Nel passaggio dalla ventisettana alla quarantana il problema linguistico è in primo piano.
Il passaggio alla quarantana è il proseguire di un percorso già iniziato dopo il Fermo e Lucia, che tende ad una lingua comune e media.
Criteri fondamentali della prassi correttoria manzoniana:
1) Espunzione di idiotismi lombardi, cioè le forme che la ventisettana aveva ammesso in quanto coincidevano con il toscano anche perché ciò avveniva soprattutto nel registro comico del toscano del Cinquecento e Seicento; sostituzione con forme stilisticamente medie che non vadano verso il basso, e che insieme abbiano impronta linguistica comune, non esclusivamente fiorentine ma circolanti per l’Italia. Pontare forma senza anafonesi è corretto in puntare; santarella riferito a Lucia forma con ar intertonico usata in qualche caso a Firenze ma minoritaria rispetto alla forma fiorentina e italiana più comune, viene corretto in santerella. Per la nostra sensibilità linguistica le forme della nostra lingua sono quelle che il Manzoni sceglie per la quarantana che avranno quindi lunga storia, nel lessico si vede ancora più chiaramente che nella fonetica: nella ventisettana più volte ricorre il termine barbugliare che ha un corrispondente dialettale nel milanese, presente negli autori comici toscani e nel vocabolario della Crusca; a questo stadio Manzoni rifugge da questi termini e corregge con i più comuni balbettare o brontolare o borbottare. Quanto alla sintassi l’utilizzo del pronome La (la è forse, la viene, la fa) per ella, tipico della lingua milanese ma presente nella tradizione comico-realistica toscana e nel parlato fiorentino comune, viene sentito come tratto dialettale da Manzoni che sceglie di espungerlo, non sparisce del tutto ma c’è forte riduzione, La è forse diventa è forse senza pronome, eliminazione insomma di un La pleonastico.
2) Eliminazione ampia degli aulicismi, fossero essi arcaici o letterari, sostituiti da forme linguistiche comuni tutte correnti a livello nazionale; Manzoni non sceglie il fiorentino municipale della città di Firenze, sta cercando una lingua nazionale. Esempi di tipo fonetico: nimico corretto con nemico, nimico forma aulica letteraria come il romore del Fermo e Lucia, resistono nella ventisettana e vengono corretti nel passaggio alla quarantana; giugnere forma di sapore letterario corretta in giungere. Esempi di tipo morfologico: il pronome ei maschile di terza persona che sopravviveva nella ventisettana è eliminato senza alcuna sostituzione, non solo si elimina una forma letteraria ma si passa dall’espressione del pronome soggetto alla sua omissione; il pronome di sesta persona eglino è eliminato e può essere sostituito con il meno ricercato essi. Esempi di tipo lessicale: agguatare Che diventa spiare; orare diventa pregare. Quella lingua media e comune a tutto il paese in cui ci sono parole e frasi comuni che ognuno intende al primo ascolto senza bisogno di cercare sui vocabolari per capire se un termine è supportato o no dalla tradizione letteraria, quella lingua che il Manzoni, nell’introduzione al Fermo e Lucia del 1823, aveva prospettato come condizione necessaria per la scrittura di un romanzo, quella lingua che in Italia non esisteva, la crea egli stesso. La decisione è quella di costruire egli stesso per sé e per tutta l’Italia una lingua che possa essere davvero comune grazie al riferimento al fiorentino parlato. Esempi di tipo sintattico: costruzioni arcaizzanti come l’uso del gerundio preposizionale (in passando) vengono sostituite da costruzioni o all’infinito (nel passare) o con il gerundio senza preposizione (passando). Nella categoria dell’eliminazione di forme auliche letterarie si può inserire la larga introduzione di fenomeni tipici del parlato: tematizzazioni, dislocazioni a sinistra, anacoluti, uso del CI attualizzante. La frase della ventisettana “avrete pane” nella quarantana diventa “pane ne avrete” con l’anticipazione del complemento oggetto ripreso dal pronome; nel discorso diretto “io mi figuro di sì della ventisettana” diventa “a me mi par di sì” espressione molto corrente nel parlato medio; nella parte narrativa “di quella notte non si ricordava” del 1827 nel 1840 “di quella notte non se ne rammentava”. È il processo che Enrico Testa definisce con una felice espressione “lo stile semplice”, Manzoni cerca lo stile medio che si avvicini alla rappresentazione della lingua parlata.
