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Uno dei primi problemi della geologia è stato quello di dare un’età alle rocce e ai processi che sono avvenuti sulla superficie terrestre. Le datazioni relative stabiliscono se una roccia, o un evento geologico, sono più o meno recente di altre rocce o di altri eventi. Quelle assolute sono espresse in anni.
Gli strati
Osservando le montagne, notiamo che queste sono talvolta formate da strati di rocce differenti fra loro per caratteristiche generali, come il colore o la composizione. Una successione di strati paralleli uno all’altro è quello che ci si aspetta in rocce che derivano da sedimenti depositati attraverso l’aria o l’acqua. In base alla considerazione, banale ma fondamentale, che uno strato di granuli non può depositarsi sotto uno precedente, è ovvio che le rocce sedimentarie diventano più recenti verso l’alto di una successione di strati. I concetti di orizzontalità originaria e di sovrapposizione, enunciati più di tre secoli fa (nel 1669) dal fisico danese Nicolaus Steno (Stenone), rappresentano la base sulla quale si sono sviluppati i moderni principi di datazione stratigrafica. A questi si è poi aggiunto il concetto di continuità, secondo il quale uno strato di sedimenti, originariamente, forma un livello continuo che termina solo quando si assottiglia fino a scomparire, trasformandosi gradualmente in uno strato di granuli di altro tipo o interrompendosi contro una barriera, come, ad esempio, una linea di costa.
I fossili
Un’altra tappa determinante nella storia delle datazioni relative è stato il riconoscimento, all’interno di molte rocce sedimentarie, della presenza dei fossili. Preceduto dalle intuizioni di Leonardo da Vinci, nel XVII secolo Stenone riconobbe in alcuni fossili contenuti in argille plioceniche di Malta, che fino ad allora erano stati considerati oggetti celesti, una similitudine con i denti degli squali viventi. A quei tempi la scienza era in gran parte dominio dei religiosi e l’idea che i fossili potessero essere di origine organica urtava contro la convinzione che le rocce erano già state create quando comparvero gli esseri viventi. Per tutto il 1700, per giustificare la presenza dei fossili, si ricorse alle teorie catastrofiche del diluvio universale, del nettunismo (un oceano promordiale che avvolgeva il nucleo terrestre e portava in sospensione e in soluzione quanto si depose in seguito) e del plutonismo. Alla fine del secolo William Smith, anticipando di decenni molte delle idee sviluppate da Darwin, mise a punto una cronologia relativa basata sul riconoscimento di fossili tipici in uno strato, anche a lunghe distanze, e creava in pratica la stratigrafia moderna. Nella metà del 1800, Charles Lyell introdusse i concetti di “attualismo” e “uniformismo”, secondo cui nelle passate ere geologiche i fenomeni non ebbero proporzioni diverse rispetto a quelle attuali. Noi vediamo gli eventi compressi nel tempo, ma se li svolgiamo a ritroso, per milioni o centinaia di milioni di anni, sono del tutto analoghi a quelli di oggi.
Si arrivò pertanto a riconoscere successioni di strati ognuno dei quali aveva un certo numero di specie fossili distinto, in tutto o in parte, dal contenuto di un altro strato. La sequenza verticale di forme viventi rappresentate dai fossili individuava serie di strati di rocce sedimentarie dette sequenze stratigrafiche. Queste sono state per comodità raggruppate in formazioni, gruppi di strati che si trovano ovunque nella stessa posizione stratigrafica e contengono materiali almeno in parte con lo stesso aspetto e proprietà fisiche, che ne definiscono la litologia.
La datazione assoluta
L’applicazione dei principi stratigrafici ha reso possibile all’inizio del 900, in base al contenuto di fossili, il riconoscimento e la correlazione di strati visibili in differenti luoghi e si sono poco alla volta sviluppate le colonne stratigrafiche che illustravano i rapporti relativi fra le varie formazioni rocciose. Ma non era ancora possibile assegnare un’età assoluta, cioè stabilire da quanti anni si era formata ciascuna roccia.
All’inizio del secolo appena trascorso, i pionieri della fisica nucleare scoprirono che gli atomi di certi elementi, quelli radioattivi, si disintegravano spontaneamente e formavano atomi di un altro elemento, liberando energia nel corso del processo. Ogni atomo è formato da un nucleo (dove è contenuta praticamente tutta la massa dell’atomo) intorno al quale sono disposti gli elettroni. Il nucleo contiene due tipi di particelle, ciascuno con massa atomica uguale a 1: i protoni che hanno carica elettrica positiva e i neutroni, elettricamente neutri. In un atomo completo, il numero di protoni del nucleo è bilanciato dal numero di elettroni, ognuno con carica elettrica negativa. Il numero di protoni, e di elettroni, è tipico di ogni elemento ed è chiamato numero atomico. Tutti gli atomi dello stesso elemento hanno lo stesso numero atomico; ad esempio, quello del carbonio è 6. Gli isotopi di un elemento hanno lo stesso numero di protoni, ma un numero differente di neutroni. Gli isotopi del carbonio hanno 6, 7 e 8 neutroni, che corrispondono a masse atomiche 12, 13 e 14. Di questi isotopi, il carbonio 12 (12C) e 13 (13C) sono stabili, cioè non cambiano e non si disintegrano spontaneamente, mentre il carbonio 14 (14C) si trasforma spontaneamente in azoto (N). Molti altri elementi decadono spontaneamente, come il rubidio 87 (87Rb) che si trasforma in stronzio 87 (87Sr), il potassio e l’uranio.
