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Credo che a tutti sarà capitato almeno una volta nel proprio percorso scolastico di provare panico davanti a una poesia, sentire lo scorrere dei minuti come gocce di sudore sulla propria pelle, in attesa che diventino inchiostro su un foglio bianco. Beh, l’ispirazione non vi potrà certo arrivare dall’alto, ma solo dal testo e dalla sua attenta lettura. Quindi niente panico, rimbocchiamoci le maniche e vediamo passo passo come si fa l’analisi di un testo poetico. Intanto dobbiamo chiarire cos’è un testo poetico e quali sono i suoi generi.
La poesia è un testo particolare in cui l’autore esprime stati d’animo e sensazioni creando immagini suggestive attraverso un uso originale della lingua.
Possiamo individuare tre generi di testi poetici a seconda della forma e del contenuto
-epico-narrativo, in cui il poeta racconta e celebra gesta eroiche in un mix di fantasia e realtà; al suo interno abbiamo poemi epici, epico-cavallereschi ed eroicomici;
-lirico, in cui il poeta esprime il proprio mondo interiore, e l’argomento può essere amoroso, religioso, civile o giocoso.
-didascalico, in cui il poeta si propone di dare al lettore un insegnamento morale, religioso o scientifico; al suo interno distinguiamo il poema didascalico e quello didattico-allegorico.
Noi ci concentreremo sul genere lirico, anche se ciò che diremo vale in generale per tutti i testi poetici.
IL PRIMO PASSO
Il primo passo da compiere per una corretta analisi è un’attenta lettura del testo, al fine di comprenderne a pieno il significato. Può sembrare ovvio, ma non lo è, soprattutto nel caso della poesia, dove le parole non hanno solo il loro significato letterale, ma si arricchiscono di sfumature soggettive, allusive, emotive fino ad assumere un significato figurato.
A questo serve la parafrasi, ovvero la trasformazione in prosa del testo poetico, a cogliere e interpretare quella ricchezza di sfumature che stanno sotto il senso letterale, quella profondità che rende le parole spia del mondo interiore del poeta. Ormai nella maggior parte dei testi, troviamo la parafrasi fra le note ai piedi del testo e ciò ci facilita il lavoro, ma se non dovesse essere così, non è affatto difficile rendere in prosa ciò che il poeta esprime in versi, basta riordinare le frasi in soggetto, predicato e complementi. Ma vediamo degli esempi:
Chiare, fresche e dolci acque,
ove le belle membra
pose colei che sola a me par donna;
(Petrarca)
Chiare, fresche e dolci sono le acque dove (ove) il bel corpo (le belle membra) pose colei che a me sembra (par) l’unica donna (sola donna).
Dunque la parafrasi è:
Chiare, fresche e dolci (ci fa capire che si tratta di un fiume e in effetti Petrarca allude al fiume Sorga nelle vicinanze di Valchiusa) sono le acque dove pose il suo bel corpo colei che per me è l’unica donna.
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
(Dante)
Nel mezzo del cammin di nostra vita a metà, nella pienezza della vita di un uomo, mi ritrovai in una foresta tenebrosa (selva oscura) perché avevo perso la giusta via (ché la diritta via era smarrita).
Dunque la parafrasi è:
Nella pienezza della vita di un uomo, a metà della sua vita, mi sono ritrovato in una foresta tenebrosa perché avevo perso la via giusta via.
In questa fase preliminare sarebbe utile approfondire la conoscenza dell’autore e del suo modo di concepire il mondo. Nel secondo esempio, infatti, la selva oscura è lo specchio dell’interiorità di Dante che si è perso nel peccato, abbandonando la via maestra della virtù intorno all’età di trentacinque anni.
Ovviamente nella parafrasi la poesia perde molto della sua potenza evocativa e suggestiva, ma per noi è fondamentale ai fini della comprensione e anche, oserei dire, per apprezzare di più il testo poetico.
Ma attenzione: il significato del testo poetico non può essere definito una volte e per tutte. A differenza di altri testi, la poesia è per natura polisemica, ovvero ha più significati: uno di base su cui concordano tutti, ma poi ogni singolo lettore può leggere tra le righe altre sfumature di senso in base alla propria cultura e sensibilità. Un testo poetico è talmente ricco di significati che a volte parla in modo diverso anche allo stesso lettore a seconda del suo stato d’animo e del momento della vita in cui lo legge.
La comprensione del contenuto però non basta, perché sappiamo bene che in una poesia il tema o i temi trattati sono un tutt’uno con il modo in cui vengono espressi. Dunque bisogna anche capire e analizzare il linguaggio poetico che comprende:
-forme metriche (versi, rime e strofe);
-figure retoriche.
