facile impelli ut in Galliam venirent, suis quoque rebus eos timere voluit, cum
intellegerent et posse et audere populi Romani exercitum Rhenum transire.
Accessit etiam quod illa pars equitatus Usipetum et Tenctherorum, quam supra
commemoravi praedandi frumentandique causa Mosam transisse neque proelio
interfuisse, post fugam suorum se trans Rhenum in fines Sugambrorum
receperat seque cum his coniunxerat. Ad quos cum Caesar nuntios misisset, qui
postularent eos qui sibi Galliae bellum intulissent sibi dederent, responderunt:
populi Romani imperium Rhenum finire; si se invito Germanos in Galliam
transire non aequum existimaret, cur sui quicquam esse imperii aut potestatis
trans Rhenum postularet? Ubii autem, qui uni ex Transrhenanis ad Caesarem
legatos miserant, amicitiam fecerant, obsides dederant, magnopere orabant ut
sibi auxilium ferret, quod graviter ab Suebis premerentur; vel, si id facere
occupationibus rei publicae prohiberetur, exercitum modo Rhenum
transportaret: id sibi ad auxilium spemque reliqui temporis satis futurum.
Tantum esse nomen atque opinionem eius exercitus Ariovisto pulso et hoc
novissimo proelio facto etiam ad ultimas Germanorum nationes, uti opinione et
amicitia populi Romani tuti esse possint. Navium magnam copiam ad
transportandum exercitum pollicebantur.
Commento
Le necessità per cui Cesare scrive il de bello civili sono legate al bisogno morale di difendere la propria azione da parte del vincitore che è anche colui da cui è partita la guerra e poteva essa apparire discutibile anche in ambienti vicini a Cesare; dall’altra parte deve dimostrare l’immoralità del nemico. Ma poiché la guerra è civile ed è terminata non è produttivo dare forza al senso di ostilità ma cercare una conciliazione che dia ragione istituzionale e morale di chi ha agito come Cesare.
Nel de bello gallico le ragioni di una conquista romana sono meno evidenti, sono ragioni retoriche e pratiche: Cesare è comandante a cui è stato affidato il governo della provincia gallica ed egli travalica il suo compito, ciò che dà l’avvio è lo spostamento di popolazioni seminomadi, gli Elvezi colpiti da calamità naturali e pressati da nemici che a loro volta si spostano chiedono a Cesare di poter attraversare il territorio della provincia e degli Edui amici dei romani, richiesta che rispetta imperium e ruolo di Roma. Cesare nega il passaggio e gli Elvezi decidono di seguire una via alternativa; per Cesare è l’occasione di trasformare l’insistenza degli Elvezi nel casus belli e dichiara guerra a questa popolazione ed arriva a ridurla profondamente. Non c’era motivo di intervenire dal momento che gli Elvezi hanno accettato il rifiuto, lo spostamento degli Elvezi mette a rischio gli Edui e Cesare ha gioco facile nel presentare l’intervento come difesa del proprio territorio e di quello dei socii a rischio. A Cesare non basta il territorio di provincia ma cerca il caso di Ariovisto, capo di popolazioni germaniche, Cesare li chiama Svevi, e contro Ariovisto sollecitano l’intervento di Roma gli Edui perché Ariovisto ha invaso parte del territorio e minaccia la popolazione dei Sequani. Cesare occupa la capitale dei Sequani, decisione messa in discussione dai suoi stessi legati; Ariovisto all’inizio rifiuta il combattimento in campo aperto, poi vi è costretto e viene sconfitto e si ritira al di là del Reno dove non costituiva più minaccia. È chiaro che Cesare va alla ricerca di pretesti, come nel capitolo in oggetto: nel 56 a. C. ha mano libera sulla Gallia e dunque prima tenta un’impresa in Germania valicando il Reno, la presenta come successo ma non raggiunge alcun effetto, poi tenta di entrare in Britannia; cerca battaglie e vittorie non per protezione della provincia ma per allargare la provincia e costruire il monumento a se stesso, che sarà il de bello gallico. Questo monumento come il mito della sua persona si fonda qui mentre il de bello civili ne rappresenta l’applicazione dopo che era stato messo in discussione dalla guerra civile ed egli ha bisogno di difenderlo.
Cesare, dopo l’accordo di Lucca e tornato a capo delle truppe, decide la spedizione in Germania.
