Indice
Più di qualsiasi altra personalità del Rinascimento, Leonardo da Vinci può essere considerato la personificazione dell’ideale umanistico di cultura eclettica. Figlio naturale di una domestica, Leonardo seppe elevarsi fino a diventare uno dei massimi artisti di tutti i tempi. Solo 17 opere gli sono state attribuite con certezza, ma in quasi ogni ambito egli apportò nuove soluzioni ai problemi artistici, di cui hanno beneficiato le generazioni che gli sono succedute.
Le composizioni leonardesche hanno una straordinaria vividezza e sono armoniose e piene di grazia; tipiche del suo stile sono le finissime modulazioni di luci e ombre, specialmente sui volti e nei paesaggi usati come sfondo. Le figure ritratte esprimono con grande finezza gli stati d’animo, rivelando lo sforzo dell’artista teso a raggiungere l’ideale di bellezza. La forza innovatrice di Leonardo non si limitò tuttavia alla pittura: irresistibilmente spinto dal desiderio di arrivare al cuore di ogni cosa scoprirne il funzionamento, l’artista studiò medicina, ottica, anatomia, geologia, cartografia e biologia. Ci ha lasciato disegni schematici e taccuini d’appunti di centinaia di pagine fittamente scritte che provano le sue approfondite conoscenze dei fenomeni naturali e ne fanno il padre del disegno scientifico.
L’arte, per Leonardo, fu come una scienza, che egli riteneva richiedesse la massima attenzione al dettaglio e trovava interamente riflessa nel cosmo.
Biografia
Per l’universalità dei suoi interessi (che andarono dall’architettura alla musica, dall’idraulica e dalla geologia all’anatomia ed alla botanica) e per la precorritrice genialità di molte sue
frammentarie intuizioni, oltre che per le realizzazioni più specificamente pittoriche, Leonardo è stato assunto a simbolo ed a mito del genio del rinascimento italiano, di cui rappresenta in effetti con particolare acutezza il momento critico di transazione tra la fase ancora quattrocentesca dei Pollaiuolo e dei Botticelli e quella cinquecentesca di Fra Bartolomeo e Raffaello.
Si è soliti dividere la sua attività in quattro periodi principali:
1452-81, periodo formativo a Firenze;
1482-1500, primo periodo milanese;
1500-16, periodo della maturità;
1517-19, vecchiaia e morte in Francia.
La formazione di Leonardo avvenne a Firenze (dove è già documentato nel 1469) nella bottega di Andrea del Verrocchio accanto ad artisti come Botticelli, Perugino, Domenico Ghirlandaio, Cosimo Rossetti, Filippino Lippi.
Nelle opere che gli vengono riferite come giovanili, Madonna Ruskin (Londra, Courtauld Institute), Angelo nel Battesimo del Verrocchio (Firenze, Uffizi), Annunciazione (ivi), Ginevra Benci (Washington, ng), disegno di Paesaggio del 1473 (Firenze, Uffizi), egli ci appare infatti erede e continuatore della tradizione plastico-disegnativa dei fiorentini Pollaiolo, Verrocchio, Desiderio da Settignano, e partecipe della rarefatta atmosfera culturale della Firenze di Lorenzo il Magnifico e di Marsilio Ficino.
Alle inquietudini dei tempi Leonardo seppe dare una interpretazione di singolare acutezza anche per le risonanze tutte personali che esse dovettero avere su lui a causa della sua particolare posizione di illegittimo (era nato da un borghese, il notaio ser Piero, e da una contadina, certa Caterina) escluso dalla partecipazione alla vita ed alla cultura delle classi superiori, ma ad esse tuttavia sempre vicino ed in qualche modo indirettamente partecipe.
Di qui la polemica di Leonardo per rivendicare alla pittura (tradizionalmente considerata «arte meccanica») la parità con la poesia e quindi lo «status» di arte «liberale», di qui il suo continuo sforzo di assimilazione di una cultura superiore (egli, per scarsa conoscenza del latino era costretto a considerare se stesso, a fronte degli umanisti contemporanei, «omo senza lettere»), di qui il suo stesso stile di vita (tra il mago e il cortigiano) così nettamente distinto da quello tradizionale del suo ceto.
Delle molteplici aspirazioni di Leonardo, delle sue ambizioni letterarie e filosofiche, delle sue curiosità tecniche e scientifiche, prolungate lungo tutto l’arco della vita, restano testimonianze artisticamente eccelse i numerosissimi fogli dei suoi codici.
Opera conclusiva di questo primo periodo fiorentino possiamo considerare l’Adorazione dei Magi per la chiesa di San Donato a Scopeto (Firenze, Uffizi, 1481-1482), dove stile e soggetto del quadro appaiono profondamente rinnovati nella ricerca di una espressione drammatica che pur basandosi sulla mimica e sul movimento non vada a scapito dell’equilibrio compositivo generale del quadro, valendosi a questo scopo di nuove e più sottili rispondenze. L’opera rimase incompiuta perché Leonardo si recò a Milano al servizio del duca Ludovico il Moro (1482).