Il verso
È l’elemento formale più evidente che contraddistingue il testo poetico, si tratta di un insieme di parole che non arriva mai al margine laterale della pagina e che in base al numero di sillabe da cui è costituito si distingue in:
TIPO DI VERSO |
NUMERO DI SILLABE |
ESEMPIO |
Binario | 2 | Die/tro
Qual/che Ve/tro (Cesareo) |
ternario | 3 | La/ mor/te
si/ scon/ta vi/ven/do (Ungaretti) |
quaternario | 4 | den/tro / l’oc/chio
di/su/ma/no de / la / not/te (Campana) |
quinario | 5 | E / pur / mi /gio/va
la / ri/cor/dan/za (Leopardi) |
senario | 6 | Un/ po/po/lo/ pie/no di/ tan/te/ for/tu/ne, può/ far/ne/ di/ me/no del / sen/so / co/mu/ne.(Giusti) |
settenario | 7 | Ei/ fu/ sic/co/me im/mo/bi/le,
da/to il/ mor/tal/ so/spi/ro (Manzoni) |
ottonario | 8 | Su ‘l/ ca/stel/lo/ di/ Ve/ro/na bat/te il / so/le a/ mez/zo/gior/no(Carducci) |
novenario | 9 | Su/ tut/te/ le/ lu/ci/de/ vet/te
tre/ma/va un/ so/spi/ro/ di/ ven/to (Pascoli) |
decasillabo | 10 | Sof/fer/ma/ti/ sul/l’a/ri/da/ spon/da
vol/ti i/ guar/di al/ man/ca/to/ Ti/ci/no (Manzoni) |
endecasillabo | 11 | Nel/ mez/zo/ del/ cam/min/ di/ no/stra/ vi/ta
mi/ ri/tro/vai/ per/ u/na/ sel/va o/scu/ra (Dante) |
I vari tipi di verso producono un ritmo musicale diverso, per esempio il ternario dà vita a un ritmo spezzato e veloce; il quaternario a un ritmo quasi cantabile; il senario viene generalmente usato nella poesia satirica e accostando due senari è possibile ottenere un ritmo cadenzato; il settenario è un verso agile e ricco di potenzialità; l’ottonario è usato nelle ballate popolari e nelle canzoni romantiche per la sua cantabilità; il decasillabo è molto ritmato quasi declamatorio, molto usato nella poesia risorgimentale; infine l’endecasillabo, verso classico della poesia italiana insieme al settenario, può produrre una musicalità dolce e pacata, oppure un ritmo spezzato se sono presenti forti pause.
La rima
Consiste nell’identità delle sillabe, successive a quella su cui cade l’accento, fra due o più parole. Esempi: fiòre – colòre, vàso – nàso.
La rima serve a rafforzare il ritmo, per esempio se si vuole ottenere un ritmo veloce e festoso, si possono usare rime molto ravvicinate; se invece vogliamo un ritmo più lento, basta usare poche rime o non usarle affatto, come fanno molti poeti contemporanei. Le rime più importanti sono:
-rime baciate, quando rimano due versi consecutivi secondo lo schema AABB.
Nella torre il silenzio era già alto. A
sussurravano i pioppo del Rio Salto A
i cavalli normanni alle lor poste B
frangean la biada con rumor di croste B
(Pascoli)
-rime alternate, quando rimano tra loro i versi pari e dispari secondo lo schema ABAB.
Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, A
le cortesie, l’audaci imprese io canto, B
che furo al tempo che passaro i Mori A
d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto, B
(Ariosto)
-rime incrociate, quando il primo verso rima con il quarto e il secondo con il terzo secondo lo schema
-rime incatenate, quando in una serie di terzine il primo verso della prima terzina rima con il terzo, mentre il secondo dà la rima al primo verso della seconda terzina, secondo lo schema ABA BCB.
Nel mezzo del cammin di nostra vita A
mi ritrovai per una selva oscura, B
ché la diritta via era smarrita. A
Ahi quanto a dire qual era è cosa dura B
esta selva selvaggia e aspra e forte C
che nel pensier rinnova la paura B
(Dante)
Le strofe
Un altro importante elemento ritmico è costituito dal raggruppamento dei versi in strofe. Le più importanti sono:
-il distico, costituito per lo più da due endecasillabi a rima baciata
-la terzina, costituita in genere da tre endecasillabi a rima incatenata:
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita
(Dante)
-la quartina, quattro versi legati fra loro da rime disposte in vario modo
-la sestina, sei versi per lo più endecasillabi con varie combinazioni di rima:
Signora Felicità, è il tuo giorno!
A quest’ora che fai? Tosto il caffè?
E il buon aroma si diffonde intorno?
I cuci i lini e canti e pensi a me,
all’avvocato che non fa ritorno?
