è un’idea ancestrale diffusa fin dall’antichità, è dunque la più primitiva delle esigenze casuali, quella di chiamare per nome”. La funzione soggetto è una specificazione nell’orizzonte sintattico di questa esigenza.
– Caso profondo del caso genitivo (ghenikè ptòsis): idea profonda di relazione, definizione di oggetti non in base alle loro caratteristiche intrinseche ma alla relazione con altri oggetti. Il possesso definisce la cosa posseduta in base al possessore, il genitivo partitivo definisce la parte in base alla relazione con l’intero; il genitivo di relazione restringe il campo dell’idea espressa dall’aggettivo reggente.
– Caso profondo del caso dativo (dotikè ptòsis): idea di destinazione, persona o oggetto personificato a cui è volta l’azione.
– Caso profondo del caso accusativo: idea di moto, senso lativo, che può essere della meta o del fine e di estensione.
Non si può precisare il caso profondo del vocativo e dell’ablativo, perché il primo non è un vero e proprio caso e fu considerato a lungo un’interiezione, non ha funzionalità morfosintattica ovvero non ha possibilità di cooperare con altre parole nella formazione di un enunciato, non forma legami sintattici organici e fu anche definito parte del discorso a sé stante; il secondo è propriamente latino (latinus casus) e compendia un gran numero di funzioni, è un caso sincretico e non ha una determinazione semantica tale da distinguerlo come caso. Risulta dal sincretismo tra i casi indoeuropei ablativo vero e proprio il cui caso profondo è l’idea di derivazione, locativo, che sottende l’idea di collocazione spazio-temporale, e strumentale sociativo, che esprime la contiguità tra più elementi. Lo strumentale è scomparso precocemente ed ha lasciato tracce solo in qualche desinenza verbale, mentre il locativo è rimasto in alcune desinenze (vedi domi, ruri, nomi di città o piccola isola). Questi casi si sono fusi nell’ablativo per la già presente analogia semantica tra essi, probabilmente il minimo comune multiplo sintattico è il valore circostanziale dei tre casi, ma la questione è problematica: infatti quest’identificazione è avvenuta solo nel latino, mentre in altre lingue indoeuropee quest’analogia non viene percepita e non dà luogo a sincretismo. In greco l’ablativo scompare abbastanza presto, e la sua funzione di derivazione viene accorpata al genitivo, caso sintetico con un maggior numero di funzioni di quello del latino. La legge dell’analogia dunque è operante in modo diverso da lingua a lingua.
3) Funzioni sintattiche fondamentali di ciascun caso:
Sono quelle che maggiormente interessano, ma in tutti i casi restano sparse testimonianze di funzioni asintattiche (0); il vocativo era considerato non-caso proprio per la sua asintatticità.
Schema di suddivisione delle funzioni: 0 = usi asintattici; A = usi attanziali; c = usi circostanziali.
Questa prospettiva di studio della sintassi è data dal testo “Elementi di sintassi strutturale” di Tesnière; alla radice vi è il concetto di valenza verbale, cioè la capacità di un verbo di combinarsi con un certo numero di complementi intesi come indispensabili per completarlo dal punto di vista sintattico. L’uso di un termine chimico come valenza in ambito linguistico evidenzia l’influsso della cultura positivistica sulla formazione dello studioso, poiché proprio in quel periodo, la prima metà dell’Ottocento, nasceva e si sviluppava una glottologia di tipo scientifico, cioè sperimentale. Tesnière individua quattro tipologie verbali in base alla valenza: verbi a valenza zero o avalenti, gli impersonali che non necessitano di alcun completamento sintattico, esempio pluit = piove; a valenza 1 o monovalenti, che necessitano di un solo completamento, l’attante 1 o soggetto (a1); a valenza 2 o bivalenti, completati da due attanti, il soggetto A1 e l’oggetto diretto o oggetto primo A2; a valenza 3 o trivalenti, completati da tre attanti, il soggetto A1, l’oggetto diretto A2 e l’oggetto indiretto o secondo A3.
Questa classificazione dei verbi non è rigida ma fluida, ogni categoria stabilisce una potenzialità d’uso, un numero massimo di complementi che possono saturare le valenze: infatti verbi bivalenti possono essere anche utilizzati con un solo attante. Da ciò consegue che gli attanti si suddividano in obbligatori e facoltativi, che si riconoscono in base ad una prova di eliminazione: ad esempio il verbo obbedire in italiano è bivalente, ma il fatto che possa essere utilizzato con il solo soggetto dimostra che l’attante 2, il complemento di termine, non è obbligatorio; se invece in una frase come “i congiurati uccisero Cesare” si eliminasse il complemento oggetto, si avrebbe un enunciato incompleto e non comprensibile, dunque l’attante 2 è obbligatorio. Tesnière e i suoi continuatori pongono nella categoria dei circostanti tutto ciò che non compare nel novero degli attanti: i circostanti sono completamenti linguistici non richiesti dalla valenza verbale. Per disegnare uno schema degli usi linguistici circostanziali si deve ricorrere alla semantica di ciascun caso, a differenza di quello delle funzioni attanziali identiche per tutti i casi.