Durante il primo soggiorno milanese la pittura di Leonardo si arricchisce degli apporti della cultura artistica locale, tradizionalmente più attenta al dato luminoso di natura ed in via di ritardato assorbimento (attraverso Bramante) della grande lezione prospettica rinascimentale. Il Vasari ricorda l’amicizia di Leonardo con Bernardino Zenale, la cui complessa cultura è stata di recente assai ben ricostruita; e se gli apporti leonardeschi allo stile del trevigliese non sono dubbi si può anche pensare che il fiorentino abbia potuto a sua volta essere da lui indirizzato ad una più profonda mediazione dei problemi del chiaroscuro e della prospettiva «aerea».
È quanto si può dedurre dall’esame dei capolavori milanesi di questi anni, la Vergine delle Rocce (Parigi, Louvre) e l’Ultima Cena (1497: Milano, Santa Maria delle Grazie). In questo dipinto murale (oggetto di un lungo restauro, dal 1977 al 1999, che ha recuperato la leggibilità della pittura fortemente inficiata dagli esiti dello sfortunato sperimentalismo tecnico dell’artista) è possibile ancora apprezzare i brani di natura morta «naturale» sulla tovaglia (abbastanza insoliti per un fiorentino) e l’impianto della prospettiva centrale sapientemente esaltato dall’uso del chiaroscuro. È evidente come Leonardo, se da un lato porta avanti, nel calcolatissimo raggruppamento a terne degli Apostoli, le ricerche di espressione fisiognomica, di mimica e di dinamica già perseguite nella Adorazione dei Magi, e quelle di equilibrio concatenato della Vergine delle Rocce, dall’altro sottopone tutta la macchina compositiva ad un impianto prospettico-luminoso, dato che il senso di profondità del dipinto viene aumentato – come già notava il Mengs – dal fatto che i protagonisti siano portati in
primo piano e che si abbia una doppia serie completa di digradazioni chiaroscurali, da un massimo di luce della tovaglia ad un minimo della parete di fondo, e poi da quella, aumentando sempre attraverso il paesaggio, di nuovo fino alla massima luminosità del cielo.
Di quella che nelle intenzioni dell’artista avrebbe dovuto essere la sua massima opera milanese, il gigantesco (m 7,20) Monumento equestre a Francesco Sforza, padre di Ludovico il Moro, non restano a noi che alcuni splendidi disegni (Windsor).
Dopo la caduta di Ludovico il Moro (1499) e la conquista francese del ducato di Milano il modello a grandezza naturale della statua divenne infatti bersaglio degli alabardieri di Luigi XII, ed andò in seguito completamente distrutto.
Per evitare i disordini conseguenti alla conquista Leonardo lasciò Milano recandosi dapprima a Mantova, dove eseguì un Ritratto di Isabella d’Este (cartone al Louvre, 1500), a Venezia, e poi a Firenze. In seguito fu per un anno (1502) al servizio di Cesare Borgia in Romagna in qualità di architetto militare.
Ma nel 1503, tornato in patria, dette inizio al cartone per la Battaglia di Anghiari alla quale avrebbe dovuto affiancarsi, in Palazzo Vecchio, la Battaglia di Cascina di Michelangelo. L’opera non sarà mai portata a termine ed anche il cartone (finito nel 1505) andrà in seguito distrutto; possiamo tuttavia farcene un’idea da alcune copie parziali e dai disegni preparatori (Budapest; Venezia; Londra, bm; Windsor, ecc.). Nell’episodio centrale, la cosiddetta Battaglia dello stendardo (Parigi, Louvre) Leonardo fa mostra di tutta la sua scienza sull’anatomia umana ed equina, di scorci e di composizione, della sua abilità nel rendere i moti più impetuosi, le passioni più violente.
Non possiamo oggi sapere quanto, nella composizione generale, avessero luogo gli elementi di «atmosfera» che parrebbero suggeriti da alcuni autografi e, soprattutto, dalla descrizione verbale di un suo celebre appunto. È probabile che sia in questo periodo che Leonardo eseguì il ritratto di Monna Lisa moglie di Francesco del Giocondo, la celebre Gioconda (Parigi, Louvre).
Nel 1506 Leonardo ritornò a Milano, questa volta al servizio di Carlo d’Amboise, signore di Chaumont, governatore della Lombardia per conto di Luigi XIII. Si suppone che in questa occasione abbia potuto porre mano alla seconda versione della Vergine delle Rocce (Londra, ng).
Nel settembre 1507, per contestare ai fratellastri l’eredità dello zio Francesco, rientrò in patria, e vi abitò per sei mesi in casa Martelli, assieme allo scultore Francesco Rustici, il quale attendeva al gruppo scultoreo del Battesimo di Gesù per il Battistero.
Nel luglio 1508 tornò però a Milano dove rimarrà fino al settembre 1513; cinque anni durante i quali pare essere stato soprattutto assorbito dagli studi di geologia, pur progettando anche un Monumento equestre a Gian Giacomo Trivulzio (disegno a Windsor) e proseguendo l’elaborazione del dipinto della Madonna col Bambino e sant’Anna, per il quale un primo cartone era già stato eseguito intorno al 1500 (Londra, Royal Academy) e che rimarrà, mai del tutto compiuto, nello studio dell’artista fino alla sua morte (Parigi, Louvre).
