Il concetto di «esposizione» si affacciò tra il Sei e Settecento, con quell’altro fatto d’ordine economico delle «fiere». Delle prime mostre in Italia ci sono rimasti pochissimi catalogni, testimonianza importante di quelle allestite a Bologna, sotto il portico dei Servi, od organizzate a Roma dai Virtuosi al Pantheon, dove Velásquez espose il Ritratto Juan de Pareja (New York, mma) nel 1650. A Venezia si esponevano i quadri a San Marco o a San Rocco: ne rimane una testimonianza pittorica, nella Festa a San Rocco (Londra,ng) dipinta dal Canaletto intorno al 1730. La consuetudine delle esposizioni fiorentine, che risaliva al Gran Principe Ferdinando de’ Medici, vede nel 1767 la mostra organizzata nel secondo chiostro della Santissima Annunziata, in occasione delle nozze di Pietro Leopoldo; sono soprattutto pitture contemporanee, vedute marine e paesaggi (Vernet, Zuccarelli, Zocchi).
In Francia gli artisti erano soliti esporre i loro quadri durante la processione a Piace Dauphine chiamando la mostra Salon de la jeunesse (di artisti non ancora ammessi all’Accademia); così si fanno conoscere Chardin o Lancret, ma la prima esposizione regolamentata di belle arti, a carattere biennale e finanziata dallo stato, si ebbe già dal 1673: il salon, che permetteva ai membri dell’Accademia Reale di esporre le proprie opere. Nel corso del XVIII sec. le prime m nascono tutte in rapporto alle accademie, come dimostrazione pratica della loro attività. Ricorda Pevsner: «Caratteristica che si riscontra dappertutto di chiara derivazione francese, è quella delle esposizioni accademiche, organizzata ad intervalli regolari.
Nella maggior parte delle capitali si trattava delle prime esposizioni che mai fossero state tenute. È questo il caso di Berlino (1786), Dresda (1764), Copenhagen (1769), Stoccolma (1784)». Queste m dovevano apparire (in un mondo senza cinema) quasi grandi spettacoli popolari, come suggerisce il numero dei visitatori che affluirono alla prima esposizione di Londra, nel 1760, dove furono venduti oltre seimila cataloghi. In Inghilterra il gruppo di artisti che faceva capo all’Accademia privata di St. Martins organizzò, appunto nel 1760, la prima mostra pubblica d’arte presso la società che sarà nota come Society of Arts. Nel 1761, cominciò a organizzare esposizioni con il nome di Society of Artists of Great Britain; tra i suoi membri c’erano tutti i principali artisti inglesi. Questi stabilirono (1768) quali due principali scopi della futura accademia «l’istituzione di una Scuola o Accademia di Disegno ben organizzata a uso degli studenti d’arte, e un’esposizione annuale aperta a tutti gli artisti di peculiari meriti». Indubbiamente anche a Parigi e in altre capitali europee le esposizioni avevano avuto la loro importanza, ma mai era stato loro riservato un posto così rilevante nella struttura di un’Accademia, non soggetta all’autorità dello stato; l’introito delle mostre fu di quattrocento sterline all’anno fra il 1785 e il 1795.
In Francia l’ufficialità dei salons esalta la pittura di storia che recita la parte di protagonista come grande pittura, anche oltre i confini. Nella seconda metà del Settecento i prestigiosi salons vedono Diderot che inaugura la tradizione degli scrittori che in veste di critici recensiscono le opere esposte; ma i suoi scritti (Salon 1759 e successivi), circolano, analogamente ad alcuni suoi romanzi ritenuti libertini, in forma manoscritta e vedono la luce a stampa solamente nel 1798. La momentanea abolizione dell’Accademia e l’apertura nel 1791 del salon a tutti gli artisti, previa la selezione di una giuria, non muta la tendenza delle scelte per i dipinti di storia, ma solamente la sua funzione di esempio civile e morale: dopo gli eroismi repubblicani, e le conquiste napoleoniche, sarà la volta delle restaurate virtù dei Borbone; ancora nel 1819 un’opera di intenso messaggio civile come la Zattera della Medusa sarà esposta al salon.
Invece nel 1826 è una galleria privata, la Galleria Lebrun che inaugura una mostra di pittori francesi da David a Delacroix destinata a raccogliere fondi per la causa greca esponendo La Grecia sulle rovine di Missolungi di Delacroix (Bordeaux, mba), il cui significato simbolico rimanda alla dolorosa condizione del popolo oppresso.
In Inghilterra le esposizioni a carattere ufficiale si tenevano sempre all’interno dell’Accademia; dopo il grande periodo romantico che vede protagonista la pittura di paesaggio di Turner e Constable, nel 1849 espongono, per la prima volta, i preraffaelliti. Il dipinto La fuga di Madeline e Porfirio di William Holman Hunt (Londra, Guildhall Art Gallery; in catalogo figurava accanto ad una poesia di Keats, The Eve of St. Agnes) esposto alla ra nel 1848, suscitò l’ammirazione di Dante Gabriel Rossetti, e nel medesimo anno si fondò il Pre-Raphaelite Brotherhood e con la sigla della confraternita PRB vennero esposti i dipinti di Hunt e Millais all’Accademia e di Rossetti alla Free Institution.
La situazione italiana preunitaria rispecchia la frammentarietà degli stati. Continuano le esposizioni legate alle accademie (Milano, Torino, Roma, ecc.); a Roma inizia l’attività la Società degli amatori e cultori di belle arti che promuove mostre a partire dal 1830 dove protagonista dell’esposizione è il direttore dell’Accademia di Francia, Horace Vernet. Delle m accademiche di Brera si ricorda quella particolarmente ricca del 1837. La seconda società promotrice, dopo Roma, sarà quella di Trieste, che intensificherà i rapporti con le principali città dell’Impero Asburgico (1840), e poi, due anni dopo, la società promotrice di Belle Arti di Torino. A Firenze dal 1845, una società promotrice organizzerà le m nel cui ambito esporranno i primi macchiaioli. La diffusione di queste m suscita l’interesse collezionistico dei privati, che, sia pure in misura minore rispetto al collezionismo pubblico, acquista un certo peso; tuttavia l’offerta degli artisti è esuberante rispetto alla richiesta.