– Funzioni circostanziali del nominativo: non esistono; questa prospettiva sintattica privilegia funzioni nominali e pronominali, ignorando quelle di attributo, apposizione e predicativo. I concetti di attributo ed apposizione sono inclusi nel nodo nominale ovvero complesso sintattico formato da un nome qualificato da un altro nome o aggettivo. I concetti di predicato nominale e predicativo sono inclusi nel nodo verbale, costituiscono un unico blocco semantico-sintattico con il verbo. Tesnière si accorse però che, a parità di legami sintattici, esistono differenze di tipo semantico nella connessione tra attributo/apposizione e suo referente; distingue perciò tra attributi/apposizioni definienti e non definienti, i primi non eliminabili senza compromettere il senso, i secondi non obbligatori per la completezza del senso del sintagma, veri e propri circostanti. La considerazione di queste differenze ha spinto alcuni linguisti a collocare tra i circostanti le espansioni al nominativo.
– Funzioni circostanziali dell’accusativo: C1 = accusativo finale, C2 = accusativo di estensione. Le funzioni sono accomunate dall’idea di movimento sottesa al caso. Il fine può essere espresso anche in dativo, con differenze di tipo connotativo: il dativo è caso statico, l’accusativo dinamico.
– Funzioni circostanziali del genitivo: C1 = genitivo di appartenenza, in cui figurano quello di possesso ed il partitivo; C2 = genitivo di limitazione, circoscrive ad un ambito concetti generici: esempio: amor patris, se inteso in senso soggettivo è di appartenenza, se inteso come oggettivo limita ad una figura un sentimento generico; peritus iuris, il genitivo limita ad un campo specifico il concetto di perizia espresso dall’aggettivo.
– Funzioni circostanziali del caso dativo: C1 = dativo di fine; C2 = dativo di attribuzione e interesse.
– Funzioni circostanziali del caso ablativo: si distinguono tre aree corrispondenti ai tre casi che sussume: C1 = ablativo strumentale; C2 = funzione locativa; C3 = funzione di allontanamento (ablativa). In questo modo si distinguono le macrofunzioni dell’ablativo in base ai suoi casi profondi (metodo efficiente dal punto di vista operativo anche se parzialmente incoerente da quello logico).
Qual è la differenza tra attanti facoltativi e circostanti?
Esempi: totum librum legebat: verbo bivalente con attanti 1 e 2, ma il 2 è facoltativo perché legebat può essere usato assolutamente, conservando la plausibilità. Totum diem legebat: verbo monovalente, con attante 1 e circostante temporale. La linguistica funzionalistica propone un esercizio di trasformazione: se è possibile distribuire gli elementi in due proposizioni coordinate sdoppiando l’enunciato, ciò prova che non vi è un legame inscindibile tra i due elementi: legebat et id totum diem faciebat, è possibile; non è possibile con la prima frase.
Analisi di de natura deorum 3
Il sintagma in partis quattuor si può definire dal punto di vista semantico solo in base al verbo cui è legato, non sottende alcuna idea di movimento e non ha un’unità interna sufficiente perché possa essere definito complemento, non può prescindere dal verbo dividunt. Applico lo schema di analisi delle funzioni dei casi al sintagma: funzione sintattica, complementare perché non costituisce uno degli attanti del predicato, ma non implica idea di movimento, nonostante i lessemi di divisione e movimento abbiano in comune nel loro semema il seme del distacco. Definizione di lessema: rappresentazione verbale di un semema. Definizione di semema: insieme di semi, cioè tratti distintivi semantici. Dunque in + accusativo non è complemento di moto a luogo, rientra nell’idea di distinzione e di fine compresa tra quelle generali dell’accusativo complementare. Ciò è confermato dalla grammatica storica, sulle funzioni delle preposizioni segnacaso. Definizione di preposizione segnacaso: in origine le preposizioni erano avverbi con funzione di marca in relazione
alla semantica di un caso. Una marca dell’accusativo complementare finale è in, come ad, è presente l’idea di fine/meta; la funzione di estensione è rimarcata dalla preposizione per. Dunque è il caso che influenza la preposizione ad esso accostata, a seconda della semantica del caso, all’idea che esso rappresenta.