Il 24 settembre 1513 Leonardo lascerà Milano con i suoi allievi: nell’ottobre è a Firenze ed il 1º dicembre al servizio di Giuliano de’ Medici, fratello del papa LeoneX. Al servizio del Magnifico Giuliano, dilettante di filosofia e alchimia, Leonardo rimase sempre più esclusivamente interessato a questioni tecniche e scientifiche che trovano la loro, spesso unica, via espressiva in una strabiliante e quasi infinita serie di schizzi, disegni e annotazioni di cui solo una parte è riuscita a conservarsi sino ai nostri giorni, fin che questi morì (17 marzo 1516).
Fu allora che Leonardo decise di recarsi in Francia dove, sotto la protezione di Francesco I, passò gli ultimi anni ospite del castello di Clos-Lucé presso Amboise. Quivi lo visitò, nell’ottobre 1517, il cardinale d’Aragona in viaggio per l’Europa con il suo segretario, il quale ricorda di avervi visto una «infinità di volumi e tutti in lingua volgare» (lasciati in eredità all’allievo Francesco Melzi), e tre dipinti, un ritratto (la Gioconda), la Sant’Anna ed un San Giovanni Battista, che è unanimamente considerato l’ultima opera di Leonardo (Parigi, Louvre).
Gli scritti di Leonardo costituiscono l’insieme più vasto che sia giunto sino a noi ad opera di un artista.
Composto da circa cinquemila pagine di appunti, è verosimile che Leonardo stesso intendesse redigere e pubblicare delle opere organiche sopra argomenti diversi come accenna negli appunti del Trattato di anatomia (1508-10) per il quale, probabilmente, pensava ad un volume accompagnato da tavole esplicative. L’odierna dispersione geografica e frammentazione dei disegni e degli scritti di Leonardo è in gran parte dovuta, dopo la morte del suo erede, all’allievo Francesco Melzi, nel 1570, alla negligenza degli eredi e all’audacia dei mercanti.
Il momento culminante di questa «diaspora» coincide con lo smembramento dei quaderni operato intorno al 1600 da Pompeo Leoni e la conseguente separazione dei disegni, oggi in gran parte raccolti nei volumi della Biblioteca di Windsor, dai testi (Codice atlantico, Milano, Bibl. Ambrosiana).
La più recente successione cronologica degli scritti leonardeschi può essere così riassunta:
alcuni fogli del Codice atlantico risalgono agli anni giovanili mentre del primo periodo milanese sono conservati all’Istituto di Francia a Parigi i manoscritti B (1488-89 ca.), C (De luce et ombra, 1490 ca.), A (1492 ca.), BN o Ash 2038 e i taccuini H (1493-94), I (1497-99) e M (ante 1500).
Di questo gruppo fanno inoltre parte i tre Manoscritti Forster del vam di Londra, il Codice trivulziano (1487-90 ca.) del Castello Sforzesco a Milano contenente appunti di grammatica e lessicologia, e i due manoscritti della bn di Madrid Matr. 8937 e Matr. 8936 comunemente detti Codice Madrid I e Codice Madrid II, il secondo dei quali comprende in appendice un testo sulla fusione del Cavallo posteriore alle annotazioni risalenti agli anni 1503-505.
A questo periodo risale la ripresa degli interessi teorici su geologia, ottica, tecnologia ed anatomia da parte di Leonardo, testimoniati dai quaderni conservati nell’Istituto di Francia a Parigi (L, 1502-503 ca.; D e F, 1508; G, post 1510 ed E, post 1513), dal Codice sul volo degli uccelli (1505) della Bibl. Reale di Torino, dal Manoscritto Leicester (1505-506) e dalla raccolta Miscellanea, detta Manoscritto Arundel (1504-16) del bm di Londra.
L’originale iniziativa del Trattato della pittura, il cui principio base è quello secondo il quale la pittura deve tendere a divenire strumento di conoscenza permettendo di riunire i vantaggi dell’inchiesta speculativa a quelli della sua verifica visiva e della sua rappresentazione, giungendo ad una nuova e più efficace forma di speculazione filosofica, occupa Leonardo per tutta la vita a partire dal 1490.
Abbozzato a Milano tra il 1490 e il 1492 ed in seguito parzialmente redatto nella forma nota a Luca Pacioli che lo ricorda nel 1498, il Trattato viene ripreso nuovamente dal 1504 e ancora intorno al 1512.
I taccuini e le raccolte di note lasciati in eredità a Francesco Melzi in parte vennero utilizzati da quest’ultimo per una redazione del trattato.
Questa versione nota come Codice urbinate (Roma, Bibl. Vaticana), della quale circolarono numerose copie manoscritte, venne pubblicata intorno al 1651.
La struttura del Trattato di Leonardo, progressivamente complicata poiché il suo orientamento scientifico implicava una conoscenza enciclopedica, sottolinea il distacco dal modello umanistico dei precedenti trattati quattrocenteschi. In particolare l’approccio alle arti figurative si pone in modo del tutto autonomo rispetto alla poesia e alla letteratura, presupponendo una diversa cultura da quella degli umanisti.