In Francia, con Luigi Filippo, la giuria dei salons ritornò ad essere composta dai membri dell’Accademia che riportarono la situazione sotto il loro completo controllo, impedendone l’accesso a tutti gli artisti di tendenze differenti. I pittori allora fondarono l’Association des artistes, composta da circa tremila membri tra i quali Daumier e Delacroix. In seguito alla rivoluzione del 1848 la Repubblica apri il primo salon libero al Louvre; Courbet espose sette opere ottenendo i primi riconoscimenti. Nel 1855 il salon fu annesso all’Esposizione Universale; in aperta polemica e con cinquanta opere esposte si apre il Pavulon du réalisme, promosso da Courbet in seguito al rifiuto da parte della giuria del salon di L’atelier du peintre, allégorie réelle, determinant une phase de sept années de ma vie artistique e di Il Funerale ad Ornan (Parigi, mo; la giuria fu forse spaventata anche dalle dimensioni delle tele). Viene allestita, con grande onore, un’ampia rassegna delle opere di Ingres che riceve generali consensi da parte dei critici.
Ingres in contrasto con il salon dichiara in quegli anni: «Gli artisti sono indotti a esporre dall’avidità di guadagno, dal desiderio di farsi notare a tutti i costi, da quella che credono la fortuna di un soggetto eccentrico capace di fare effetto e di essere venduto con profitto. Cosi il salon è letteralmente nient’altro che un mercato di quadri, un bazar dove si è storditi dall’enorme quantità di oggetti e dove regna il commercio invece che l’arte». Ingres in segno di protesta non entrerà più a far parte della giuria, e gli artisti più importanti, che vantano una clientela sicura, disertano il salon. In questo clima artistico agli inizi del 1860 si apre sul boulevard des Italiens una grande esposizione di dipinti moderni prestati da collezionisti privati, organizzata senza l’interferenza dell’Accademia. In violenta contrapposizione con l’ultimo salon dove regnava l’accademismo più tetro, in questa mostra regna il colore con la sua forza e la sua potenza: paesaggi dei pittori di Barbizon, diciotto Delàcroix, Courbet, Corot.
Frequenti e vari erano gli imbrogli e gli intrighi per essere ammessi fuori concorso, tanto più che sia i membri dell’Accademia sia gli artisti venivano premiati con medaglie; una volta ammessi gli artisti cercavano di esporre le loro opere in una collocazione favorevole, perché il pubblico potesse fruirne al meglio e la critica esprimere un lusinghiero consenso. Per gli artisti l’ammissione o il rifiuto era una questione vitale. «Il grosso pubblico però considerava inappellabili le decisioni della giuria – ricorda John Rewald – e non solo rifiutava di comprare le tele respinte (si arrivò alla crudeltà di stampare loro una R sul telaio), ma restituiva anche quelle comprate», così accadde a Jongkind che dovette riprendere un dipinto già venduto (e restituirne il prezzo) perché rifiutato dalla giuria.
Dal 1863 al salon ogni artista doveva esporre tre opere per norma. Fu un anno di grande severità: tremila gli artisti partecipanti; su cinquemila dipinti ne vennero ammessi solo circa duemila. Gli artisti si opposero alla decisione drastica e coinvolsero Louis Martinet, giornalista del «Courrier Artistique» che già aveva esposto tra l’altro, quattordici tele di Manet, tra cui la Lola di Valencia (Parigi, mo), e il Concerto ai Giardini delle Tuileries (Londra, ng) e aveva organizzato m alternative degli impressionisti dal 1861 al 1865; ma la sua galleria non poteva certo esporre tremila opere respinte e mille sculture! Accadde che Napoleone III, coinvolgendo il conte Nieuwkerke, sovrintendente alle Belle Arti e presidente della giuria, in base ai reclami e per non contrastare le decisioni della giuria, decise che le opere sarebbero state esposte, dal 15 maggio, in un altro settore del Palais, al Salon des refuses; tra i quadri respinti c’era il Déjeuner sur l’herbe (Parigi, mo) di Manet.
Emile Zola, dopo la visita al salon con l’amico Cézanne, entrò in contatto con gli impressionisti, conoscendo Pissarro e altri e, per la sua funzione di critico d’arte, assunse nei loro confronti, un ruolo fondamentale. Egli ritenendo, in linea con le nuove tendenze, che l’artista è tale in quanto dotato di «temperamento forte e potente» pubblicò una serie di interventi su «L’Evénement», tra cui la recensione del Salon del 1866 che creò aspre polemiche: il salon doveva ancora aprirsi, e le critiche erano mosse nei confronti della giuria, dei suoi criteri di valutazione (la richiesta di un secondo Salon des réfuses, avanzata dagli artisti, non fu accolta) sebbene il critico non volesse parteggiare per nessuna tendenza o gruppo; in un altro articolo trattò del termine «realista», che a suo parere identificava l’artista che sa «subordinare il reale al temperamento individuale», esaltò Monet senza concedere alcuna gloria agli artisti ufficiali. Nel 1874 nello studio del fotografo Nadar, al boulevard des Capucines, la Société Anonyme des Artistes espose le opere di pittori avversi ai canoni accademici. Tra essi: Paul Cézanne, Edgard Degas, Berthe Morisot, Giuseppe De Nittis, Camille Pissarro, Pierre-August Renoir, Alfred Sisley e Claude Monet; dal suo Impression, soleil levant (Parigi, Museo Marmottan) nacque il termine «impressionismo», coniato con intento satirico dal critico Louis Leroy che pubblicò una recensione della mostra sulla rivista «Chiarivari», Exposition des Impressionists: il termine rimase e dopo quella prima m ne seguirono otto, sino al 1886.
Le m, divenendo sempre più frequenti, furono un fattore di trasformazione del gusto degli allestimenti, del mercato e perfino dello stile. Le enormi tele esposte ai salons male si collocavano nelle dimore moderne borghesi, mentre i dipinti disposti in file serrate impedivano la visuale delle tele più piccole. Già nella prima m impressionista i quadri furono collocati su di una tappezzeria in stoffa di lana dal colore rosso-bruno, in cornici dorate, mentre nel 1877, nella terza m impressionista, le tele verrano presentate in cornici bianche o colorate, ma pur sempre in accordata armonia con la pittura (Renoir invece consiglierà sempre antiche cornici dorate per i suoi dipinti). L’allestimento mutò ancora, Pissarro ad esempio, nella quinta esposizione impressionista del 1880, scelse di collocare le proprie opere in una sala tappezzata in giallo e lillà. La crisi dei salons, iniziata in questo periodo nasce sia dal mutamento delle scelte del pubblico, che dal differente concetto di esposizione. I mercanti d’arte ora concepiscono la galleria privata come uno spazio espositivo a diretto contatto con la strada, in una via centrale ed elegante, con ampie vetrine illuminate, dalle quali i dipinti possono apparire sempre in m. Già nel 1858, Théophile Gautier descrive rue Lafitte, sulla quale si affacciarono sino a cinque o sei gallerie, come «una sorta di salon permanente».