E l’avvocato è qui: che pensa a te
(Gozzano)
-l’ottava, costituita da otto endecasillabi di cui i primi sei a rima alternata e gli ultimi due a rima baciata; è la strofa dei poemi epico-cavallereschi del Quattrocento e del Cinquecento:
Ogni strofa è quindi un’unità musicale che ritma il testo poetico in modo preciso. A partire dall’Ottocento, però, alcuni poeti hanno cominciato a comporre i loro testi poetici in versi liberi, senza raggrupparli in strofe e con una musicalità svincolata da qualsiasi schema ritmico precostituito.
Le figure retoriche
Il poeta utilizza spesso una lingua figurata, ovvero una lingua che tende continuamente a trasferire il significato delle parole dal piano letterario-denotativo – comune a tutti i parlanti di una stessa lingua, perché si riferisce al significato oggettivo e convenzionale delle parole – a quello poetico-connotativo – che arricchisce ed estende rendendo le parole veicolo e condivisione del l’interiorità del poeta – attraverso le cosiddette figure retoriche.
L’uso delle figure retoriche di significato consente al poeta di ricreare il linguaggio per dar vita a immagini inattese, originali, poetiche appunto della realtà interna ed esterna. Per esempio, il poeta invece di descrivere qualcosa, può rappresentarla poeticamente attraverso la descrizione di qualcos’altro a cui la paragona e quindi con una similitudine. Ungaretti per dire che vuole restare solo, scrive che vuole essere lasciato:
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata.
Con l’iperbole il poeta può moltiplicare l’effetto delle proprie parole, ad esempio Montale per dire che ha vissuto a lungo con la propria donna, scrive:
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
Il poeta può anche ricorrere alle figure retoriche di forma che riguardano non il significato bensì la distribuzione delle parole all’interno dei versi, sottolineando così il valore poetico che la lingua di tutti i giorni può assumere. Per esempio Leopardi inizia il suo componimento La quiete dopo la tempesta con un’inversione: rovescia l’ordine che le parole hanno solitamente all’interno della frase e scrive Passata è la tempesta, per dare maggiore forza e slancio lirico all’inizio del testo.
Per creare un ritmo incalzante, inoltre, i poeti possono fare ricorso al polisindeto che consiste nell’accumulare una serie di parole-immagini mediante congiunzioni, come fa Leopardi nell’Infinito
Compito di noi lettori è ovviamente quello di riconoscere, capire e interpretare il linguaggio figurato della poesia per non lasciarci sfuggire alcuna sfumatura di senso e permettere al nostro animo di partecipare dell’interiorità del poeta che nel momento in cui viene fissata nel tempo con la parola, diventa universale, un’esperienza in cui tutti possono riconoscersi, in maniera più o meno intensa, a seconda dei momenti della vita. Per Schopenhauer l’arte è una forma di liberazione, anche se temporanea, dal dolore della vita, perché nella contemplazione del bello, l’uomo si solleva dalla catena dei bisogni e degli affanni della quotidianità e patecipa dell’eterno.
Di seguito l’elenco delle principali figure retoriche di significato e di forma che può sempre essere utile quando ci imbattiamo in un’analisi del testo poetico.
Le figure retoriche di forma
Inversione: consiste nel rovesciare, parzialmente o totalmente, l’ordine sintattico usuale “soggetto – predicato – complemento”.
Iperbato: consiste nel separare gli elementi di una frase che di solito sono uniti (ad esempio, un nome dal suo aggettivo):
Mille di fior al cielo mandano incensi Al cielo mandano mille incensi di fiori
(Foscolo)
Anafora: è la ripetizione di una parola o di un gruppo di parole all’inizio di più versi consecutivi, al fine di sottolineare il concetto reiterato.
Per me si va nella città dolente,
per me si va nell’etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente
(Dante)
Anadiplosi: consiste nella ripresa, all’inizio di un verso, di una parola o un gruppo di parole poste alla fine del verso precedente, con lo scopo di arricchirne il contenuto.
Questa voce sentiva
Gemere in una capra solitaria.
In una capra dal viso semita
(Saba)
Chiasmo: consiste nella disposizione incrociata di due parole o gruppi di parole all’interno di una frase, con lo scopo di ottenere una particolare modulazione musicale e significative simmetrie fra i termini incrociati.
Odi greggi belar, muggire armenti
(Leopardi)
Asindeto: consiste nell’eliminazione di ogni congiunzione fra parole o frasi e in alcuni casi viene abolita anche la punteggiatura
non canto, non grido
non suono, pe’l vasto silenzio va.
(D’Annunzio)
Appisolarmi là
solo
in un caffè remoto
con la luce fievole
come questa
di questa luna
(Ungaretti)
Polisindeto: Consiste nell’uso ripetuto delle congiunzioni che legano due o più parole o frasi.
