Una teoria della «forma» quale entità distinta da un «contenuto», in diverse ipotesi di relazione con esso fino al postulato di una indipendenza assoluta, può configurarsi nella storia delle arti e nella critica d’arte a partire dal settimo decennio del secolo scorso, fino agli anni delle prime avanguardie, confluendo poi in parte in alcune esperienze dell’astrattismo subito dopo la prima guerra mondiale, contemporaneamente all’affermazione della Gestaltpsychologie, con cui possono ravvisarsi alcune tangenze.
Piú che di una teoria, è opportuno parlare di indirizzi di pensiero intorno a una problematica comune, individuabili soprattutto nell’area tedesca, anche se in complessa relazione con indirizzi paralleli in altri paesi. Il presupposto piú diretto della nascita di tali indirizzi è la progressiva svalutazione, o trasformazione concettuale, del «contenuto», che, già avviata dai mutamenti nella destinazione sociale del prodotto artistico e nelle rispettive tecniche indotti dalla rivoluzione industriale sullo scorcio del XVIII sec., assume particolare rilievo a partire dall’impressionismo e, contemporaneamente e successivamente, dal simbolismo, quando l’attenzione si sposta definitivamente dal soggetto rappresentato al processo creativo, nei diversi momenti e concezioni incentrandosi sul processo della percezione, sulla struttura dell’opera, sul procedimento di ricreazione interiore della forma.
Nel campo della speculazione estetica, i presupposti si possono rintracciare in Kant, dal quale dipendono in maggiore o minor misura, e in diversi sviluppi e interpretazioni, gran parte delle dottrine qui prese in esame, oggetto delle riflessioni spesso interdipendenti di artisti e teorici dell’arte; ma si può risalire anche alle teorie neoplatoniche, che trovano nell’area simbolista una netta ripresa. Va tenuto presente che l’opposizione della «forma» al «contenuto», nel clima spiritualistico e nella diffusa reazione contro il positivismo al volgere del secolo, riprende talvolta gli argomenti filosofici della distinzione tra «forma» e «materia». Altri presupposti fondamentali, nonostante la (piú apparente che reale) reazione antiromantica delle correnti formaliste, sono proprio nella cultura romantica, nell’importanza attribuita al linguaggio e nell’idea di un’arte che sia creazione piuttosto che imitazione; e ancora, provenienti soprattutto dal territorio francese, le rivendicazioni romantiche dell’«arte per l’arte».
Il formalismo è connesso inizialmente con un atteggiamento di recupero di suggestioni formali, nonché teoriche e terminologiche, provenienti dal neoclassicismo o classicismo romantico, all’interno di un clima simbolista. In questo contesto il primo saggio organico può forse considerarsi Das Problem der Form in der bildenden Kunst (1893) dello scultore tedesco Adolf von Hildebrand. L’attività artistica non rappresenta illusionisticamente un brano di realtà attraverso la forma, bensí diviene «espressione della struttura ossia delle forme esistenti al di sotto della superficie». Il contenuto dell’opera d’arte sarà dunque il linguaggio stesso e il problema della forma consiste essenzialmente nel ritrovare, attraverso la struttura spaziale (giungendo alla «massima intensità spaziale»), l’«unità» fondamentale dell’immagine. Hildebrand distingue una visione da vicino e una visione da lontano, fondando su quest’ultima soltanto, che è visione di superficie piuttosto che di profondità e costituisce un processo di «astrazione», la visione artistica, in quanto «solo dall’effetto dell’immagine lontana è possibile dedurre i valori formali nella loro unità e questo perché solo in essa gli elementi dell’apparenza si presentano omogenei e simultanei».
Molte idee di Hildebrand, per altro verso dipendenti anche dalla teoria dell’Einfühlung, nascono da uno sviluppo delle idee del pittore Hans von Marées e del teorico Konrad Fiedler, che conobbe entrambi; le lettere di Marées costituiscono una fonte importante per la nascita e gli sviluppi del formalismo. La teoria della «pura visibilità» di Fiedler s’innesta a sua volta sul formalismo di Johann Friedrich Herbart attraverso l’estetica di Robert Zimmermann (Allgemeine Ästhetik als Formwissenschaft, 1865) che rinuncia a indagare il «contenuto» per indagare l’«immagine» della fantasia nei suoi modelli e nei suoi simboli, ben distinti nelle arti figurative (materiale tattile da un lato, percettivo od ottico dall’altro) e nella poesia. Herbart, polemico nei confronti dell’idealismo di Hegel, aveva ripreso la distinzione kantiane di «bellezza libera» e «bellezza aderente», concepiva la bellezza come forma libera da sentimento, riaffermava la necessità di una rigorosa distinzione tra le arti, ogni singola arte essendo fondata su proprie specifiche leggi e funzioni. Da questi il puro visibilismo assume anche l’impostazione della distinzione tra «estetico» ed «artistico», sfera del bello e sfera dell’arte.