Le esposizioni degli impressionisti vedono anche la nascita di disaccordi profondi, che porteranno a separazioni o rotture del gruppo, l’allontanamento di Cézanne e la fatica degli artisti a imporsi sul mercato; nella quarta m, tenutasi all’avenue dell’Opera (1879), espongono anche Paul Gauguin, invitato da Pissarro, e Mary Cassatt invitata da Degas; nel 1881 lo stato cede il controllo del salon alla Société des Artistes Français e ogni artista può votare per eleggere la giuria di ammissione. Manet espone al salon Un Bar aux Folies- Bergère (Londra, Courtauld Institute Gallerie); al boulevard des Capucines apre la sesta collettiva degli impressionisti e l’anno seguente nella Galleria Durand-Ruel si apre la successiva m impressionista, l’ultima in rue Lafitte, nel 1886; Pisarro espone la prima opera pointilliste e insiste per l’ammissione di Seurat e Signac che causa un’aspra lite con Eugene Manet. Seurat presenta Un dimanche après-midi à l’île de la Grande-Jatte (Chicago, The Art Institute).
Risale al 1886 anche la prima m di successo di Monet a New York organizzata dal gallerista Durand-Ruel e, due anni prima, la grande retrospettiva di Manet all’Ecole des beaux-arts. Con l’apertura dell’Esposizione Universale del 1888 un gruppo di pittori, scelti da Gauguin espose in un luogo del tutto insolito, il Café Volpini. Su di un fondo rosso granata Gauguin appese i suoi quadri incorniciati di bianco; con lui esponevano Emile Bernard, Emile Schuffenecker ed altri, mentre van Gogh non accettò l’invito. La m destò grande scalpore: l’insolito, primitivo e bizzarro allestimento rispondeva pienamente al gruppo «impressionista e sintetista», definizione voluta da Gauguin. La critica fu positiva, il pubblico entusiasta. Nel 1866 l’artista americano James McNeil Whistler espone a Londra At the piano (Cincinnati), quadro rifiutato al salon di Parigi, preparando l’arrivo degli impressionisti.
Gli anni dal 1860 al 1890 sono quelli in cui artisti come Alma Tadema o Frederick Leighton impongono la pittura di storia attraverso grandi composizioni ricche di personaggi in costume, e inseriti in architetture classiche. Nel 1869 due dipinti di Corot entrano nella mostra londinese, altri successi della scuola di Barbizon si devono a Daubigny che su invito di Leighton si reca a Londra ed espone, nel 1866, Chiaro di luna. Alla m del 1887, presidente della Royal Society of British Art era Whistler, furono esposti due dipinti di Monet, ma la prima timida mostra di arte francese a Londra si inaugurò nella Galleria di New Bond Street, aperta da Durand-Ruel, con il titolo Annual Exhibition of the Society of French Artists; erano presenti quadri di Ingres, Gericault, Delacroix, Courbet, Corot, Daubigny, Jondkind, Theodore Rousseau, de Nittis, Fantin Latour; le m, con scelte molto moderate, furono dieci sino al 1875, e a parte la seconda, dove non furono esposti impressionisti, proseguirono poi con questi artisti.
Il panorama italiano delle m di pittura è relegato alle ben più che provinciali esposizioni che si svolgono annualmente nelle varie città italiane, da quella del 1861 a Firenze, a quella del 1883, con cui a Roma si inaugura il Palazzo delle Esposizioni progettato dall’architetto Pio Piacentini. Nel 1891 si inaugura la prima Triennale di Milano che da m annuale dell’Accademia si trasforma in una manifestazione più importante (rimane a dimostrarlo il ricco catalogo illustrato). Sono esposte per la prima volta tele di grande formato, tra cui opere divisioniste: Le due madri di Segantini (Milano, am), paesaggi di Grubicy, la Maternità di Gaetano Previati (Novara, Banca Popolare) che farà addirittura gridare allo scandalo per la natura «filamentosa» della sua tecnica.
Nel 1895 si inaugura una grande m dell’impressionismo francese a Mosca e nello stesso anno si apre la prima Biennale di Venezia, manifestazione internazionale progettata per uscire dalla crisi economica e culturale in cui si era affossato il mito dell’antica città lagunare. La giuria composta da cinque critici tra cui figura, per l’Italia, Adolfo Venturi, assegna il primo premio internazionale di diecimila lire all’opera di Paolo MichettiLa Figlia di Jorio (Pescara, Palazzo della Provincia); a Giovanni Boldini, invece, andrà un premio di milleseicento lire che, da Parigi, rifiuterà sdegnatamente per l’esiguità della cifra. I primi anni della manifestazione veneziana sono caratterizzati più che da una auspicabile volontà di mostrare al pubblico un’arte internazionale, da problemi di accademie e scuole che sfoceranno in una divisione dello spazio espositivo in rapporto alle regioni italiane: ed è proprio in questo clima che si inaugura, nel 1896, la m del Tiepolo alle Nuove Procuratie. «Nelle vaste sale entrava a fiotti dalle grandi finestre l’allegra luce della primavera veneziana e intorno alle tele del Tiepolo disposte in ordine ammirevole ricadevano pittoresche drappeggiature dei meravigliosi arazzi del sec. XVI «(ricorda Pompeo Molmenti nel catalogo) mentre gli artisti che partecipavano alla Biennale, gli ultimi ottocentisti, piangevano davanti alle opere.
L’arte francese si impone al panorama internazionale e Parigi diviene meta costante degli artisti d’avanguardia; già nel 1884 nasce il Salon des Indépendants che, senza premiazioni, permetteva a tutti gli artisti di esporre e nel 1903 s’inaugura il Salon d’Automne al Grand Palais, dove esporranno dai fauves (1905) ai cubisti (1911); nel 1906 sarà inoltre la sede della prima retrospettiva di Gauguin e l’anno seguente di quella di Cézanne. La prima m importante di van Gogh, con cento quadri, era stata invece allestita alla Galleria parigina Bernheim-Jeune nel 1901, mentre nel 1905; lo Stedelijk Museum di Amsterdam espone quattrocentosettantaquattro opere, in parte destinate a formare il Museo van Gogh. Negli stessi anni (1908-1909), alla galleria Bernheim-Jeune, il critico Félix Fénéon organizza la prima grande m di Seurat.