Architettura
Benché costruisse poco o nulla, elaborò un modello per la cupola del duomo di Milano (1487, non real.) e durante gli ultimi anni della sua vita, passati in Francia, studiò un vasto prog. per una nuova città e un castello reale a Romorantin.
La sua influenza fu comunque grande, specialmente su bramante, che ne riprese l’interesse per le chiese a pianta centrale. Santa Maria della Consolazione a Todi (1508), iniziata da cola di matteuccio da caprarola, derivò probabilmente, attraverso Bramante, da uno dei suoi schizzi.
Ha lasciato gran numero di disegni arch., numerosi dei quali appositamente stesi per un divisato trattato di architettura.
Leonardo Scienziato
La grandezza di Leonardo da Vinci è stata quella di aver riassunto e reinterpretato in una sintesi non sistematica, ma genialmente aperta, quello che alle soglie del Cinquecento era ormai un accumulo di esperienze maturate da secoli nel mondo delle cosiddette arti meccaniche o “illiberali”. Nella sua opera troviamo un mondo variegato e difforme di pratiche tecniche, di stili locali e consuetudinari di lavoro, di tradizioni corporative e artigiane, di attività di cantiere e di bottega, certamente diffuse e in crescente sviluppo sotto la spinta della civiltà urbana, e tuttavia ancora prive di un linguaggio tecnico comune e, ancor più, di una consapevole riflessione teorica attorno ai propri fondamenti.
L’incontro di Leonardo con le macchine è l’incontro di un “orno sanza lettere” che, uscito non dal seno delle accademie ma dal laboratorio di una bottega d’arte, muove i primi decisivi passi verso la legittimazione teorica delle arti meccaniche, tentandone una prima fondazione dall’interno, meditando sia sui classici della geometria e dell’ingegneria antica, Euclide e soprattutto Archimede (cercati e studiati già dagli architetti e dai curiosi di macchine del Quattrocento), sia sulla filosofia platonica di Luca Pacioli e dell’ambiente fiorentino.
Le indagini di storia della tecnica fanno emergere un panorama sempre più ricco e complesso intorno a Leonardo, tanto che risulta difficile valutare se certi suoi progetti siano vere e proprie invenzioni o rivisitazioni di qualcosa che esisteva già. Il recupero di album da disegno, lo studio sistematico dei “teatri di macchine”, il confronto tra le varie documentazioni rendono infatti sempre più problematica la datazione o l’attribuzione certa di un’invenzione. Ciò che pare ideazione personale si scopre copia di disegni odi modelli preesistenti, spesso – in una tradizione conservativa come quella artigiana –risalenti a secoli prima e in certi casi migliori.
L’artigiano e l’ingegnere, prima che inventare, copiano e imitano e, secondo una linea costante nel Cinquecento, danno prova del loro ingenium meccanico combinando congegni e parti di macchine secondo la retorica dell’artificio, del “macchinoso”, in esatta opposizione alla semplificazione razionale della meccanica moderna.
Leonardo fissa nella memoria della pagina per accumulo casuale quegli arnesi, argomenti, dispositivi o le macchine che gli capita di trovare (inventio) e che possono prestarsi, con opportuni aggiustamenti, ai casi futuri. L’ingegnere fa tesoro di questa memoria accumulata, pronto a cercare in questo catalogo di esempi quello che meglio si presta al caso concreto. Egli incrementa il proprio catalogo di esperienze, raccontate in disegno piuttosto che dimostrate o misurate. Se però ci limitiamo a questo tipo di considerazioni non riusciamo certamente a cogliere l’essenza della genialità di Leonardo, che è da individuare semmai nella molteplicità di proposte tecniche che egli è in grado di suggerire e a cui i suoi tempi non sono ancora invece in grado di rispondere. Se infatti consideriamo solo il disegno dell’automobile, esso è molto inferiore a quello di Francesco di Giorgio Martini; lo scafandro o respiratore subacqueo è già documentato nelle opere di Conrad Kyeser (1366 – post 1405) e nel cosiddetto Anonimo della guerra hussita autore di note e osservazioni fondamentali per la conoscenza delle tecniche meccaniche (1430 ca.); la nave a ruote laterali ha un’abbondante serie di documentazioni manoscritte e forse risale a modelli romani; le macchine elevatrici costituiscono il corredo corrente dei manuali dei suoi predecessori e così pure i meccanismi a cremagliera combinati con viti senza fine, e lo stesso affascinante e fallimentare studio per la macchina volante dà corpo, con tenacia e perizia “scientifica”, a tentativi e progetti precedenti.
Artificio, inventiva e utopia
Certamente in Leonardo si trovano esaltate al massimo, e dispiegate con mirabile maestria, le doti comunemente richieste a un ingegnere o un architetto dell’epoca. L’architetto non è solo chi disegna o progetta manufatti e fortificazioni, ma anzitutto è il capocantiere in senso forte, colui che “comanda le attività del costruire” nella totalità delle competenze che il costruire in cantiere comporta. Leonardo, sulle pagine dei suoi codici, riflette e riassume la somma di attività tecniche delle diverse corporazioni operaie e artigiane, molte delle quali convivono assieme nell’impresa di cantiere. Così come richiesto a un ingegnere, Leonardo interviene per risolvere problemi e suggerire soluzioni, che egli detta con genialità incomparabile in tutti i campi della tecnica e delle costruzioni, dall’ingegneria civile e idraulica a quella militare, dalla meccanica di precisione alla progettazione di macchine utensili o di cantiere.
