In questa guida tratteremo lo scontro fra le due poleis più potenti del mondo greco che vedrà la fine dell’imperialismo ateniese.
Durante le guerre persiane, Atene e Sparta si erano ritrovate unite in quello che potremmo definire uno scontro fra due diverse civiltà, quella occidentale e quella orientale.
Messo momentaneamente da parte il nemico comune, riemersero tutte le differenze esistenti fra le due poleis: Sparta era aristocratica, di origine dorica, mentre Atene era democratica e di origine ionica; Sparta viveva in maniera autarchica limitandosi a difendere militarmente le poleis marinare ad essa alleate, mentre Atene conduceva una politica imperialistica volta ad allargare la propria sfera di influenza e a subordinare a sé dal punto di vista politico e militare le poleis alleate; Sparta era la patria della forza e della guerra, Atene delle arti e delle scienze.
Nel 477 a. C., grazie all’intesa attività diplomatica dell’ex arconte Aristide, comandante di Salamina e Platea, che coordinò i rapporti fra le città greche dell’Asia Minore, delle isole dell’Egeo e della Tracia, era nata la Lega delio-attica. Fu chiamata così sia dal nome dell’isola di Delo, dove le città alleate si sarebbero dovute riunite almeno una volta l’anno e dove avrebbero custodito il tesoro della Lega, sia per il ruolo egemone di Atene che la lega sanciva.
Ciò determinò un’opposizione sempre più netta di Sparta e dei suoi alleati destinata a sfociare in un lungo conflitto chiamato dallo storico Tucidide Guerra del Peloponneso che durò quasi tre decenni dal 431 a. C. al 404 a. C. provocando un grandissimo numero di vittime – anche a causa di pestilenze, epidemie e distruzioni che coinvolsero ogni parte del mondo greco, dalla penisola alla Sicilia, alla Tracia e all’Asia Minore -, ma che garantì la fortuna delle Storie di Tucidide, il quale aveva capito la gravità e l’importanza di tale conflitto a partire dallo scoppio delle prime ostilità fra Sparta e Atene. L’opera infatti copre un arco di tempo che va dal 431 a. C. fino al 411 a. C., anno in cui la narrazione purtroppo si interrompe.
Ad Atene si formarono due schieramenti: uno guidato dal figlio di Milziade, Cimone, sostenitore di un atteggiamento filospartano – Cimone era, infatti, portavoce delle classi nobiliari ateniesi che vedevano nella polis oligarchica e conservatrice di Sparta un modello da imitare -, l’altro, guidato da Temistocle, godeva del favore popolare ed era fautore di una politica antispartana. Inizialmente prevalsero le tendenze conservatrici grazie anche all’ostracismo che colpì Temistocle, accusato di condurre trattative segrete con il re di Persia. Ma anche la popolarità di Cimone venne meno. Infatti, durante la rivolta degli iloti nel Peloponneso, ricordata come terza guerra messenica, Cimone inviò, in aiuto a Sparta, un contingente di soldati che, però, non si distinse per valore e coraggio tanto che gli Spartani decisero di congedare subito i militari ateniesi. Per questo venne esiliato lasciando il campo libero alla fazione democratica e popolare. Emerse un personaggio politico che concentrò intorno a sé un grande consenso popolare e che godette di grande autorità personale: Pericle.
Pericle, il cui nome significa circondato di gloria, fu un grande oratore e un abile stratega. Plutarco nelle sue Vite. Pericle e Fabio Massimo scrive: “Conosceva troppo bene i suoi compatrioti per non fondare ogni sua speranza sulla magia dell’eloquenza; e quella magia, per non essere egli il primo a rispettarla”. Si racconta che la madre Agariste sognò di partorire un leone ed ebbe Pericle, dal corpo ben formato ma con il capo allungato e sproporzionato. Come un Giano bifronte, in politica estera mirava a fare di Atene una città imperialistica, in politica interna la sua età è ricordata come quella in cui il vento democratico sfiorò gran parte della popolazione. In uno dei discorsi riportati da Tucidide, Percicle afferma: “Abbiamo una costituzione che non imita le leggi dei vicini, in quanto noi siamo più d’esempio agli altri che imitatori. E poiché essa è retta in modo che i diritti spettino non ai pochi, ma alla maggioranza, si chiama democrazia”.Busto di Pericle riportante l’iscrizione “Pericle, figlio di Santippo, ateniese”. Marmo, copia romana di un originale greco del 430 a.C. circa.