Solamente nel 1905 riprendono le m di pittura francese a Londra; infatti, il gusto fa registrare un’involuzione proprio tra la fine del 1880 e il 1890 stroncando l’arte francese, ma con la m allestita alla Grafton Gallery sono esposti trecentoquindici quadri, tra cui opere di Cézanne, Degas, Manet (Un Bar aux Folies-Bergère), Monet, Morisot, Pissarro, Sisley, Boudin, Renoir. L’interesse ormai consolidato per l’arte francese porterà ad esporre sino al 1912 anche le avanguardie, dai cubisti ai fauves ai futuristi: una vera e propria affabulazione di novità, presupposto delle esperienze che porteranno al vorticismo, termine coniato nel 1914 da Ezra Pound. La prima m del gruppo si inaugurerà nel 1912 alla Sackville Gallery. Nel 1913, a New York, Alfred Stieglitz, che attraverso le m promosse alla Photo-Secession Gallery contribuì alla diffusione della nuova arte europea, realizzò la m all’Armory Show. Accanto agli americani figuravano i più interessanti artisti europei (parteciparono mille e trecento artisti) e segnò l’ingresso delle avanguardie: dai cubisti ai simbolisti, dai fauves agli espressionisti, che offrirono alla pittura realista americana nuovi elementi di confronto; l’esposizione proseguì anche a Chicago e Boston.
L’inizio delle avanguardie vede anche quali protagonisti di m a carattere internazionale, i pittori futuristi, che inaugurarono a Parigi, alla Galleria Bernheim-Jeune, il 5 febbraio 1912, la prima esposizione itinerante di arte futurista. Seguirà, poi, la Sackville Gallery di Londra, dove si effettueranno le prime vendite, e la Galleria della Köning Augstrasse di Berlino, finanziata dalla rivista «Der Sturm» e dove, in seguito a un totale fallimento nelle vendite, Marinetti e Boccioni si vedono costretti a cedere le opere sottocosto (duemila marchi) al terribile dottor Borchardt, che le venderà subito dopo, rovinandone il mercato. A maggio la m è a Bruxelles, in seguito ad Amburgo, Monaco, Budapest, Vienna. In Italia la prima m futurista è del 1913, ha luogo a Roma, al ridotto del Teatro Costanzi, e l’anno successivo con ottantanove opere dei Sei pittori futuristi si inaugura alla Galleria Sprovieri di Napoli l’Esposizione libera futurista internazionale di pittori e scultori (espongono anche Morandi, Sironi, Rossi, Prampolini, Rosai); la m passa in aprile alle Dorè Galleries di Londra.
Nel 1910, nella sede dell’associazione femminile fiorentina Lyceum, si inaugura la prima m italiana dell’impressionismo e nello stesso anno alla Biennale le prime m monografiche di Courbet e Renoir. Nel 1908 si era inaugurato il primo ciclo di m a Ca’ Pesaro (in seguito a una fondazione promossa dalla duchessa Felicita Bevilacqua La Masa); il segretario della fondazione e direttore della Galleria d’Arte Moderna, Nino Barbantini, organizza, in polemica con la Biennale, m di giovani artisti; espongono per la prima volta, nel 1910, Umberto Boccioni, Gino Rossi e altri, come Felice Casorati, che risentono del clima secessionista viennese. Nel 1914 si arriverà addirittura alla chiusura della m collettiva, dove spiccavano Gino Rossi e Arturo Martini, le cui «arditezze», derivate dalla diretta conoscenza della pittura francese, divengono motivo di censura. La chiusura nei confronti dei giovani da parte delle sedi ufficiali apre spazi autogestiti: così anche Roma è sede nel 1913, della Prima Secessione Romana dove l’anno successivo esporranno anche i secessionisti di Ca’ Pesaro, in una Sala dei Veneti (Martini, Rossi, Oppi), e terminerà con l’ultima esposizione del 1914.
La ricerca di una identità artistica indipendente dai dettati accademici esterofili e le contestazioni sulle scelte della giuria dell’Esposizione annuale di Vienna provocano una frattura, che porterà il gruppo di artisti della Secessione (presidente Gustave Klimt) a esporre in un’altra sede; la prima m, organizzata tra la fine di marzo e la fine di giugno del 1898, è allestita in locali affittati dalla Società di giardinaggio e conferma da subito la volontà di mutare ogni aspetto dell’arte. La m viene concepita come una opera d’arte complessiva, gli architetti Joseph Olbrich e Josef Hoffmann curano l’allestimento: «I quadri venivano appesi a gruppi in maniera relativamente sciolta davanti a pareti dai colori sfumati e decorate con molta parsimonia». Tra gli artisti in m si ricordano Giovanni Segantini, Franz Stuck, Max Klinger, Puvis de Chavannes, Rodin, Ferdinand Khnopff. Il grande successo di pubblico, quasi cinquantasettemila visitatori e oltre duecento opere vendute, portò a successive edizioni annuali e alla costruzione di una sede espositiva progettata da Joseph Olbrich: il Palazzo della Secessione. Qui si organizzarono visite guidate la domenica mattina per i lavoratori, con biglietto dal costo dimezzato e con l’omaggio del catalogo; una parte degli introiti era destinata all’acquisto di opere per una collezione pubblica, una nuova Galleria d’Arte Contemporanea. Tra le prime opere acquistate vi furono tele di van Gogh, Monet, e Segantini, mentre i dipinti di Gustav Klimt si prestavano a continue contestazioni per la loro forte sensualità. Nel 1903 in occasione della XVI Esposizione, viene dedicata una m all’evoluzione dell’impressionismo che avrà una vasta eco sulla pittura secessionista. Infine la ricerca di commercializzazione portò all’apertura di uno spazio riservato alle vendite: la Galleria Mietke. Questa scelta provocò, oltre la spaccatura del gruppo, la formazione del Klimt-Gruppe che si occupò di organizzare nuove manifestazioni nel 1908 e 1909, sotto il nome di Kunstschauen: «Rassegna delle forze e delle aspirazioni artistiche dell’Austria, un fedele resoconto sullo stato attuale della cultura del nostro paese» (Klimt). La rassegna fece conoscere tra gli altri Egon Schiele e Oscar Kokoshcka. Nella prima edizione gli artisti presenti erano centosettantanove e non solo austriaci, basti ricordare Munch, Lovis Corinth, Gauguin e van Gogh, collocati in cinquantaquattro sale allestite da Hoffmann.
