Scrittore russo, Solenicyn combattò volontario contro i Tedeschi, ottenendo diverse decorazioni al valor militare. Nel 1945 venne condannato a otto anni di lavoro correzionale per aver criticato la condotta della guerra da parte di Stalin; da questa esperienza maturò la sua vita di scrittore. Tra le sue opere, edite in Occidente dopo il divieto di pubblicazione in patria, sono da ricordare Per il bene della causa, Minuzie, Il primo cerchio. Dal 1973 al 1975 fu pubblicato il celebre romanzo-documentario Arcipelago Gulag, che denuncia le repressioni attuate in URSS dal 1918 al 1956. Tra i massimi autori del nostro secolo, nel 1970 S. è stato insignito del premio Nobel.
Una giornata di Ivan Denisovič
La pubblicazione di questo romanzo breve si deve all’intelligenza e all’intuito del direttore della rivista, il poeta Aleksandr Tvardovskij e anche al fatto che a Kruscev, allora impegnato nella lotta contro il “culto della personalità” di Stalin, faceva comodo una spietata, lucida denuncia dei campi di lavoro dell’epoca staliniana. L’importanza morale del libro, a parte il suo valore letterario, fu enorme: per la prima volta veniva affrontato un problema, una triste pagina della storia dell’Unione Sovietica, quella legata all’organizzazione dei campi di prigionia per i prigionieri politici (o considerati tali in base a processi sommari). Tutta una folla di vivi si riconobbe nella figura del protagonista, Ivan Denisovič Šuchov: molti per il motivo che l’aveva condotto a diventare prigioniero di un campo, tutti per la vita del campo, attraverso di lui esemplarmente narrata. E il protagonista era riflesso anche dello scrittore, il quale era stato internato per diversi anni in un campo, dopo avere compiuto il suo dovere, combattendo come ufficiale: la sua prigionia era stata provocata solo da alcune sue incaute parole sulla strategia militare di Stalin. Ivan Denisovič, dunque, la cui giornata si svolge all’inizio del 1951 (quando era in campo già da otto anni) era stato chiamato alle armi il 23 giugno 1941. Il contadino Ivan Denisovič fu uno dei milioni e milioni di soldati spediti al fronte nordoccidentale. Com’è noto, l’avanzata tedesca riuscì, dapprima, anche se non specialmente per l’impreparazione sovietica, e specialmente per il fatto che Stalin, nonostante gli avvertimenti, non credeva nell’attacco di Hitler. La situazione su quel fronte era dunque confusa: Ivan Denisovič fu catturato dai Tedeschi; pochi giorni dopo, però, riuscì a fuggire e, fiducioso, ritornò dai suoi. Vigeva allora, per ordine di Stalin, una legge veramente barbara: il solo fatto di essere stati fatti prigionieri significava che si era traditori e vigliacchi, il fatto poi che si ritornasse significava che si era diventati spie dei Tedeschi. Il nostro povero contadino nulla sapeva di tutto questo, disse la verità e questo segnò la sua rovina: fu condannato ai lavori forzati, per essersi dato “volontariamente” nelle mani del nemico e per avere accettato di diventare una spia dei Tedeschi. Ed ecco questo innocente, questo buon contadino russo, onesto, amante del lavoro, che aveva fatto sempre il suo dovere, in tempo di pace come in tempo di guerra, che viene mandato in un lontano campo del nord, a 40 gradi sotto zero, a vivere una vita bestiale, sotto il controllo degli aguzzini e dei cani lupo, tacciato della più ignominiosa vergogna. In campo di prigionia ovviamente si abbrutisce: ed ecco le lotte feroci per impossessarsi di un pezzo di pane, di un mozzicone di sigaretta, di uno straccio per coprirsi meglio contro il freddo; ecco le spie, ecco la vita ridotta a uno stato continuo di degradazione. Ivan Denisovič è un russo, abituato a secoli e secoli di ingiustizie e di oppressioni, quindi non fa altro che accettare il suo destino, pensare a quelli che stavano peggio di lui (ce n’erano), essere contento delle sue “conquiste” (come quella di un cucchiaio), oppure dei lavori fatti con materiale rubato. E poi gli incontri con gli altri prigionieri. E’ una nuova versione d Dostoevskij, in cui la passione non fa velo alla purezza dello stile. Dopo un primo momento di “accettazione”, la critica ufficiale (del resto in concomitanza con l’indebolirsi della posizione di Kruscev) cominciò a criticare il libro e poi a denigrarlo, in quanto avrebbe mostrato solo i lati negativi dell’epoca staliniana. Ma da allora, con grande coraggio e costanza, Solenicyn, che è certo uno dei più grandi scrittori russi del secolo ha continuato nella sua strada: in cui l’alto senso morale, la coscienza del proprio dovere di uomo, il coraggio di scrivere in un mondo che gli è ostile, si uniscono a una sempre più approfondita coscienza poetica: come testimoniano le sue opere, specialmente i maggiori romanzi, Reparto Cancro, Nel primo girone e Agosto 1914.