Nel 449 a. C. Pericle assopì il pericolo persiano sempre in agguato con la pace di Callia, la quale stabiliva che i Greci non avrebbero attaccato i territori dei Persiani e questi, a loro volta, avrebbero rispettato l’indipendenza delle città greche in Asia Minore. Così potè concentrarsi sul rafforzamento della posizione di Atene nel mondo greco: il tesoro della Lega delio-attica venne trasferito ad Atene, fu sospeso l’incontro annuale delle poleis e tutte le decisioni venivano prese direttamente da Atene, la quale trasformò le quote che le città versavano nelle casse della Lega in dei veri e propri tributi obbligatori con cui finanziava numerose opere pubbliche, in primis il Partenone. L’Atene di Pericle fu la più alta manifestazione della genialità e della bellezza dell’arte classica, l’architettura raggiunse a livelli di perfezione e imponenza mai visti: la fortificazione del Pireo, i grandi lavori sull’Acropoli, i Propilei, ma non parlare delle sculture di Fidia, Mirone e Policleto. Ma tutto questo fu pagato a caro prezzo dalle città alleate, le quali non potevano più nemmeno battere moneta. Di certo non mancarono i tentativi di ribellione contro cui la flotta ateniese era pronta a intervenire, altre, invece, preferirono entrare a fare pare della Lega per avere protezione anche se questa aveva un costo in termini economici e di indipendenza.
Se la politica estera di Pericle fu aggressiva e non certo democratica, lo stesso non possiamo dire della politica interna, dove a partire dal terzo decennio si avvia un processo di isonomia destinato a realizzare l’uguaglianza politica dei cittadini e il termine democrazia viene a significare la costituzione di un potere detenuto dal demos inteso come fazione popolare che si oppone a quella aristocratica. Ovviamente fra i cittadini non rientrano le donne, i meteci e gli schiavi.
La più grande innovazione introdotta da Pericle fu la mistoforia, ovvero il compenso per lo svolgimento delle attività politiche a chi ricopriva cariche pubbliche, inizialmente riguardava solo la carica di giudice nel tribunale dell’Elia poi venne estesa a tutte le cariche. Con questa riforma finalmente anche le classi più povere avrebbero potuto accettare cariche pubbliche. Gli incarichi venivano assegnati tramite sorteggio e potevano partecipare tutti i maschi di età superiore ai trent’anni. Tuttavia, per non attirare troppo le ostilità dell’aristocrazia, Pericle decise che cittadini ad Atene erano solo i figli di madre e padre ateniesi e non solo di padre com’era stato fino a quel momento.
Le riforme di Pericle andarono ben oltre, introducendo una retribuzione per soldati e marinai, consentendo il libero ingresso a tutti i cittadini a teatro e alle feste pubbliche, rendendo gratuita l’istruzione per gli orfani e introducendo pensioni d’invalidità per i civili e i mutilati di guerra.
Ma torniamo al trentennale scontro tra Sparta e Atene
Il casus belli fu un fatto politico militare: nel centro di Epidamno, colonia di Corcira (l’odierna isola di Corfù), erano stati espulsi gli oligarchici a opera della fazione democratica, cosa che generò un conflitto fra Corcira, che si era schierata a favore dei democratici, e Corinto a favore degli aristocratici. Corcira chiese aiuto ad Atene e Corinto a Sparta. Pericle fece di tutto per forzare le ostilità convinto che Atene si trovasse nel momento migliore per sostenere una guerra. Così nel 431 a. C. si aprì la prima fase del conflitto conosciuta come guerra archidamica, dal nome del re spartano Archidamo che guidò l’invasione delle Lega peloponnesiaca in Attica.