Gli artisti della Secessione continuarono ad organizzare m importanti: si ricordano nel 1907 la m sulla Secessione di Monaco; nel 1908-909 una panoramica sulla produzione dell’arte moderna russa e per la prima volta nella storia delle esposizioni una m sull’arte femminile nel 1910-11; riprendendo l’attività dopo la prima guerra mondiale, nel 1918, ottenne un grande successo la m di Egon Schiele; nel 1925 I principali maestri dell’arte francese del XIX secolo. La situazione espositiva tedesca di maggior interesse, dei primi anni del secolo, vede i pittori espressionisti in qualità di protagonisti. Il gruppo Die Brücke espone dal 1906 sino al 1913 in numerose m intineranti nelle principali città della Germania; partecipano alla prima esposizione, in qualità di componenti della Brücke: Ernst Ludwig Kirchner, Erich Hechkel, Otto Mueller, Karl Schmid Rottluff; Emile Nolde, conosciuto attraverso una sua personale alla galleria Arnold di Dresda (1906), fu invitato a partecipare alle attività della Brücke. Nelle m figurano allo stesso livello d’importanza sia la pittura a olio che la grafica, considerata il mezzo più attuale e consono al pensiero del gruppo: il «ponte» gettato tra gli artisti e il pubblico. Ancora a Dresda si ricordano la prima m sull’arte neoimpressionista francese e la retrospettiva dedicata a van Gogh, rispettivamente del 1905 (anno del Salon d’Automne in cui espone Matisse, ammirato dagli espressionisti) e del 1906.
Nel 1910 la Neue Berliner Secession, direttore Max Pechstein, raccoglie i pittori rifiutati dalla Secessione e la m del gruppo si tiene alla galleria Mach: tra di loro figurano Nolde, Müller, Pechstein, Feininger. A Monaco Wassily Kandinsky fonda con Franz Marc il gruppo del Blau Reiter. Kandinsky scriverà, in seguito, sulla pura astrazione della pittura «tutti e due amavamo l’azzurro, Marc i cavalli io i cavalieri. Così il nome venne fuori da solo». Aderiscono inoltre, Paul Klee, la pittrice Gabriele Münter, Alfred Kubin; il gruppo espone nel 1911 a Monaco presso Heinrich Thannhäuser, una seconda m, l’anno successivo, si aprì nella Galleria Goltz e in seguito a Berlino, nella Galleria Der Sturm; con l’inizio della guerra il gruppo si scioglie dopo l’ultima m collettiva del 1914 alla Galleria Sturm, la sede dove nel 1916 avrà luogo la m di espressionisti, futuristi e cubisti.
Negli anni del conflitto (1917) a Zurigo inizia ad esporre il gruppo Dada. Nel 1918 il Novembergruppe si presenta alla Grosse Kunstausstellung di Berlino; tra i pittori figurano ChaGall. Heckel, Pechstein, Klee. A distanza di un anno la seconda m vede alcuni degli artisti più impegnati (George Grosz, Otto Dix, Rudolf Schlichter) prendere posizione nei confronti di un’arte più impegnata, che attraverso un linguaggio formale nuovo, una «nuova oggettività», non lontano da istanze dadaiste, riveli la completa adesione alle spinte rivoluzionarie, antiaccademiche e di denuncia sociale. Alla Kunsthalle di Mannheim, curata da Gustav Hartlaub, si apre, cinque anni dopo, la m Nuova Oggettività. Pittura tedesca dopo l’espressionismo.
Il panorama tedesco è ben caratterizzato attraverso le avanguardie che continuano ad esporre negli anni successivi, programmando un’attività culturale che porterà afla creazione della scuola del Bauhaus, sino al momento del più tetro ostracismo all’arte moderna, rappresentato dalla m di Monaco Entartete Kunst (Arte degenerata, 1937) voluta dai nazisti, che misero al bando l’arte delle avanguardie arrivando sino alla sua distruzione materiale. Per il gruppo dadaista che approda a Parigi, Tristan Tzara, Francis Picabia, Max Ernst, Marcel Duchamp, a cui si aggiunsero Joan Mirò, André Masson, e più tardi René Magritte e Arp (da non dimenticare le comparse di Picasso), il distacco dalle tematiche di gioco dada portò gli artisti in crisi alla ricerca di un sentimento comune e particolare nell’intendere il luogo e l’atmosfera del quadro che si ispirava a derivazioni e tangenze metafisiche e al realismo magico sorretto dalla poetica di André Breton. Dell’ottobre del 1924 è il primo Manifesto del surrealismo e nel giugno dell’anno seguente si inaugura a Parigi la prima m surrealista alla Galleria Pierre; nel 1926 si inaugura la Galerie Surréaliste.
Nella primavera del 1918 a Roma, Mario Recchi espone, raccolte con il titolo di Arte Indipendente, le prime opere metafisiche con dipinti di Soffici e Carrà, tra cui: il Cavaliere occidentale e L’idolo ermafrodito (Milano, coll. Mattioli), De Chirico con Il Grande metafisico (New York, moma). In Italia si ricordano anche le m allestite da Mario Broglio all’insegna della rivista «Valori Plastici», che organizzerà tra gli anni 1921-25 alcune m a Berlino e le m romane di arte contemporanea della Casa d’Arte Bragaglia (più di settanta m tra l’ottobre 1918 e il 1921). La prima esposizione del gruppo di artisti di Novecento (Oppi, Marussig, Dudreville, Bucci, Sironi, Funi) viene organizzata da Margherita Sarfatti al Palazzo della Permanente nel 1926, sede che ospiterà ancora, a tre anni di distanza, la seconda m di Novecento, dove è da sottolineare la scomparsa dei futuristi. Si arrivò a una tale saturazione di esposizioni che furono tentate norme precise per la regolamentazione e nacquero apposite organizzazioni di gestione: i «sindacati di belle arti» che si occuparono a livello locale, provinciale e regionale dell’organizzazione. Nella nuova struttura piramidale, Antonio Maraini, scultore novecentista, presiedette le Biennali; mentre Carlo Efisio Oppo fu il curatore della Quadriennale che, inaugurata nel 1931 (cinquecento espositori), ebbe quattro edizioni sino al 1941.
In opposizione all’arte di Novecento espone a Parigi nel 1933, con il catalogo curato da Waldemar George, un gruppo di artisti che il critico francese definisce «école de Rome», sottolineando la rottura con i modi classicheggiami dei pittori di Novecento, a favore di una interpretazione poetica della pittura che si avvale di un uso sfumato del colore. Dagli studi del decennio 1910-20 (Longhi, Marangoni) sul Seicento e Settecento, si arrivò a cura dell’Ojetti alla m del 1922 di Firenze, confusa e disarticolata per la mole e la varietà delle opere esposte e di cui manca un catalogo critico. Essa fu ugualmente occasione importantissima per la conoscenza delle opere del Caravaggio e di altri artisti ancora da riscoprire tra cui: Bazzani, Magnasco, Cavallino, e «l’aspra giovinezza del Tiepolo» (Longhi).