L’impresa non è successo come quella in Britannia ma qui tornerà nel 55 con maggiori forze, ma non porta reale sottomissione della Britannia che verrà conquistata sotto Claudio. Egli presenta la Gallia come pacificata anche se in realtà è in fase organizzativa dopo sconfitte, o gli sfugge o gli è comodo celarlo. Il IV libro è quello centrale, posizione di grande rilievo, in poesia sede del secondo proemio (Callimaco, Apollonio Rodio, Virgilio). In prosa è meno frequente ma non sembra casuale che proprio qui cambi il ruolo dei Romani da difesa ad offesa a partire dal 56. Cesare ci fornisce la cartina della Gallia e fissa la distinzione Galli Germani non così netta, sono due etnie separate: presenta usi e costumi dei Galli nel I libro e dei Germani nel VI. Esiste tuttavia una fascia intermedia sulla quale sorvola perché gli serve presentare la conquista della Gallia come di un universo chiuso, mentre la Germania è un universo altro che egli ha a volte battuto ma non era nei suoi interessi inglobare.
Multis de causis: amplifica l’idea che vi erano tante ragioni, dunque ve ne erano altre in più di quelle che lui stesso ci fornisce. Iustissima, uso del superlativo, egli orienta il giudizio che il lettore deve dare. La causa è che Cesare vuole che i Germani pensino a dover difendere le proprie cose, si vis pacem para bellum; il concetto è espresso ponendo in evidenza che lui stesso si accorge che i Germani troppo facilmente passano il Reno, e devono rendersi conto che anche i Romani possono e osano passarlo, posse et audere parallelismo e ripetizione e climax, audere è applicazione di posse; sono i Germani a dover temere per le loro cose. Cesare stuzzica l’orgoglio dei lettori, per i Romani non ci possono essere limiti né complessi di inferiorità nemmeno verso i Germani notoriamente bellicosi. Secondo motivo strategico, una parte dei nemici si è sottratta al combattimento che era stato detto confectum, lui aveva vinto la pugna, e quei nemici si erano uniti ad altre popolazioni, non si può definire terminata la guerra perché questi nemici sono attivi, creano alleanze e rapporti diplomatici e costituiscono un pericolo. Cesare chiede ai Sigambri alleati dei nemici di consegnare senza condizioni (dedo verbo della deditio resa incondizionata) coloro che avevano portato la guerra in Gallia, in realtà essi avevano solo accolto i fuggitivi. La risposta di Cesare è in oratio obliqua, la riorganizza in funzione di esigenze sintattiche ed espressive: Cesare stesso ha fissato il confine al Reno, dunque viene invitato a rispettarlo e a non interferire nella sfera di influenza dei Germani, risposta logica che per i Romani era un’offesa e i Germani sembravano altezzosi e superbi, altro modo di risuscitare la reazione orgogliosa del lettore. La terza ragione è la richiesta di aiuto degli Ubii alleati dei Romani che strategicamente era a suo favore: la tecnica è cercare un alleato tra i possibili nemici in modo da sfruttare le inimicizie tra questi popoli ed avere la base ideale. Comportamento del buon soldato ubio, manda ambasciatori, chiede un trattato di amicizia che sono i Romani a concedere e dunque riconosce una superiorità ai Romani. Si capisce che non c’è una ragione forte che lo spinge all’opera, il nemico è continuamente spostato tra le popolazioni.
Cesare parla di sé solo quando parla di azioni e decisioni, quando espone le ragioni usa sempre il termine exercitum populi romani di cui si sentiva rappresentante. La manifestazione pratica del nomen romanum è la costruzione del ponte, è in grado di superare la natura; ma sarà distrutto dallo stesso Cesare per non facilitare il passaggio dei nemici alla riva sinistra del Reno, è anche il simbolo del nulla di fatto di questa spedizione. La guerra viene data per così ineluttabile che anche i nemici se l’aspettano, lo si vede dalla risposta data ai legati romani; a maggior ragione devono riconoscerla gli amici cioè i lettori romani. Ricorda che nel mondo antico nella stagione invernale non si combatte e i soldati tornano alle basi; quando l’impero diventa troppo ampio vengono costituiti gli hiberna castra in cui i soldati raccolgono provviste per sé e i cavalli controllando il territorio ma non svolgendo azioni militari che riprenderanno solo in primavera. Cesare quindi sta in Gallia circa da marzo a ottobre. Qui viene nobilitata l’assenza di Cesare parlando di occupationes rei publicae, ma di fatto egli si trova a Lucca per stringere il triunvirato, accordo privato.