Fiedler concepisce fin dal suo primo saggio (Die Beurteilung von Werken bildender Kunst, 1876) l’attività artistica non come imitazione, né invenzione arbitraria, ma come «libera creazione», condotta attraverso la facoltà conoscitiva della reine Sichtbarbeit, una facoltà spirituale specifica, non inconscia né di origine divina, ben distinta sia dalla visione ottica che dalla conoscenza intellettuale.
Contenuto dell’opera d’arte è la Gestaltung stessa, la capacità di dar forma alla visibilità pura: «L’attività artistica comincia quando L’“uomo” […] spinto da un’interiore necessità, afferra la massa confusa delle visioni, che lo circondano e penetrano in lui quasi con violenza, con la forza del suo spirito, e la sviluppa fino a darle forma determinata». È evidente l’eredità di Goethe (il processo della Gestaltung, la «necessità interiore»), come anche la presa di distanza sia dall’idealismo romantico, sia da ogni forma di materialismo, nonché di «realismo», in polemica non tanto con Courbet quanto con l’impressionismo francese, cui la teoria di Fiedler è talvolta erroneamente accostata; ed è sulla scia di Kant, ma anche di Schopenhauer, che la teoria muove dal presupposto che nessuna cosa esiste prima di divenire oggetto della nostra conoscenza, e pertanto ciò che la «pura visibilità» crea è realtà autentica.
Nei saggi successivi si sviluppa ulteriormente il suo pensiero, nell’intenzione di affermare l’autonomia del linguaggio in assoluto («il senso che il fatto meraviglioso della lingua possiede non è quello di significare una realtà, ma quello di essere una realtà; poiché ciò che si realizza nella forma della parola non ha esistenza se non in questa forma, la lingua non può dunque significare che se stessa»); di distinguere, e privilegiare, l’espressione visiva da quella verbale, espressione visiva in cui sono le «sensazioni colorate e luminose» fornite dall’organo visivo a formare la conoscenza del reale, con un suo specifico carattere frammentario e labile diverso dal carattere della conoscenza intellettuale. In Der Ursprung der künstlerischen Tätigkeit (1887) è piú volte ribadito il processo dall’oscurità alla chiarezza e si precisa quel passaggio dalla «visione» alla «espressione» che resterà poi fondamentale per le poetiche, non soltanto tedesche, del primo Novecento. Il processo visivo costituisce un unico processo omogeneo, illimitato, che ha inizio nella percezione e culmina in un moto espressivo; un processo interno che si sviluppa in un’attività esterna, l’attività artistica «produttrice di forme visivamente individuabili».
Nonostante la polemica di Robert Vischer contro i «formalisti», in primo luogo Zimmermann, e nonostante egli si inserisca negli sviluppi dell’estetica di Hegel anziché di Kant, la teoria della Einfühlung (empatia o simpatia simbolica) appare strettamente intrecciata a quella della pura visibilità (Robert Vischer, Über das optische Formgefühl, 1873; Johannes Volkelt, Ästhetische Zeitfragen, 1895 e System der Ästhetik, 1905-14; Theodor Lipps, Ästhetik, 1903-1906); e la fusione delle due componenti si riscontra soprattutto negli sviluppi, in direzione storico-artistica piú che puramente teorica, di Riegl e Wölfflin. Sovente considerata meno avanzata per certo psicologismo (Vischer attinge anche a testi di psicologia sperimentale) e contenutismo romantico, in realtà la Einfühlung, a un’attenta lettura, è passibile di un’interpretazione fondata sugli effetti delle forme piuttosto che dei contenuti, e in realtà R. Vischer intende fondare una «simbologia pura delle forme», distinguendo nettamente tra il contestato principio di associazione delle idee nella percezione e il problema piú complesso di una fusione diretta di idea, o rappresentazione, e forma dell’oggetto. Il punto di partenza è, anche in questo caso, l’atto della visione, e nell’atto del «guardare» piuttosto che del «vedere», ossia in una sorta di concentrazione, una particolare tensione nervosa del vedere, il piacere dell’artista deriva da una strutturale somiglianza tra le forme osservate e quelle del proprio corpo, da un’armonia tra soggetto e oggetto, o dall’armonia dei movimenti fisici che le forme impongono per essere percepite. Questa sintonia non sussiste necessariamente tra il nostro fisico e forme organiche, ma si instaura secondo la legge di un ritmo che lascia aperta un’interpretazione astratta.