Alle due grandi ed esaustive m alla ra di Londra sull’arte fiamminga e olandese, sembrò rispondere, con senso nazionalista, nel 1930, una magnifica m di arte italiana: la Exhibition of Italian Art 1200-1900; con opere importantissime, ma con il gravissimo rischio – ricorda Longhi – della traversata della Manica con il mare in burrasca. L’esperienza fu ripresa nel 1935 con la «tonante m parigina «al Petit Palais, intitolata De Cimabue à Tiepolo. L’incanto della m, in cui si potevano ammirare anche dipinti provenienti dalla Russia, la Giuditta di Giorgione e le due Madonne leonardesche, portò alla definizione di mostra féerie o conte de fées.
Nel decennio che corre dal 1930 al 1940 iniziano, sulla scorta degli studi monografici, le prime grandi m monografiche: oltre alla «discutibile» m leonardesca, a cura rispettivamente di Barbantini, Pallucchini, Buscaroli, Molaioli, si aprono quelle su Tiziano, Tintoretto e Veronese a Venezia, su Melozzo a Forlì (un artista estremamente sfuggente ma evocativo della terra d’origine del Duce, Mussolini) e la m del Pordenone a Udine. Ancora del 1933 è la m della Pittura ferrarese del Rinascimento, curata dal Barbantini, che dette lo spunto all’Officina Ferrarese di Roberto Longhi. Nel 1935 la m sul Trecento riminese fu curata dal giovane Cesare Brandi che collaboré) ancora, nello stesso anno, alla m parmense sul Correggio. Tra il 1935 e il 1939, si collocano, ordinate da Vittorio Viale, la m della Pittura Bresciana del Rinascimento e la bellissima m di Gotico e Rinascimento in Piemonte; Sergio Ortolani curò la m sul patrimonio artistico del Sei-Settecento a Napoli. Per le m di arte antica, la più importante di questi anni fu certamente la Mostra giottesca del 1937, grande ricognizione sulla pittura del Duecento e del primo Trecento tenuta a Firenze, il cui catalogo scientifico (1943), curato da Giulia Sinibaldi e Giulia Brunetti, stimolò nuovi studi e le originali valutazioni del Giudizio sul Duecento di Roberto Longhi. La guerra impedì il proseguimento di una bella m del Cinquecento toscano allestita a Palazzo Strozzi.
Negli anni Trenta (1932-39) attorno alla Galleria del Milione si muovevano pittori, musicisti, letterati, architetti, e il clima colto e internazionale suggeriva a Gino Ghiringhelli la produzione di m di arte astratta italiana. Vi partecipavano Fausto Melotti e Lucio Fontana, Luigi Veronesi, Atanasio Soldati, Osvaldo Licini, Mauro Reggiani, Bruno Munari, il gruppo di Como: Mario Radice, Carla Prina, Manlio Rho, Aldo Galli, accanto ad artisti europei (Klee, Kandinsky, Gris, Arp).
Parigi offre importanti occasioni nel panorama culturale figurativo di quegli anni, basti pensare alla m dei pittori francesi della realtà, all’Orangerie, corredata dai buoni studi di Charles Sterling del 1934, mentre la m di Rotterdam del 1935 dedicata a Vermeer fu motivata dagli studi che avevano riscoperto il grande maestro. I primi dieci anni del moma vedono una serie di m organizzate con lo scopo di acquisire una collezione permanente. Infatti la prima m del museo si inaugurò l’8 novembre 1929 (dieci giorni dopo il crollo di Wall Street), in un clima del tutto sconfortante, ma il presidente della fondazione, dal nome del tutto augurale Mr. Goodyear (tesoriere di Rockefeller), venne in Europa per contattare collezionisti, gallerie, ecc. La m Cézanne, Gauguin, Seurat, van Gogh ottenne un grande successo: gran parte del pubblico attendeva, a sedici anni dall’Armory Show, di rivedere questi artisti. La seconda m fu sempre di pittura, Paintings by Nineteen Living Americans: gli artisti, selezionati dai soci fondatori, comprendevano Geòrgia O’ Keffe, Marin, Weber e le m continuarono alternando arte europea e americana come gli Old Masters: Homer, Ryder e Eakins. Seguirono ancora varie m di pittori francesi come Daumier e Corot; Toulouse-Lautrec and Redon; Painting in Paris sino alla m d’arte tedesca Modern German Painting and Sculpture, e m monografiche di Klee, Matisse, Rivera, sino alla m del 1936: Cubism and Abstract Art che dedica ampio spazio ai futuristi, seguita poi dall’esposizione Fantastic Art, Dada, Surrealism. In seguito, sempre a New York, su progetto di Frank L. Wright e finanziamento di Salomon Guggenheim, apre il Museo d’arte contemporanea, il cui principale scopo sarà, oltre ad esporre la collezione, di promuovere m di richiamo internazionale. La fine del conflitto portò, nel 1945, alla m Arte in libertà organizzata ad Amsterdam nel Rijksmuseum, che presentò novecento opere di artisti perseguitati dal nazismo o che comunque avevano opposto un netto rifiuto alla politica culturale della Kulturkammer. Dalla m trasse vitali spunti di ricerca un nucleo di artisti dei Paesi Bassi, il Gruppo Cobra, a cui aderirono Karel Appel, Eugene Brand, Constant, Corneille, il danese Asger Jorn e altri. La loro nuova pittura verrà esposta per la prima volta nel 1949 allo Stedelijk Museum di Amsterdam.
Nel 1945 nasce a Roma l’Arte Club, associazione culturale che promuove m d’arte contemporanea, inserendosi nel dibattito di quegli anni (realismo, astrattismo, neocubismo, pittura astrattoconcreta) anche atraverso un bollettino, mentre Palma Bucarelli diventerà direttore (per trent’anni) dell’unico museo d’arte contemporanea in Italia. Milano e Roma divengono sedi importanti di dibattito; si inaugura a Palazzo Reale la Mostra internazionale di arte astratta e concreta, che vede Kandinsky, Klee con opere degli anni Trenta, Arp, Vantongerloo con opere recenti e ancora gli italiani Rho, Radice, Licini, Veronesi; si giunge alla m del Fronte nuovo delle Arti nella Galleria della Spiga (Guttuso, Corpora, Turcato, Fazzini) che si esprime attraverso un realismo non aneddotico, ma che ripropone la realtà con un nuovo linguaggio. I precedenti sono forse da riscontrare nella m romana di pittura ufficiale francese, Pittura francese d’oggi dell’anno precedente e nella m del 1946 Salon Réalités Nouvelles di Parigi, dove espongono anche Alberto Burri e Mimmo Rotella.
