Composizione musicale, di norma in tre movimenti, per uno o più strumenti solisti e orchestra. Il termine, consolidatosi nell’uso all’epoca della musica barocca, fu usato inizialmente in modo generico per definire una miscela di timbri strumentali con o senza voci e venne applicato a un’ampia varietà di composizioni sacre e profane che richiedevano un gruppo misto di strumenti, di cantanti o di entrambi. La parola conservò questo significato fino al Settecento e le numerose cantate sacre di Bach ne sono un celebre esempio.
L’EPOCA DEL CONCERTO GROSSO
Una specifica categoria di concerti sorse, per la prima volta, nel tardo XVII secolo. Arcangelo Corelli usò il titolo di ‘concerto grosso’ per i dodici pezzi strumentali dell’op. 6. Queste composizioni impiegavano un’orchestra d’archi – detta ‘concerto grosso, ripieno o tutti’ – in contrasto con un piccolo gruppo di solisti, il ‘concertino’. I concerti di Corelli, costituiti da una serie di brevi movimenti di carattere contrastante, erano sostanzialmente identici, per stile e forma, al genere di musica da camera dominante al tempo: la sonata a tre. Il nuovo concerto grosso, ripreso da altri compositori come Giuseppe Torelli, presto sviluppò uno stile proprio, caratterizzato da un tema di esordio basato sull’arpeggio, su ritmi incalzanti e ripetitivi, e su un disegno armonico tendente a definire la tonalità. La sua popolarità si protrasse per tutta l’epoca barocca e un esempio significativo ne sono i sei Concerti brandeburghesi di Bach. La caratteristica fondamentale rimase l’uso di un’orchestra d’archi contrapposta a un numero di strumenti solisti. Il concerto grosso generò una sottocategoria, il ‘concerto a solo’, in cui il posto del concertino veniva preso da un singolo strumento. All’inizio, i concerti solisti furono composti unicamente per violino, tromba o oboe, da musicisti quali Torelli e Tommaso Albinoni, ma ben presto la varietà degli strumenti solisti crebbe, come testimoniano i numerosi concerti di Antonio Vivaldi.
Queste composizioni posero le basi per una forma che sarebbe rimasta immutata fin quasi al Novecento: una successione di tre movimenti (veloce-lento-veloce), con il movimento centrale in una tonalità diversa rispetto a quella principale del primo e dell’ultimo movimento. Nei movimenti veloci, i passi solistici si ampliavano in lunghe sezioni, spesso dominate da rapide ornamentazioni; a questi episodi si alternavano quattro o cinque sezioni dell’intera orchestra, dette ritornelli (il tutto prendeva il nome di ‘forma ritornello’). Prima del ritornello conclusivo, in almeno uno dei movimenti, il solista sfoggiava la propria abilità tecnica e musicale in un passo improvvisato detto cadenza. Le cadenze rimasero un elemento standard del concerto per tutto il periodo classico e romantico e, successivamente, i compositori le scrissero personalmente, anziché affidarle al gusto e all’abilità dell’esecutore.
IL CONCERTO CLASSICO
Nel periodo classico, a parte la breve fioritura di una derivazione francese detta ‘sinfonia concertante’, il concerto grosso si estinse a favore della sinfonia, che aveva assorbito molti dei suoi caratteri. Il concerto solista, tuttavia, rimase come veicolo di virtuosismo, indispensabile per il compositore-esecutore. Il pianoforte soppiantò il violino come strumento prediletto per il concerto solista: fu lo strumento di elezione sia di Mozart, che scrisse i più importanti concerti del tardo XVIII secolo, sia di Beethoven, i cui cinque concerti per pianoforte portarono questa forma al culmine dello sviluppo. Con il classicismo la durata del concerto aumentò; la sua forma rappresentava un compromesso tra la forma ritornello tradizionale, le esigenze di esibizione virtuosistica, il nuovo stile e le nuove forme che andavano sviluppandosi con la sinfonia. I primi movimenti venivano costruiti in una variante della forma ritornello; anche il resto del movimento procedeva come un primo movimento di sinfonia, con il solista e l’orchestra che suonavano insieme o alternandosi. Il movimento finale era solitamente un rondò in cui il solista eseguiva l’episodio ricorrente.
L’EPOCA ROMANTICA
Dopo il 1820 circa, la produzione dei concerti calò. La tecnica ‘trascendentale’ di Niccolò Paganini, presto emulata dal compositore e pianista ungherese Franz Liszt, contribuì a fondare la mistica del genio virtuoso. Importanti concerti, soprattutto per pianoforte o violino, furono scritti da Liszt, come anche da Weber, Mendelssohn-Bartholdy, Schumann, Brahms, Chopin e dal russo Čajkovskij. Le loro opere rimangono sostanzialmente fedeli alla tradizione sinfonica: il solista e l’orchestra vengono proposti quasi sempre in un’opposizione drammatica che si riconcilia nella sintesi finale, rispecchiando l’opposizione e le sintesi tonali che stanno alla base della forma sonata.
IL XX SECOLO
Il nuovo approccio musicale del primo Novecento fece apparire a molti compositori pressoché impraticabile il concerto di tipo sinfonico e virtuosistico, anche se specifici solisti – perlopiù pianisti e violinisti – continuarono a ispirare compositori come Schönberg, Berg, Webern, Hindemith, Bartók e Stravinskij. Ciascun pezzo veniva affrontato come uno specifico problema formale, spesso ricorrendo al lessico di epoche passate. L’interesse per il concerto grosso si può notare, ad esempio, nell’Ebony Concerto scritto da Stravinskij per l’orchestra jazz di Woody Herman, mentre le forme tradizionali del linguaggio musicale neoclassico o neoromantico ritornano in opere come quelle di William Walton.