Di qui il dispiegamento di una quantità di proposte tecniche come la macchina automatica per incidere lime o molare gli specchi, il laminatoio per profilati conici, la macchina filatrice con meccanismo per la torcitura, meccanismi per la fresatura e l’alesaggio, sistemi antiattrito e per la compensazione dell’usura degli alberi. Proposte tecniche che in molti casi, per l’epoca, vanno al di là delle possibilità della loro materiale realizzazione. Nello scarto che si verifica tra la proposta del singolo e la capacità di risposta dei tempi sta la genialità tecnica di Leonardo. La macchina nell’età preindustriale è un prototipo che nasce ogni volta nel luogo e per la specifica funzione cui è destinata, legata alla natura dei materiali disponibili e alle usanze locali, e che pone limiti in termini di invenzione e innovazione. Perciò, rispetto alle condizioni oggettive e alla tradizione tecnica assestata su queste condizioni, a Leonardo non rimane che rinnovare per via di artificio inventivo o di utopia. Fatta salva la sua straordinaria qualità, va pur detto che il materiale illustrativo leonardesco, eccezionale per la vastità degli interessi e della somma perizia grafica, costituisce un saggio di documentazione tecnica e ingegneristica che non è insolito per architetti, tecnici e scienziati del suo tempo. Disegni e abbozzi di macchine sono appunti destinati a restare sulla pagina di album il tempo necessario a far passare congegni e manufatti dallo stato d’ideazione sommaria, e dunque priva dei caratteri di progetto, alla loro eventuale concreta realizzazione. Una breve vita, dunque, come breve è spesso la vita delle macchine, non solo per l’obsolescenza dei materiali, ma perché concepite in funzione di singole e specifiche prestazioni e il più delle volte legate alla durata di un’impresa o di un cantiere.
Organicismo e astrazione geometrica:
due visioni della macchina
Nel disegno di macchine convivono in Leonardo le sue esperienze di anatomista, di insaziabile indagatore della natura organica, e di ingegnere speculatore di meccanica e di geometria. La sua maestria di pittore e disegnatore si risolve in una straordinaria capacità di rendere il messaggio visivo. Leonardo sa che l’artigiano realizza a occhio e con sguardo d’assieme. Egli non disegna gli edifici o le macchine sotto forma di progetto (in pianta, prospetto e lato, o scomponendone le parti), ma serba organicamente l’insieme, scegliendo il punto di vista che offra il massimo d’informazione, cioè la veduta di scorcio e in assonometria, con un eccellente dominio della prospettiva.
Leonardo ingegnere non dimentica la sua esperienza di anatomista: ritrarre una macchina significa riprodurre, come per un corpo vivente, la sua unità organica, compresi i suoi più minuti connotati, anche se meccanicamente irrilevanti. La macchina non è ancora modello di serie, ma un individuo di una specie di cui vanno definiti non solo i tratti specifici, ma anche la sua realtà fisica, i suoi attributi individuali. Di essa Leonardo non dà quasi mai misure, inutili nel variare babelico di sistemi e linguaggi metrici locali.
Le misure vanno calcolate a occhio, ricavandole per proporzione dal modello, ritratto come un organismo umano, la cui integrità è indispensabile per collocare ogni membro nel tutto e ricavarne la proporzione per via di rapporti, mediante il canone di proporzioni. L’atlante di macchine è simile a un atlante di anatomia, come emerge bene dal muscolarismo antropomorfico ed erculeo delle sue macchine belliche. Ma Leonardo speculatore di meccanica e di geometria sa dare alla morphé anche l’eidos della macchina, la struttura fine e soggiacente del suo schema geometrico. Con grande economia grafica Leonardo specializza il suo disegno a due livelli, a seconda che ritragga corposamente la macchina come realtà fisica, nei suoi attributi materici, o che miri all’astrazione del suo schema geometrico, smaterializzandola in un tratto fine e omogeneo, quando lo studio riguardi le regole relazionali della macchina, le relazioni interne tra pesi e forze, e le regole ottimali di proporzione. Per Leonardo scienziato la gru o la balestra vanno risolte in un sistema di raggi e corde inscritti in un semicerchio, o le ricerche sulla resistenza dei materiali riducono i corpi fisici a semplici volumi geometrici. Qui l’astrazione e la generalizzazione delle forme sono volte alla determinazione delle condizioni costanti e assolute della macchina, agli aspetti deducibili solo per via di analisi mentale.