Il 1948 fu un anno molto importante che vide aprire la V Quadriennale romana con novecentododici artisti: Boccioni, il gruppo Novecento, Morandi, gli aereopittori, Magnelli, i neoespressionisti, i realisti; mentre l’Arte Club organizza Arte Astratta in Italia. A Venezia (oltre alla collezione di Peggy Guggenheim appena arrivata nella città lagunare) si inaugura una Biennale ricca di presenze: L’impressionismo a Venezia, curato da Lionello Venturi e Rodolfo Pallucchini e retrospettive di Kokoschka, Chagall, Picasso, una piccola m di Klee, Braque, Schiele, i belgi Magritte, Ensor, Delvaux, Permeke, espressionisti e realisti tedeschi; inoltre m di artisti italiani dal 1910 al 1947: Balla e Severini futuristi. Gli artisti italiani erano quattrocentosette e quattro le sale riservate a personali di De Pisis, Campigli, Mafai, Maccari; partecipano inoltre gli astrattisti del Gruppo Forma, e una sezione sarà dedicata ad opere metafisiche, presentate da Francesco Arcangeli: Carrà, De Chirico, Morandi 1910-20.
Alla m bolognese, organizzata da Arcangeli, Gnudi e Raimondi, e intitolata, con intenti forse provocatori, Prima mostra nazionale d’arte contemporanea Guttuso espone l’Occupazione delle terre in Sicilia, un soggetto dal chiaro impegno politico e morale, ma sarà l’astrattismo ad aver un maggior successo all’estero. A Parigi, curata da Michel Tapié, si apre la m Les signifiants de l’informel; opere dell’espressionismo astratto e dell’Action painting vengono esposte sia a Roma che a Milano in differenti sedi e in occasioni diverse: Sam Francis, Jackson Pollock, Arshile Gorky, Willem De Kooning, Franz Kline, Mark Rothko, Robert Motherwell, mentre Burri e Capogrossi saranno le presenze italiane alla m Younger European Painters, svoltasi nel 1953 al Museo Guggenheim di New York. Milano vive in questi anni una stagione di splendide m grazie a Franco Russoli con la m monografica di Pablo Picasso nel 1953, Pierre Bonnard nel 1955, Amedeo Modigliani nel 1958; lo stesso anno, a Venezia, in occasione della Biennale, Russoli realizza una m eclettica dove compaiono il neoastrattismo e gli inizi della nuova figurazione.
Tra il 1956 e il 1957 una serie di m monografiche del moma, su Pollock, Balthus, Matta e David Smith, inaugura una sequenza di retrospettive che fecalizzano l’attenzione su artisti di mid career e nel 1958-59 l’International Council organizza la più importante m sull’arte americana del XX sec.: l’espressionismo astratto. Curata da Dorothy Miller, The New American Painting toccò otto paesi prima dell’ultima esposizione a New York, che fu un trionfo.
Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio del decennio successivo varie m portano alla ribalta artisti, gruppi o tendenze che muteranno radicalmente il panorama delle arti figurative. Si assiste alla prima m di Piero Manzoni alla Galleria Pater di Milano (1958): sono esposti i suoi primi Achromes e nel 1960 si inaugura la Galleria Azimut con la m La nuova concezione artistica con opere di Yves Klein e Manzoni, mentre alla Galleria romana La Tartaruga si ha la prima m di Jannis Kounellis. Alla Biennale l’Informale vede le premiazioni di Härtung e Fautrier e, in ambito italiano, di Vedova e Consagra.
Sul versante dell’arte antica la situazione successiva al conflitto portò a molte m di ricognizione, in occasione della riapertura dei musei, con la partecipazione attiva dei soprintendenti; tra le altre, nel 1948, il Morassi a Genova ordina due m, mentre l’esposizione di Cinque secoli di pittura veneziana, è l’occasione per uno smagliante saggio longhiano. La bellissima m di Giovanni Bellini, curata da Rodolfo Pallucchini (Venezia, Palazzo Ducale, 1949), raccolse centotrenta dipinti e fu un’occasione unica per gli studi. La serie delle m di arte antica veneziane prosegue a cura di Pietro Zampetti con Lorenzo Lotto (1953), con Giorgione e i giorgioneschi (1955), fino al Crivelli (1961), al Carpaccio (1963), a Guardi (1965), ai vedutisti (1967). A Firenze Mario Salmi organizza alcune grandi m di arte antica a Palazzo Strozzi: nel 1954 la m Quattro pittori del Rinascimento (gli artisti in m tuttavia aumentarono: a Piero della Francesca, Paolo Uccello, Domenico Veneziano, Andrea del Castagno, fu aggiunto Masaccio); l’anno seguente fu realizzata la m sul Beato Angelico e nel 1956 la Mostra del Pontormo e del primo manierismo fiorentino. In questa tradizione salmiana si inseriscono le m di Ugo Procacci di affreschi staccati e la presentazione su larga scala, delle sinopie (1957, 1958), a cui fu dato un seguito internazionale con The Great Age af Fresco (New York e altre sedi, 1968), intesa come un atto di riconoscenza alla comunità internazionale per gli aiuti ricevuti in occasione dell’inondazione di Firenze del 1966.
Ma gli anni Cinquanta vedono come vere protagoniste le m milanesi curate da Roberto Longhi e allestite in Palazzo Reale: nel 1951 la m monografica di Caravaggio, che espone quasi tutte le opere del maestro; nel ’53 i Pittori della realtà in Lombardia (Moroni, Fra’ Galgario, Ceruti) e nel 1958 la splendida Arte lombarda dai Visconti agli Sforza. Bologna, dopo una m su Giuseppe Maria Crespi (1948), vede la prestigiosa Mostra della pittura bolognese del ’300 curata da Roberto Longhi, una grande rassegna che riscopriva un capitolo cruciale della nostra pittura; ma la tradizione bolognese trova la sua sede naturale nelle Biennali di arte antica, curate e animate da Cesare Gnudi, che iniziano con un Guido Reni (1954), in quegli anni di difficilissima ricezione, per proseguire con i Carracci (1956), con la pittura del Seicento emiliano (1959), con il tema dell’ideale classico nella pittura di paesaggio (1962) e la m monografica di Giorgio Morandi (1966).