Il decadimento radioattivo è utilizzabile per misurare dei tempi in quanto la velocità con cui gli atomi si disintegrano è nota e costante. Questo significa che in qualsiasi punto del pianeta si trovi un elemento radioattivo, questo funziona come il bilanciere di un orologio che scandisce il tempo emettendo uno dopo l’altro un atomo dall’altro in misura fissa per unità di tempo, caratteristica per ogni elemento, chiamata costante di decadimento. Generalmente si usa l’espressione “vita media” per indicare il tempo necessario perchè circa un terzo degli atomi radioattivi sia trasformato in atomi dell’elemento figlio. I numeri che indicano il tempo trascorso dall’inizio del processo – i movimenti del bilanciere – corrispondono al numero di atomi dell’elemento figlio formatisi dall’elemento genitore. Se possiamo identificare e contare gli atomi dell’elemento figlio, e se conosciamo la costante di decadimento, possiamo risalire all’epoca in cui esistevano solo atomi dell’elemento genitore, cioè al momento in cui si è formata la roccia contenente l’elemento radioattivo.
La differenza più importante fra i vari elementi radioattivi è il “periodo di dimezzamento”, cioè il tempo impiegato da un determinato numero di atomi per dimezzarsi. Al termine del periodo di dimezzamento, la metà degli atomi radioattivi contenuti in un minerale è andata persa; al termine del periodo di dimezzamento successivo, si è disintegrata la metà del residuo, cioè un quarto della quantità iniziale; al termine del terzo periodo se ne è perso un altro ottavo, e così via. Se confrontiamo la velocità di decadimento del 14C, che ha una vita media di 5570 anni, con quella del 87Rb che ha una vita media di 45 miliardi di anni, ci rendiamo conto che questi elementi possono essere utilizzati per ricostruire scale di tempi molto diverse. Considerando la precisione degli strumenti e delle tecniche disponibili, il 14C può essere usato per misurare tempi compresi negli ultimi 40.000 anni di storia della terra, più o meno fino a che 1/32 degli atomi iniziali è andato perso. Età di tre miliardi di anni, ovvero all’incirca quella delle rocce più antiche della terra, corrispondono alla perdita di 1/16 degli atomi originali di 87R e possono essere ricavate dall’analisi di questo elemento (e dei suoi prodotti di decadimento).
Il primo elemento utilizzato per le datazioni è stato l’uranio, il quale ha due isotopi radioattivi 235U, 238U, che decadono in una serie di isotopi di elementi a loro volta radioattivi fino al piombo e elio. Anche il torio decade in piombo. La vita media di questi elementi è molto lunga, centinaia o migliaia di milioni di anni, e li rende adatti a datare gli oggetti pił antichi del sistema solare. Un altro isotopo molto importante per datare le rocce è il potassio 40 (40K). Il suo decadimento segue due strade: nella prima il 40K si trasforma in un isotopo del calcio, 40C. Circa l’89% degli atomi di 40K segue questa strada, mentre il restante 11% decade in un gas inerte, l’argon (40Ar). Questa seconda via di decadimento è la più usata nelle misure dei tempi, perchè l’argon 40 derivante dal decadimento del 40K è facilmente distinguibile dall’argon di altra origine, mentre il 40C è indistinguibile dal calcio formatosi in altro modo.
I primi procedimenti di datazione attraverso il decadimento radioattivo avvenivano con analisi chimiche abbastanza comuni sugli isotopi uranio/torio. Tra il 1920 e il 1930 venne messo a punto il primo “spettrometro di massa”, uno strumento che ricava da un campione un fascio di atomi elettricamente carichi: il fascio passa attraverso campi elettrici e magnetici in modo che gli atomi vengano deflessi in base alla massa e gli isotopi siano separati fra loro.
Non tutti i decadimenti radioattivi sono esaminati con lo spettrometro di massa. Un esempio è quello del 14C, presente in pezzi di carbone inglobati nei suoli. Nel corso della crescita, gli alberi incorporano una modesta quantità di 14C, insieme ad altri isotopi del carbonio contenuti nell’atmosfera. La concentrazione iniziale di questo isotopo nel carbonio della pianta è approssimativamente la stessa del carbonio dell’atmosfera, considerata costante negli ultimi 100.000 anni. Quando la pianta muore, il processo di fotosintesi cessa e la pianta non può assumere altro 14C. A questo punto inizia una lenta riduzione per decadimento del 14C. Poichè il tasso di decadimenti è proporzionale al numero di atomi radioattivi, misurando la radioattività del carbone è possibile risalire al contenuto residuo di 14C. Il risultato, chiamato attività del 14C, è usato per calcolare l’età di intrappolamento del legno nel suolo o nella roccia.