Dalla tecnica alla meccanica come scienza
Ricercare l’originalità inventiva di Leonardo solo nella capacità di immaginare e creare macchine nuove o diverse, se da un lato rischia continue smentite nel ritrovamento di modelli preesistenti, dall’altro finisce per falsare il senso della novità del suo apporto. La sua vera originalità è proprio quella di essere nello stesso tempo un artigiano e uno speculatore di meccanica e di geometria; in modo mai prima tentato Leonardo unisce insieme pratica ed esperimento in vista di una teoria delle macchine, scoprendo che è anche teoria della natura, teoria fisica.
In quel tempo l’artigiano acquisisce le proprie abilità manuali per imitazione ripetuta degli atti e conforma le proprie operazioni e procedure a un sistema di regole acquisite sotto forma di precetti e segreti del mestiere.
Egli sa ripetere per uso abitudinario e irriflesso i semplici precetti e sa attuarli di fatto, ma non sa darne una ragione necessaria e tanto meno una teoria. Leonardo invece passa dalla condizione di artigiano e ingegnere a quella di scienziato, meditando sulle condizioni di lavoro delle macchine e delle procedure artigiane. Egli ricerca la necessità delle ragioni che fondano il precetto, cioè le leggi universali e necessarie che sottostanno alle regole pratiche e irriflesse.
La genialità inventiva di Leonardo non sta dunque nella sua capacità “estensiva” di trovare congegni, quanto piuttosto in quella “intensiva” e analitica di meditare sugli elementi della macchina e scoprire le ragioni del loro funzionamento. Specie nei codici di Madrid, Leonardo non complica, ma scompone e semplifica le macchine, selezionandone gli organi alla ricerca di una prima grammatica degli elementi di macchine e di una loro prima teoria. La visibilità e l’analisi geometrica delle parti diventano un requisito indispensabile dell’intelligenza scientifica, come principale via alla scoperta di regole generali. Regole che egli individua in una geometria delle forme e nella proporzione dei pesi e delle forze, accertabili razionalmente attraverso le dimostrazioni matematiche. Questo è il grande mutamento operato da Leonardo nel seno stesso delle arti. Per Leonardo la meccanica rappresenta “il paradiso delle scienze matematiche”, poiché è nel giardino fecondo della meccanica che si gusta a pieno il frutto della matematica, sia come conoscenza delle ragioni ultime e dei fondamenti, sia come scienza produttrice dei principi del costruire. Solo chi sa conoscere sa fabbricare; conoscere però è anche sperimentare, vale a dire spiegare le ragioni di un’esperienza. E per Leonardo le ragioni sono quelle matematiche, possedute le quali si possiede la stessa legge della natura.
Con il primato della spiegazione matematica prende avvio quel processo di trasformazione delle arti in tecnica e della tecnica in scienza che troverà sbocco in Galilei e nella nascita della fisica moderna. E poiché per Leonardo tra macchina e natura c’è analogia di struttura e, dunque, comunanza di leggi, non rimane che riconoscere che la stessa natura è meccanica. L’indagine dell’ingegnere finisce così per coincidere con quella del fisico e dello scienziato. Solo che per Leonardo l’aspetto meccanico e matematico delle cose non è ancora esclusivo; se la macchina è lo scheletro della natura, alla natura rimane tuttavia la carne, la concreta bellezza dell’ornato. Se l’universo mentale delle ragioni è ormai dominio dello scienziato, all’artista rimane quello delle forme concrete che restano, per Leonardo, il tesoro nascosto e inesauribile della natura.
Codice Atlantico
Risulta essere il “libro grande” descritto nella donazione di Galeazzo Arconati alla Biblioteca Ambrosiana. In foglio grande (mm. 440 X 650), consta di 393 carte che raccolgono circa 1600 foglietti, per lo più autografi. La legatura in cuoio rosso reca la leggenda: Disegni di machine et delle arti segrete et altre cose di Leonardo da Vinci, raccolte da Pompeo Leoni. Fu edito in facsimile e con trascrizione diplomatica e critica di Giovanni Piumati, dal 1894 al 1904, a cura di Ulrico Hoepli; l’edizione fu promossa dalla R. Accademia del Lincei. La sua compilazione risale al tempo del soggiorno spagnolo di Leone Leoni, il quale, smembrando i manoscritti vinciani in suo possesso, ne formò due raccolte fittizie, seguendo un criterio di separare gli schizzi e gli appunti artistici e di anatomia dagli altri ritenuti di meccanica e in genere di scienza. La prima, venduta al re di Inghilterra, è conservata al castello di Windsor; la seconda, passata al Calchi e all’Arconati, nel 1637 entrò a far parte della Biblioteca Ambrosiana insieme agli altri codici vinciani, con i quali nel 1796 fu trasferita a Parigi, già con la denominazione di Codice Atlantico (dal formato di atlante), e fu anche il solo codice a essere restituito all’Italia, mentre gli altri rimasero alla Biblioteca dell’Istituto di Francia, dove il nostro incaricato non seppe cercarli. Il particolare temperamento di artista doveva guidare il Leoni alla preferenza per i disegni che ora sono a Windsor; anche