Dopo la m saggio di Arcangeli Natura ed espressione nella pittura bolognese ed emiliana (1970) e la m di Federico Barocci, curata con particolare attenzione da Andrea Emiliani (1975) e le m del Settecento (1979), queste esposizioni hanno assunto un carattere diverso, molto attento alle esigenze di un’utenza internazionale. All’estero si ricordano, in tema di arte antica, soprattutto la bella m di ricognizione del patrimonio artistico francese, De Giotto à Bellini (1956), che mise in luce le doti di conoscitore di Michel Laclotte, poi il Cinquecento europeo (1965), Le siècle de Rembrandt (1971); nell’inverno 1974-75 la grande m De David à Delacroix ripercorreva le vicende della pittura francese negli anni a cavallo della rivoluzione (per la quale non si nascondeva una viva antipatia) e nel di Palazzo Grassi, offre una lettura storicocritica dell’intero percorso della pittura nata dall’immagine letteraria: dalle origini in Böcklin e Max Klinger alla interpretazione di Giorgio De Chirico, alle prospettive aperte da Carlo Carrà, Giorgio Morandi, Filippo De Pisis, Alberto Savinio e altri italiani, sino alle influenze dechirichiane su Grosz, Schlichter, Magritte, Delvaux, Tanguy, Dalí e altri.
Il 1980 è un anno di importanti manifestazioni a Milano organizzate da Lea Vergine, come L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940, dove la curatrice svela il panorama internazionale di artiste, cercando di entrare in un «lazzaretto di regine» volutamente dimenticato; si deve ricordare che Barbara Hepworth si rifiutò di partecipare a questa m di taglio femminista. A Torino, curata da Enrico Crispolti, La ricostruzione futurista dell’Universo è allestita all’interno della Mole Antonelliana recuperata come spazio espositivo. Le m di pittura si intensificano e così anche gli spazi ad esse consacrati. A Milano, e già dagli anni Cinquanta, il Pac (padiglione arte contemporanea) organizza esposizioni di arte italiana o straniera dal Novecento alle ultime tendenze; a New York il Solomon Guggenheim Museum promuove m volte a sensibilizzare il pubblico all’arte contemporanea; sulle sponde londinesi del Tamigi la Hayward Gallery; Parigi inaugura il Centre George Pompidou, sede prestigiosa che solo nel 1981 ospiterà la m dell’arte italiana Identité italienne. L’art en Italie depuis 1959, curata da Germano Celant (lo stesso anno di una grande m monografica di Jackson Pollock).
La geografia internazionale sempre più articolata e ricca moltiplica le occasioni di nuovi spazi: si pensi alle numerose Kunstvereine tedesche, al PS i di New York o ai nuovissimi esempi in Spagna; in Italia grazie al restauro del Castello di Rivoli, trasformato in sede espositiva per l’arte contemporanea, il curatore Rudi Fuchs propose Overture, una m intesa quale modello museale e non come intera collezione acquisita. Stimoli provengono anche da centri periferici come Ravenna, Modena, Ferrara (che ospitò nella seconda metà degli anni Settanta a Palazzo dei Diamanti le m monografiche di Andy Warhol, Robert Rauschenberg, Jim Dine), la Fondazione Lucio Amelio di Napoli, nata dalle m Terrae Motus, allestite nella villa vesuviana di Campolieto e il Museo Pecci di Prato. Per l’arte antica una serie di m a Bologna, Faenza, Parma, Napoli, nel 1979-80 creano un clima di revival settecentesco. L’enciclopedismo tentato con 1976-77 l’abbinamento di una m sul romanticismo tedesco con una piccola esposizione di pittura russa dello stesso periodo risultò particolarmente felice, mentre tra le m monografiche dedicate a singoli artisti vanno ricordate quella di Georges de la Tour (1972), Gustave Courbet (1977), J.-B.-S. Chardin (1979). Le m periodicamente organizzate dal Consiglio d’Europa non davano sempre risultati soddisfacenti; Francesco Arcangeli poteva però giustamente richiamare l’attenzione su quella londinese del romanticismo (1959). Si ricorderanno poi le periodiche m su Rembrandt ad Amsterdam e Rotterdam, 1956 e ancora Amsterdam 1969.
Nel 1954 la Biennale vede l’incompresa m di Courbet, oltre a quelle di Klee e Munch. Nel 1956 la VII Quadriennale di Roma espone Piet Mondrian, con l’allestimento di Carlo Scarpa. Con la m Arte italiana del XX secolo da collezioni americane realizzata a Palazzo Reale (1960), promossa e preparata dal The International Council at the Museum of Modern Art, si ebbe una conferma dell’interesse che esisteva in America per l’arte italiana del Novecento. Nel 1964 la Pop Art approda alla XXXII Biennale; mentre Franco Russoli cura la personale di Graham Sutherland alla Galleria Civica di Torino e la m itinerante della collezione di Gianni Mattioli (1967-72), ordina la X Quadriennale di Roma (1972-73) e, l’anno successivo, la m Boccioni e il suo tempo (Milano, Palazzo Reale), che sarà presentata nel 1974 anche a Düsseldorf e a Parigi. Nel 1962, a Spoleto, Sculture nella città, organizzata da Giovanni Carandente, scopre in un antico centro storico il contesto ideale per le opere dei protagonisti della scultura internazionale.
Nel 1974 cade l’anniversario dell’impressionismo e a Parigi si inaugura la m Centenaire de l’Impressionisms al Grand Palais e ancora nel 1986 alla ng of Art di Washington, in collaborazione con il Fine Art Museum di San Francisco, si apre la m The New Painting. Impressionism 1874-1886, che ripercorre le otto fondamentali m storiche della pittura impressionista.
Un evento culturale di grande importanza vede nel 1977 il Ministero della cultura francese, il Centre Pompidou e i mn francesi, sulla base di un accordo formale, collaborare con il moma per l’organizzazione di m prestigiose: inaugura la cooperazione la m Cézanne: le ultime opere e l’ambiziosa retrospettiva di Pablo Picasso (1980). Nel 1979 a Venezia La pittura metafisica, curata da Giuliano Briganti e promossa dall’Istituto di Cultura queste manifestazioni, trova una realizzazione ancor più ricca (le arti figurative, il collezionismo, l’astrologia) con m come quelle dedicate in Belgio a Rubens e il suo tempo nel 1977 o con le m Medicee di Firenze del 1980. Purtroppo ne nacque un fraintendimento della politica espositiva italiana: seguì infatti un disordinato incremento delle manifestazioni artistiche alla ricerca di consensi politici che inevitabilmente sfociarono in una produzione talvolta scadente o scadentissima. Dal pur parziale panorama appare evidente come le m, oltre a costituire il fondamentale, storico incontro tra arte (o artista) e pubblico, incontro talvolta difficile nell’arte contemporanea, si offrono sempre più come momenti di approfondimento delle scelte del curatore che avvia così una collezione permanente o arricchisce la raccolta già esistente mettendo in campo valori ignoti ad un pubblico che non acquista più come nei salons ottocenteschi, ma che ormai anche raramente si scandalizza.