In polemica con Riegl e Wölfflin, August Schmarsow (Grundbegriffe der Kunstwissenschaft, 1905) muove tuttavia da fonti in parte comuni, nonché dalla comune esigenza di superare la preferenza culturale per i periodi «classici», cui egli oppone l’amore per il medioevo e il barocco. Schmarsow postula una successione storica, piú ideale che cronologica, dalla scultura all’architettura, alla pittura e infine alla musica e alla poesia, in base al progressivo prevalere, sull’elemento «plastico», di un elemento «pittorico», un principio secondo il quale si sintetizzano in un’immagine bidimensionale spazio e corpi e si crea una fusione tra il soggetto e lo spazio; e quindi un’appropriazione della realtà di tipo non «razionale», bensí fondata su un sentimento cosmico. L’«astrazione», ossia la prevalenza di elementi grafici che superano l’espressione plastica, è estremo punto di arrivo nell’evoluzione dell’arte.
L’idea piú fortunata, anche se, come si è visto, non del tutto nuova, della teoria di Schmarsow è quella della Oestaltung, una formazione strutturata superiore all’atto del semplice «formare», legato ad un movimento plastico, mentre all’origine di ogni creazione artistica è un «movimento espressivo».
Le teorie formaliste, di cui va almeno ricordato il risvolto costituito, in ambito musicale, da Eduard Hanslick, sostenitore di un’idea musicale assolutamente indipendente dall’espressione di contenuti oggettivi, letterari, sentimentali, hanno avuto sviluppi considerevoli, dalle categorie visive di Riegl e di Wölfflin utilizzate a rivalutare periodi anticlassici, a paralleli e continuatori, in ambito non tedesco, come Jules Laforgue e Roger Fry, fino a Henri Focillon, Bernard Berenson, Roberto Longhi. Tali sviluppi investono anche le teorie, soprattutto in direzione astrattista, sorte nell’ambito delle prime avanguardie artistiche: nota è tale componente negli scritti di Kandinsky pubblicati nel 1912.
Le teorie della forma elaborate nel corso degli anni ’20, soprattutto nell’ambito del Bauhaus, risentono poi per molti aspetti dell’influenza della Gestaltpsychologie; e lo stesso Kandinsky negli scritti di questo periodo sintetizza motivi derivati dalla Einfühlung e dal gestaltismo. La Gestaltpsychologie, inoltre, ha influenzato numerosi teorici e critici di direzione formalista e, piú tardi, strutturalista, ed è forse Rudolf Arnheim l’anello di congiunzione piú significativo tra la speculazione degli psicologi e quella estetica in tale ambito.
La psicologia della Gestalt, annunciata da uno studio di Wertheimer sulla percezione visiva del movimento pubblicato nel 1912 e in parte precorsa da Christian von Ehrenfels (Über die Gestaltqualitäten, 1890), nasce con la rivista «Psychologische Forschung», fondata nel 1921 da Max Wertheimer, Kurt Koffka e Wolfgang Köhler. Il principio fondamentale su cui essa si imposta è che, accertata una corrispondenza tra le strutture fisiche e biologiche e le strutture psichiche, una Gestalt (configurazione) non è riducibile alla somma delle sue parti, ma è una unità organizzata nel suo intero complesso. In particolare, contro le teorie associazionistiche e riprendendo alcuni postulati della tradizione kantiane, si considera l’atto percettivo non costituito dalla somma di momenti singoli, bensí come un atto che coglie complessivamente determinate forme o configurazioni già presenti in quanto tali nei processi cerebrali; e tutto ciò in una dinamica tendente ad assumere una gute Form, una forma ottimale, ossia una struttura dotata al massimo di regolarità, equilibrio e simmetria (W. Köhler, Gestaltpsychologie, 1929).
Secondo Arnheim nell’arte agisce sempre un Gestaltprinzip che è solo in rapporto indiretto con il «contenuto» del dato naturale. Per il bambino, come per l’uomo primitivo e per l’artista, le forze che costituiscono la dinamica visuale non sono inerenti agli oggetti fisici, bensí risultano da una Einfühlung, da una «proiezione» della coscienza preformata sull’oggetto da esperire. L’organo visivo, che di per sé tende a una condizione di quiete e di equilibrio, è continuamente sollecitato dall’energia luminosa che gli fornisce informazioni sugli oggetti; e tali informazioni l’artista, in una sorta di «duello», tende a disporre in un ordine che costituisce l’immagine. Arnheim, come già avevano fatto Riegl e Wölfflin, e sensibile anche al pensiero freudiano non volgarmente inteso, previene o confuta la critica a un presunto formalismo astratto dalle piú complesse componenti spirituali, culturali, sociali dell’operazione artistica, avvertendo che la struttura dell’immagine all’interno del suddetto processo è condizionata oltre che dalla struttura delle immagini degli oggetti esterni e dalle forze formative dell’organo visivo, dalla tendenza dell’organismo a un comportamento attivo, ad osservare, scegliere, comprendere quando riceve stimoli esterni; nonché da comportamenti, stati d’animo, temperamenti, conflitti interiori e via dicendo. Attraverso tali indicazioni, e attraverso successivi, ulteriori sviluppi, il gestaltismo può considerarsi tra le componenti dello strutturalismo.