Inter bina castra Pompei atque Caesaris unum flumen tantum intererat Apsus,
crebraque inter se colloquia milites habebant neque ullum interim telum per
pactiones loquentium traiciebatur. Mittit P. Vatinium legatum ad ripam ipsam
fluminis, qui ea, quae maxime ad pacem pertinere viderentur, ageret et crebro
magna voce pronuntiaret, liceretne civibus ad cives de pace suos legatos mittere,
quod etiam fugitivis ab saltu Pyrenaeo praedonibusque licuisset, praesertim cum
id agerent, ne cives cum civibus armis decertarent. Multa suppliciter locutus, ut
de sua atque omnium salute debebat, silentioque ab utrisque militibus auditus.
Responsum est ab altera parte Aulum Varronem profiteri se altera die ad
conloquium venturum atque una visurum quemadmodum tuto legati venire et
quae vellent exponere possent; certumque ei rei tempus constituitur. Quo cum
esset postero die ventum, magna utrimque multitudo convenit, magnaque erat
expectatio eius rei, atque omnium animi intenti esse ad pacem videbantur. Qua
ex frequentia, T. Labienus prodit sed, missa oratione de pace, loqui atque
altercari cum Vatinio incipit. Quorum mediam orationem interrumpunt subito
undique tela immissa; quae ille obtectus armis militum vitavit; vulnerantur
tamen complures, in his Cornelius Balbus, M. Plotius, L. Tiburtius, centuriones
militesque nonnulli. Tum Labienus: “Desinite ergo de compositione loqui; nam
nobis nisi Caesaris capite relato pax esse nulla potest”.
Commento
Siamo in Epiro e viene presentata una scena drammatica e costruita che però si ritrova in altri testi, probabilmente scena topica. I due eserciti sono divisi da un fiume che separa ma anche collega, si vedono e si parlano anche se sono abbastanza lontani da non subire colpi l’uno dall’altro. Anche in Spagna assente Pompeo viene descritta una scena simile e i due eserciti si riconoscono come concittadini e addirittura parenti e fraternizzano; interviene il comandante pompeiano guidando un assalto proditorio ai cesariani obbligando i suoi uomini a una strage in modo che non possano più venire a colloquio di pace in quanto avevano le mani macchiate di sangue.
Cesare manda subito il suo legato che propone la pace, i pompeiani sono più cauti e gli ambasciatori verranno solo dopo l’arrivo di Aulo Varrone il giorno successivo. Sembra che ci sia un clima di pace ma compare Labieno personaggio negativo che lo interrompe e dopo un alterco vi sarà la battuta finale di Labieno che nega ogni possibilità di pace se non gli verrà portata la testa di Cesare. Quest’ultimo compare solo come soggetto logico della prima frase, tra i pompeiani solo Labieno non prende tempo e blocca ogni sviluppo delle trattative.
Si insiste sul contrasto tra il buon Cesare e il crudele e rissoso Labieno, personaggio negativo per eccellenza, ancor più dello stesso Pompeo in quest’opera. Cicerone in Fam 15.12 dice che il tradimento di Labieno (prima era dalla parte di Cesare) è la testimonianza più grande dello scelus che Cesare sta compiendo: perfino uno dei suoi più stretti collaboratori non ha il coraggio di seguirlo. La battuta di Labieno è drastica e drammatica, non ammette replica e perciò lo rende colpevole di crudelitas nei confronti dei suoi concittadini (avaritia e crudelitas sono vizi del tiranno). Facendo un’analisi stilistica del passo, nella prima frase c’è insistenza sulla preposizione inter e sul grado zero della radice loqu- (loquor è il termine più neutro per indicare l’azione del parlare. parvenza di oggettività all’episodio). La frase poi si fa più complessa, difficile, quasi inelegante, tuttavia ci sono alcune finezze compositive come la dislocazione anomala delle parole: mittit apre il secondo periodo, dando grande rilievo all’azione, senza nascondere dietro l’opera pacificatrice la mano di Cesare. I ruoli dei personaggi sono ben distinti: buoni i cesariani, molto cattivi i pompeiani. Pronuntiare: verbo molto usato per introdurre una domanda, di cui però la risposta è abbastanza scontata (chi pronuntiat è molto sicuro delle proprie posizioni). Praedo, onis: pirata, diverso da fur: ladro d’appartamento e da latro: bandito. Cesare paragona i pompeiani a pirati, cioè a parti sconfitte. Civibus ad cives…cives cum civibus è frase costruita nella dispositio. Entrambe le parti ascoltano in silenzio le parole del messo,. ma il silenzio dei pompeiani può essere letto quasi come sconcerto. I pompeiani rimandano la loro risposta al giorno dopo: estrema lentezza e dubbio in contrasto con la velocità dell’azione cesariana (c’è un abisso). Per i pompeiani molti verbi sono impersonali, come se venisse tolta personalità al nemico. Apparizione improvvisa di Labieno e getto di proiettili, che è atto contrario ad ogni correttezza militare. Vi è particolare incoerente perché i cesariani sono buoni ma i dardi vengono lanciati da ogni parte, non c’è emittenza certa perciò è facile che anche i cesariani abbiano partecipato all’attacco. Opposizione buoni/cattivi forse non così vera.