3) Introduzione di fiorentinismi, forme proprie del fiorentino parlato che non c’erano nella lingua letteraria, attenzione a non assolutizzare questo aspetto ma a considerarlo a fianco degli altri prima osservati. Alcune di queste forme erano di uso nazionale anche se non erano state diffuse dalla lingua letteraria, altre invece sono dei veri municipalismi, parole vive solo a Firenze, e saranno queste ultime a non avere successo e a non riuscire ad imporsi. Esempi: dal punto di vista fonetico riduzione del dittongo uo dopo consonante palatale, spagnuolo diventa spagnolo nella quarantana, bracciuolo diventa bracciolo, giuoco diventa gioco, l’unica forma che Manzoni non corregge è figliuolo, questa innovazione manzoniana si afferma anche nellitaliano che parliamo noi; sempre sull’esempio del fiorentino Manzoni riduce il dittongo uo in alcune parole anche se non è dopo palatale, si muove diventa si move, vuoto diventa vòto, uova diventa ova, ma bada che questa riduzione di uo non è generalizzata, nella quarantana rimangono buono, nuovo, cuore, uopo. Perché allora questa parziale riduzione? Nel momento in cui egli corregge il romanzo c’erano oscillazioni nel fiorentino parlato dalle classi colte, si diceva si move ma buono, Manzoni rispetta lo stadio del fiorentino dell’epoca sua. La degenerazione di questa posizione si ha dopo il 1840, in Manzoni stesso ma soprattutto nei suoi seguaci. Esempi di morfologia: i pronomi egli ed ella soggetto vengono corretti in lui e lei, o ancora più frequentemente sono soppressi i pronomi soggetto, uso corrispondente all’evoluzione dell’italiano contemporaneo; Manzoni corregge “che cosa” in “cosa” come interrogativo; corregge poi tutte le prime persone dell’imperfetto dalla forma etimologica in –a a quella analogica sulla desinenza del presente in –o, fiorentinismo già vivo a livello parlato e negli scritti non letterari anche nel resto d’Italia, innovazione significativa che dà statuto letterario a un carattere morfologico non estraneo al resto d’Italia. Esempi di tipo lessicale: porta è corretto nel fiorentinismo uscio. Esempi di tipo sintattico: si aveva da fare diventa si aveva a fare, uso tipicamente fiorentino.
4) Eliminazione dei doppioni, Manzoni in questa revisione linguistica ha una prospettiva fortemente segnata dalle sue idee illuministe: per i classicisti gli allotropi erano una ricchezza e una risorsa che si doveva preservare e coltivare, per Manzoni è l’esatto opposto, una lingua deve essere chiara e precisa, per un concetto deve esserci una sola denominazione comune a tutta la nazione. In questo Manzoni è più realista del re, anche le forme concorrenti che esistevano nel fiorentino dell’epoca e che avrebbe potuto utilizzare in alternanza se fosse stato coerente con il riferimento al fiorentino, vengono da lui falcidiate e ne utilizza solo una. Esempi: nel fiorentino dell’epoca anche parlato si usava sia ti dimanda sia domanda, nella quarantana si trova solo domanda, dimanda è eliminato; nel fiorentino dell’epoca così come nell’italiano contemporaneo si potevano avere le preposizioni fra o tra, il Manzoni impiega soltanto tra perdendo l’allotropia; se nel fiorentino dell’epoca e nella lingua letteraria si avevano sia eguale sia uguale, nei Promessi Sposi del 1840 abbiamo solo uguale. Le forme appena citate sono quelle che hanno avuto più fortuna nell’italiano contemporaneo, ma nell’alternanza tra giovine e giovane Manzoni sceglie di impiegare sempre giovine; nell’alternanza tra sacrifizio e sacrificio Manzoni utilizza sempre sacrifizio, benefizio e così gli altri composti con ficio/fizio. In tutta la prassi correttoria della quarantana il Manzoni sceglie e inaugura qualcosa che in Italia non esisteva, una lingua di stampo nazionale e comune che trova la sua convalida nell’uso fiorentino; dunque non è intento specifico del Manzoni l’impiego del fiorentino vivo, ma si inserisce in una ricerca di questo tipo. Questo punto si oscura negli anni successivi, in parte perché nella fase della quarantana, essendo non un logico ma uno scrittore e un artista, si permette delle azioni sul suo punto di riferimento, il fiorentino vivo eliminando per esempio gli allotropi; in seguito, quando è chiamato a impegnarsi anche dal punto di vista teorico (vedi la relazione sull’unità della lingua e sui mezzi per diffonderla per il ministro Broglio del 1868) le sue posizioni si irrigidiscono e radicalizzano e con ciò incapperà nelle critiche del Giusti: nelle lettere manzoniane e negli scritti che seguono il 1843 inizia a scrivere bono, forma segnatamente fiorentina di stampo popolare, scrive novo, impiega il congiuntivo imperfetto dasse al posto di desse, optando fortemente per l’idiotismo fiorentino in tutte le sue varietà municipali contro la lingua letteraria. Gli epigoni di Manzoni faranno ancora peggio adottando forme stucchevolmente fiorentine che a tutti gli uomini colti italiani non potevano che stonare all’orecchio. L’uso di una lingua del genere da parte dei manzoniani scatena la reazione significativa di Graziadio Isaia Ascoli: nel proemio all’archivio glottologico italiano del 1873 egli reagisce alla pubblicazione del Novo dizionario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze dicendo che non è possibile imporre a tutta l’Italia la lingua di un’unica città, una lingua che non ha ancora gli strumenti culturali per diffondersi, ed è necessario invece aspettare che la cultura e le vicende degli italiani arrivino ad un’unificazione. Significativamente però l’Ascoli, nell’esporre le sue tesi, mostra solo rispetto nei confronti di Manzoni e della sua opera letteraria: lo chiamerà “quel grande che… ha estirpato il canto della retorica dalla storia letteraria italiana”, ed è davvero quello che Manzoni porta a compimento.