l’omogeneità della materia giustifica questo orientamento. Nell’altro codice miscellaneo, ove senz’ordine furono raccolti i fogli di argomento diverso, per lo più scientifico, l’ordinamento fu retto dal solo criterio dell’economia di spazio, di modo che qualche disegno venne a esser diviso in due parti, e appunti originali confusi con altri non autografi. Dire del Codice Atlantico riesce perciò difficile, ove non si voglia parafrasare la stessa somma del sapere vinciano. Le note biografiche si aggiungono alle osservazioni dei fenomeni naturali, alle sperimentazioni scientifiche, agli studi di meccanismi diversi. È a f. 391 recto-b la nota minuta di lettera a Ludovico il Moro, ritenuta non autografa ma originale, in cui il Maestro, all’atto della sua venuta a Milano, illustra le sue capacità nel campo dell’ingegneria militare, dell’artiglieria, dell’architettura e offre i suoi servigi per la modellazione della grande statua onoraria in bronzo di Francesco Sforza: in tutto ciò egli afferma di esser disposto a concorrere e “paragone di ogni altro, sia chi vuole”. Molti, anzi in preponderanza, sono nel Codice Atlantico i fogli che si riferiscono al soggiorno milanese di Leonardo. Le notazioni di ingegneria idraulica documentano l’importante apporto recato agli studi di canalizzazione dell’agro lombardo iniziati già sotto la signoria viscontea e realizzati, con imprese che hanno del colossale, soltanto allo scorcio del Cinquecento. Nella nobile schiera di valenti progettisti che lo avevano preceduto, da Filippino degli Organi ad Aristotele Fioravanti, Leonardo si inserisce con nuovi ritrovati, come il perfezionamento delle “conche” o con progetti grandiosi, come congiunzione a Milano dell’Adda, derivata alla località Tre Corni. Larga parte hanno pure i disegni di macchine belliche (balestre, mitragliere, cannoni a retrocarica) e di fortificazioni militari, i dispositivi nautici, le invenzioni tecnologiche, gli studi di architettura e di cartografia, le esercitazioni grammaticali; ma più intensa suggestione rendono gli incisivi abbozzi di schemi alari per il volo meccanico, ricostruiti in base a precise osservazioni sul sistema anatomico dell’uccello e portati a dimensioni impressionanti. Profili per medaglie, idee per dipinti, modelli per i monumenti equestri ai quali la sorte fu tanto matrigna: tutti ingemmano i preziosi foglietti, accatastati a caso, vari di grafia e di tecnica, raramente spuri, sempre partecipi del favoloso mondo speculativo vinciano.
Trattato della Pittura
Risulta essere una raccolta di pensieri e appunti tratti dai manoscritti di Leonardo da Vinci, redatta circa il 1550 da un anonimo, probabilmente lombardo, a torto identificato con Francesco Melzi.
Risulta essere noto il proposito di Leonardo di comporre una grande opera sulla pittura: è però dubbio se essa sia mai stata interamente compiuta. Nella migliore redazione pervenutaci – quella del Codice Urbinato 1570 della Biblioteca Vaticana – il Trattato comprende 944 paragrati o capitoletti: l’ordinamento alquanto meccanico della materia si deve al compilatore. La prima edizione a stampa, curata da Rafael Du Fresne, apparve a Parigi nel 1651. Seguirono molte altre edizioni; tra le moderne, notevoli quelle di H. Ludwig (Vienna, 1882) e di Angelo Borzelli (Lanciano, 1914). Il Trattato si apre con una disputa, che ha sapore di esercitazione accademica, sulla preminenza della pittura rispetto alle altre arti. La distinzione dei mezzi e dei limiti delle arti (per cui per esempio la poesia agisce successivamente sull’immaginazione del lettore mentre la pittura rende tutte a un tempo sensibili all’occhio e come reali le cose rappresentate) è addotta da Leonardo, in modo talora ingenuamente empirico e sofistico, come prova di superiorità della sua arte prediletta. Così la pittura vince la scultura perché, a differenza di questa, può abbracciare e restringere in sé tutte le cose visibili, e deve conquistarsi, disponendo solo di una superficie piana, rilievo e profondità spaziale. Anche la musica è sorella minore della pittura giacché scompare nel punto stesso che nasce, mentre il disegno resta nel tempo. La disputa (tema abusato nella posteriore letteratura artistica del Cinquecento) si giustifica e si conclude con un’esaltazione della pittura, concepita come scienza fondata dall’esperienza e su tutte mirabile, dai cui princìpi discende l’operazione manuale dell’artista. Mentre Leonardo da un lato accentua l’empirismo dei primi teorici toscani, del Quattrocento nel concepire la sua arte come conoscenza naturale e nel determinarne le leggi, dall’altro intende l’imitazione delle cose a cui quella conoscenza conduce come un “fare di fantasia”, a mentale e interiore elaborazione del modello, e approfondisce la coscienza della spiritualità dell’arte quale espressa nella famosa La Pittura di Leon Battista Alberti. Rispecchiando nella sua opera la natura immensa e animata e moltiplicandone gli aspetti, il pittore supera la natura stessa e diviene quasi un Dio (“la deità ch’ha la scienza del pittore fa che la mente del pittore si