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La filosofia parmenidea aveva sollevato la questione del rapporto tra unità e molteplicità. Da un lato, infatti, le rigorose deduzioni logiche di Parmenide avevano provato che l’essere è uno ed è immutabile, dall’altro la comune esperienza dei sensi attesta l’esistenza di un mondo in continuo divenire e caratterizzato dalla molteplicità. È anche vero che il filosofo di Elea non aveva negato del tutto la pluralità e il divenire, ma aveva affermato che essi non sono la verità, bensì parvenza che va comunque conosciuta e di cui è possibile dare una spiegazione verosimile, la cosiddetta doxa che significa opinione.
Ma proprio tale concessione di una certa realtà al mondo dei sensi conteneva in nuce una contraddizione: se il divenire e la molteplicità sono altro rispetto all’essere, allora non possono che essere non essere e quindi non esistono; se, invece, si ammette che esistono, allora l’essere non è uno e immutabile come sostiene la filosofia parmenidea. Inoltre c’era chi, come per esempio i medici, non si accontentava di una spiegazione opinabile del mondo sensibile per cui rivendicava la possibilità di una conoscenza vera e rigorosa.
Di fronte a tali aporie, seguaci di Parmenide, come Zenone e Melisso, portarono alle estreme conseguenze il discorso eleatico, negando ogni realtà alla molteplicità e al divenire, altri filosofi come Empedocle, Anassagora e Democrito, poi definiti i pluralisti, mostrarono, invece, come fosse possibile rendere conto dell’esistenza, attestata dai sensi, della pluralità e del divenire senza per questo venire a meno all’unità e all’immutabilità dell’essere parmenideo.
Essi, infatti, ammisero l’esistenza di una pluralità esseri o enti eterni, immutabili e intrinsecamente unitari, dalla cui unione si originano tutte le cose sensibili. Lo scopo dei pluralisti era quello di salvare il mondo dei fenomeni – dal greco phainomenon significa ciò che appare – dall’irrazionalità al fine di giungere a una comprensione unitaria e razionale del mondo.
I paradossi di Zenone
Allievo di Parmenide vissuto tra la fine del VI e l’inizio del V secolo a. C., viene ricordato dalla tradizione come agguerrito difensore delle idee del maestro e inventore della dialettica, intesa come arte della confutazione.
L’affermazione parmenidea che l’essere è uno, indivisibile e immutabile veniva, infatti, attaccata da più parti in nome del senso comune, Zenone allora dimostrò che se si assumono tesi contrarie a quelle eleatiche, da esse derivano conseguenze ancora più assurde. Egli ideò quaranta paradossi – dal greco parà (contro) doxa (l’opinione comune), argomenti logicamente validi le cui conclusioni però sono contrarie all’opinione comune – per difendere l’unità e indivisibilità dell’essere e quattro paradossi contro il movimento.
Questi paradossi utilizzano la forma di dimostrazione per assurdo, ovvero assumono in via provvisoria un’ipotesi, la svolgono logicamente fino a dedurne una conclusione contraddittoria e quindi assurda. La conclusione falsa prova che anche l’ipotesi iniziale è falsa. Questa è la dialettica come arte della confutazione.
Paradossi sulla pluralità e divisibilità dell’essere
Ammettiamo che l’essere sia divisibile, ciò implicherebbe che sia costituito di un certo numero di parti, queste parti possono essere finite o infinite. Consideriamo il caso che queste parti siano di numero finito e ipotizziamo per esempio che esse siano due, queste due parti devono essere distinte, quindi deve esistere un terzo elemento divisore che permetta di distinguerle. A sua volta anche questo terzo elemento deve essere distinto dalle due parti, per cui esisteranno altri elementi divisori distinti l’uno dall’altro. Questo ragionamento può essere ripetuto all’infinito, per cui il numero delle parti non può essere finito bensì infinito. Ipotesi confutata.
Ora consideriamo il caso in cui il numero delle parti sia infinito, queste parti possono essere estese o inestese, ovvero avere una grandezza e quindi occupare uno spazio o esserne prive. La grandezza totale è la somma delle singole parti, per cui se le parti fossero inestese, sommeremmo parti infinite e nulle e il risultato dell’operazione sarebbe nullo. L’ente somma di infiniti enti nulli sarebbe esso stesso nullo. Ipotesi confutata.
Ora consideriamo il caso in cui le parti infinite siano estese. Anche sommando infinite parti estese si ottiene un risultato infinito (infiniti granelli di sabbia sommati occupano uno spazio infinito). L’ente somma di infiniti enti estesi è esso stesso infinito, ciò vale sia per il tutto che per ogni singola parte di esso, il che va contro il senso comune. Ultima ipotesi confutata
Paradossi sul movimento
Vediamo quelli più famosi
Il paradosso dello stadio. Immaginiamo di essere in uno stadio e di volere raggiungere il punto opposto a quello in cui ci troviamo e che chiamiamo B, mentre quello in cui ci troviamo A. Prima di raggiungere il punto B, dobbiamo arrivare al punto intermedio fra A e B che chiamiamo C, ma prima di giungere a quest’ultimo dobbiamo passare per il punto intermedio fra A e C che chiamiamo D e così via all’infinito. Ma è assurdo pensare di potere percorrere infinite parti di spazio in un tempo finito, i corpi non si possono muovere in uno spazio infinitamente divisibile, cioè continuo.
Il paradosso di Achille. Immaginiamo che Achille e la tartaruga siano impegnati in una corsa e che Achille Piè Veloce dia alla tartaruga un vantaggio anche piccolo. Per superare la tartaruga, Achille dovrebbe prima raggiungere la posizione in cui essa si trovava al momento della partenza, ma nel frattempo la tartaruga si sarà spostata anche di poco, così Achille dovrà raggiungere questa nuova posizione, mentre la tartaruga avrà compiuto altri passi in avanti. Il ragionamento può essere ripetuto all’infinito: Achille si avvicinerà sempre più alla tartaruga, ma questa avrà comunque un vantaggio.
Il paradosso della freccia. Immaginiamo di scagliare una freccia, essa ad ogni istante occuperà uno spazio pari alla sua lunghezza e dato che il tempo in cui si muove è fatto di istanti, ad ogni istante in realtà la freccia sarà immobile. Il movimento della freccia è solo apparente perché dalla somma di istanti immobili non può scaturire il movimento.
Il grande merito di Zenone è quello di avere calato l’essere di Parmenide in un contesto fisico, spazializzandolo e traducendo l’opposizione essere/non essere in quella fra unità e molteplicità con conseguenze non irrilevanti per la fisica e la matematica.