Ellissi: consiste nella soppressione all’interno della frase di alcuni elementi che sarebbero sintatticamente richiesti, per dare rilievo alle immagini attraverso la rapidità e l’essenzialità dell’enunciato.
Gemmea l’aria, il sole così chiaro Gemmea (è) l’aria, il sole (è) così chiaro
(Pascoli)
Aferesi: è la caduta di una vocale o di una sillaba all’inizio della parola, ad esempio verno per inverno.
Allitterazione: è la ripetizione di una stessa lettera o sillaba all’inizio o all’interno di due o più parole contigue e legate dal senso.
Fresche le mie parole ne la sera
ti sien come il fruscio che fan le foglie
(D’Annunzio)
Anastrofe: consiste nell’invertire il normale ordine sintattico fra due parole.
Bene non seppi, fuori del prodigio
(Montale)
Onomatopea: è una parola che riproduce a scopi espressivi il suono di una cosa o il verso di un animale.
un breve gre-grè di ranelle
(Pascoli)
Climax: consiste nel disporre le parole in modo che per significato, per lunghezza o per ritmo, producano un effetto di progressiva intensificazione o, nel caso dell’anticlimax, di attenuazione.
La terra ansante, livida, in tumulto;
il cielo ingombro, tacito, disfatto.
(Pascoli)
Figure retoriche di significato
Analogia: consiste nello stabilire dei rapporti tra immagini diverse e, almeno in apparenza, prive di qualsiasi legame logico.
È il mio cuore
il paese più straziato
(Ungaretti)
Antitesi: consiste nell’accostare due parole o frasi di significato opposto.
Non fronda verde, ma di color fosco;
non rami schietti, ma nodosi e ‘nvolti;
non pomi v’erano, ma stecchi con tosco.
(Dante)
Ipallage: consiste nell’attribuire a una parola qualcosa che si riferisce a un’altra parola della stessa frase.
il divino del pian silenzio verde
(Carducci)
L’aggettivo verde si riferisce a pian e non a silenzio.
Apostrofe: consiste nel rivolersi a una persona, una cosa o un luogo personificati.
O patria mia, vedo le mura e gli archi.
(Leopardi)
Litote: Consiste nell’esprimere un concetto in forma attenuata, negando il suo opposto, ad esempio nei Promessi sposi, Manzoni invece di dire che Don Abbondio è un vile, dice che non era nato con un cuor di leone.
Ossimoro: è una particolare forma di antitesi, consiste nell’accostare parole o espressioni di senso opposto
bianca bianca nel tacito tumulto
(Pascoli)
Perifrasi: consiste nel designare una persona, una cosa o un’azione con un giro di parole.
incontro là dove si perde il giorno (il tramonto)
(Leopardi)
Iperbole: consiste nell’uso esagerato di parole per esprimere un concetto.
Similitudine: consiste nel mettere in relazione in maniera esplicita due fatti, due persone, due idee o due immagini attraverso nessi logici come il “come”.
Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie
(Ungaretti)
Metafora: è una similitudine abbreviata, privata del nesso logico (Marco è una volpe per dire che è furbo come una volpe).
Curiosità: lo sapevate che Aristotele fu il primo a parlare di metafore e a cercare di darne una definizione?
Metonimia: è la sostituzione di un termine con un altro che sta, rispetto al primo, in un rapporto di:
- causa per effetto o viceversa – le sudate carte (Leopardi) per i libri che facevano sudare per la fatica
- il simbolo per la cosa simboleggiata (la bandiera per la patria)
- il concreto per l’astratto (avere fegato per coraggio)
- il contenente per il contenuto (bere un bicchiere)
- la materia per l’oggetto (ferro per spada)
- l’autore di un’opera per l’opera (leggere Dante per dire la Divina Commedia)
- il mezzo per la persona che lo usa (essere il primo violino dell’orchestra per dire il primo suonatore di violino)
- il protettore per la cosa protetta (Bacco e Venere riducono l’uomo in cenere, ossia il vino e l’amore)
- il luogo al posto delle persone che vi si trovano (la Casa Bianca per il Presidente)
Sineddoche: è la sostituzione di un nome con un altro che, rispetto al primo, si trova in un rapporto di maggiore o minore estensione, più precisamente:
- la parte per il tutto e viceversa – e se da lungi i miei tetti (sta per case) saluto (Foscolo)
- il singolare per il plurale e viceversa (l’italiano è latin lover sta per gli italiani
- il genere per la specie e viceversa (il felino per dire la tigre).
Sinestesia. Risulta essere un particolare tipo di metafora che consiste nell’associare termini appartenenti a sfere sensoriali diverse.