trasmuta in una similitudine di mente divina”). Enunciati alcuni precetti generali di studio e di vita (necessità per il pittore di essere universale, capace cioè di rappresentare tutte le cose; di seguire la natura e non la maniera di altri; di giudicare severamente l’opera propria), segue la trattazione, non sempre ordinata, delle varie parti della pittura. Fondamenti di essa sono per Leonardo il rilievo, ottenuto per mezzo della luce e dell’ombra, il movimento e l’espressione psicologica. Molto minore importanza ha per lui il colorito; il suo ideale stilistico di una forma plastica immersa nell’atmosfera, di un chiaroscuro che trapassa in “sfumato”, tende appunto ad assorbire il colore nell’ombra. Il suo interesse per quest’ultimo elemento, qualità artistica di ogni forma, si esprime, anche sotto specie di classificazioni scolastiche, in innumerevoli passi. Alla teoria delle ombre si riconnettono in parte gli acuti accenni all’effetto dei riflessi sui colori. Molto diffusamente Leonardo discorre anche del moto, legge della vita universale oltre che necessità dell’arte. Così le proporzioni non sono fissate secondo un canone statico ma indagate nel loro variare nel moto. Viva attenzione è rivolta al linguaggio dei gesti e alla fisiognomica, con particolare riguardo alle caratteristiche individuali. Anche la teoria della prospettiva è originalmente esposta da Leonardo, che distingue, accanto alla prospettiva geometrica e lineare (scientificamente elaborata dall’Alberti a Piero della Francesca, autore del trattato De prospectiva pingendi, quella “di colore”, risultante dal variare dei colori che si allontanano dall’occhio, e quella “aerea”, effetto della diversa densità dell’aria interposta. L’ultima parte del Trattato contiene ammirevoli osservazioni sul paesaggio – di cui Leonardo è il primo a riconoscere l’importanza come materia di opera d’arte in sé -, sugli alberi, le nuvole, l’orizzonte. Talune di esse descrivono effetti di luce solare e fenomeni atmosferici elaborati pittoricamente solo dai veneti del Cinquecento o perfino dagli impressionisti ottocenteschi, e che Leonardo osserva e annota senza però consigliarne l’applicazione alla pittura. Nel suo nucleo sostanziale, espresso in geniali e frammentarie intuizioni, il Trattato è un programma della pittura leonardesca (cosicché scritti, dipinti e disegni si illuminano a vicenda) e insieme del nuovo gusto figurativo del Cinquecento, in quanto Leonardo ne anticipa e fissa alcuni tratti essenziali. Il più intimo interesse dell’opera è in questo suo carattere autobiografico, per cui il cammino spirituale dell’artista in essa raffigurato si identifica con quello stesso dell’autore. Di tutto ciò che lo interessa pittoricamente, Leonardo è tratto a formulare le leggi, movendo dall’arte alla conoscenza scientifica e filosofica dell’universo. Ma la pittura resta sempre per lui il modo supremo di esprimere la realtà assoluta attinta attraverso tale conoscenza. In questo ideale di pittura cosmica, arte e filosofia si saldano profondamente nel cuore stesso della personalità leonardesca. Le idee vinciane sull’arte, nonostante il loro carattere fortemente personale, ebbero larga risonanza specie in Toscana e in Lombardia nella seconda metà del sec. XVI. Di esse si giovò in parte anche Alberto Dürer nei suoi scritti teorici sulle proporzioni.
La Dama con l’Ermellino
La dama del dipinto è identificata nella favorita di Ludovico il Moro, duca di Milano, alla cui corte Leonardo lavorò per molti anni come pittore, scultore e ingegnere.
Si racconta che la donna fosse una musicista di talento, che parlasse fluentemente il latino e che partecipasse spesso a incontri di filosofia tra eruditi.
Questo ritratto sembra assai verosimile non solo per l’estrema finezza dei dettagli, ma anche per la spontaneità dell’atteggiamento della giovane e bella dama. Mentre volge il busto a sinistra, gira la testa verso destra come se qualcosa abbia attratto la sua attenzione. In questo modo, Leonardo può evitare la rigidezza del ritratto di profilo o frontale in uso all’epoca. L’ermellino è dipinto in modo molto realistico, e viene accarezzato dalla dama con grande naturalezza.
La Gioconda
La Gioconda è il più celebre ritratto di tutti i tempi e, nel contempo, uno dei dipinti più misteriosi.
Sí è ritenuto che raffigurasse la sposa del cittadino fiorentino Francesco del Giocondo, nota come Monna Lisa, ma non è stato mai provato con certezza.
ll fascino unico di questo dipinto è probabilmente dovuto al ricorso allo stile “sfumato”, un fine e quasi impercettibile velo steso sopra il viso, ma anche sul paesaggio, in questo modo Leonardo può evitare, la puntigliosa rigidezza richiesta nella sua epoca al ritratto. Le tonalità sfumano l’una nell’altra, il paesaggio si fonde con la figura umana e l’universo con l’umanità, diventando una cosa sola.
Monna Lisa posa con semplicità, ma in modo attentamente studiato. Leonardo ricorre alla geometria per dare realismo alla figura seduta: la donna ha il busto appena girato a sinistra, mentre lo sguardo è diretto verso l’osservatore.