Comunemente l’accusativo ha funzione di attante 1 nelle frasi sostantive affermative all’infinito, ed ha in svariati casi funzione di attante 2, e confluiscono in questa funzione per motivi linguistici e di grammatica diacronica gli accusativi dei verbi relativamente e assolutamente impersonali (es decet fallit paenitet miseret), e negli assolutamente impersonali era in origine un oggetto diretto, poiché anticamente erano usati personalmente con valore causativo (es Ter: non te haec pudent? Queste cose non ti fanno vergognare?); l’accusativo dei relativamente impersonali è invece un circostanziale con valore estensivo limitativo, me fallit potrebbe contenere un accusativo di relazione, quanto a me sfugge. L’accusativo può essere anche usato come oggetto secondo accompagnato dalla preposizione ad, ad te può essere equivalente dal punto di vista denotativo a tibi con verbi trivalenti; in prospettiva evolutiva ha avuto più fortuna nell’espressione dell’attante terzo il costrutto con ad, prevalente nel latino volgare e rimasto nelle lingue romanze. Tra le macrofunzioni dell’accusativo circostanziale vi è quello di relazione, che ha come microfunzioni l’accusativo alla greca e avverbiale; l’accusativo di relazione è un uso traslato dell’estensivo, pur senza idea di movimento (funzione di in partis quattuor). Anche l’accusativo aliquid dipendente da doceo è di relazione, restringe l’ampiezza e settorializza il significato del verbo; aliquem è oggetto diretto, equivalente semantico e sintattico in italiano è istruire, anch’esso bivalente. Vi sono tre tipi di doppio accusativo: oggetto + predicativo, oggetto + complemento di moto a luogo, oggetto+ accusativo di relazione; il predicativo si ingloba nel nodo verbale, quello di moto a luogo nei circostanziali con idea di meta.
Collocazione di ab iis (ibidem): ablativo di allontanamento propriamente detto (la sua macrofunzione), la microfunzione è complemento d’agente. La grammatica considera il complemento d’agente come assimilabile a quello di causa efficiente, con la differenza che usa l’ablativo preposizionale, oltre al diverso significato perc’è l’uno riguarda entità personali o personificate, l’altro le cose; in realtà i due ablativi entrambi circostanti afferiscono a due diverse macrofunzioni, perché quello di causa efficiente è inserito in quella di ablativo strumentale. Di per sé entrambi indicano la fonte dell’azione; ma il complemento di causa efficiente indica più lo strumento con cui si svolge il processo verbale, un complemento di strumento in connessione con un verbo passivo. Il complemento d’agente precisa invece da dove scaturisce il processo.
Collocazione di oratione: funzione di attante 2, è l’oggetto di egere.
Mappatura delle funzioni del caso ablativo (vedi anche Flocchini):
Funzioni attanziali: può esprimere l’attante 1 quando l’ablativo assoluto è considerato sintagma verbale e costituisce una subordinata circostanziale implicita; può esprimere l’attante 2 con verbi come egere, uti, fungi ecc.; può esprimere l’oggetto secondo con alcuni verbi trivalenti come quaero che regge l’ablativo preposizionale.
Collocazione di rebus humanis (dativo ibidem): funzione attanziale, di attante 2 di un verbo bivalente.
Collocazione di negotiis (ibidem): funzione attanziale, di attante 3 di un verbo trivalente.
Mappatura delle funzioni del caso dativo
Funzioni attanziali: può esprimere l’attante 2 con molti verbi; sua funzione fondamentale è quella di attante 3; è assente in latino l’attante 1 in dativo.
Funzioni circostanziali: funzione finale, ridotta e di semplice identificazione; funzione di attribuzione e interesse, a volte difficile da separare dalla funzione di attante 3, esprime a chi va attribuito un oggetto, un’azione, una condizione. Le microfunzioni della macrofunzione di attribuzione-interesse sono: dativo di possesso, dativo d’agente, che di fatto non esprime un’idea del tutto agentiva ma indica l’attribuzione di un compito segnalato dalla perifrastica passiva, dativo etico che sottolinea la partecipazione affettiva all’azione, dativo di vantaggio o svantaggio molto frequente, dativo di relazione o dativus iudicantis che indica nell’ottica di chi si avvera un fatto o un’affermazione, o il dativo in dipendenza di aggettivi.
Mappatura delle funzioni del genitivo
Usi attanziali: non può essere attante 1; è attante 2 con verbi di memoria, di privazione ed il verbo potior nell’espressione potiri rerum; esprime l’attante 3 nel caso dei verbi interest e refert.
Usi circostanziali: c1 = genitivo di appartenenza, c2 = genitivo con funzione limitativa. Nella prima macrofunzione confluiscono le microfunzioni di specificazione, partitivo e soggettivo; nella seconda quelle di genitivo oggettivo, di relazione in dipendenza da aggettivi, e quelli in dipendenza da costrutti verbali come verbi di stima e di accusa o condanna: nel primo caso il genitivo ha valore di misura, nel secondo propriamente limitativo, circoscrive l’ambito dell’accusa o della condanna.