Durante l’offensiva gli Spartani fecero terra bruciata in tutta la regione, ma gli ateniesi risposero devastando con la loro potentissima flotta le coste del Peloponneso. La sconfitta più grave per Atene fu la perdita di Anfipoli, in Tracia, da dove provenivano i rifornimenti di legname per la costruzione delle triremi ateniesi.
Nel 429 a. C. Atene fu colpita dalla peste, che colpì lo stesso Pericle.
Intanto ad Atene lo scontro fra la fazione democratica guidata da Cleone e quella aristocratica capeggiata da Nicia si era acutizzato. Alla fine prevalse la linea aristocratica che portò alla pace di Nicia nel 421 a. C. Lo scontro aveva decimato sia la popolazione spartana che quella ateniese e si era concluso con una situazione a livello territoriale analoga sostanzialmente a quella prima del conflitto. La pace sarebbe dovuta durare cinquant’anni, ma la morte di Cleone aprì le porte a un giovane tanto ambizioso quanto il nonno Pericle, Alcibiade.
Alcibiade fece leva sul ritardo di Sparta nell’ottemperare alle condizioni di pace per riaprire le ostilità, stipulando un’alleanza con Argo, rivale di Sparta. Alcibiade era convinto che bisognasse spostare il conflitto in Sicilia, l’isola infatti era un crocevia fondamentale per il controllo dei commerci, un serbatoio di ricchezze per finanziare nuovi attacchi contro Sparta e, in futuro, sarebbe potuta tornare utile per un attacco alla vicina e potente Cartagine, avversaria nel controllo delle rotte del Mediterraneo. Le argomentazioni di Alcibiade convinsero il popolo ateniese più della prudenza di Nicia e degli oligarchici. Così nel 415 a. C. Alcibiade, Nicia e Lamaco partirono con una flotta di 130 imbarcazioni alla volta delle coste sicule, quando già queste si intravedevano all’orizzonte, arrivò un avviso di arresto per Alcibiade che aveva oltraggiato le erme, statue dedicate a Hermes. Alcibiade riuscì a scappare e a trovare rifugio a Sparta in cambio di informazioni utili che il generale non tardò a fornire.
Il fronte siculo si chiuse con la totale disfatta ateniese nel 413 a. C., anno in cui iniziò la fase deceleica del conflitto, dal nome della fortezza ateniese di Decelea conquistata da Sparta, su suggerimento dello stesso Alcibiade, da cui si poteva controllare tutto il territorio circostante e da cui provenivano i rifornimenti per l’esercito spartano. Sparta strinse un’alleanza con la Persia in cambio di una flotta che le avrebbe permesso di reggere lo scontro marittimo con Atene. Accerchiata per terra e per mare, nel 411 a. C. l’aristocrazia ateniese non trovò soluzione migliore che abolire la democrazia e instaurare un regime oligarchico, con la speranza di portare dalla propria parte i Persiani. La parentesi aristocratica fu molto breve anche a causa della indisponibilità dei marinai a subordinarsi alle direttive di generali oligarchici che portò al ritorno della democrazia e di Alcibiade. Ma ciò non pose fine alle lotte interne che indebolirono a tal punto Atene da impedirle di trarre vantaggio anche dai successi ottenuti sul campo di battaglia.
La capitolazione di Atene giunse nel 404 a. C. in seguito alla sconfitta navale nel fiume di Egospotami, vicino lo stretto dei Dardanelli. Gli Ateniesi temevano di subire la stessa sorte che loro avevano riservano anni prima alla popolazione dell’isola di Melo che non volle entrare nella loro alleanza: assediarono la città e uccisero tutti gli uomini adulti. Ma gli Spartani li salvarono – i Tebani e i Corinzi avrebbero voluto distruggerla e disperderne la popolazione – a patto della loro rinuncia definitiva alla politica imperialistica.
Nel V libro delle Storie Tucidide ricostruisce il dialogo fra gli ambasciatori ateniesi recatisi nel 416 a. C. nell’isoletta di Melo – che aveva assunto una posizione neutrale nella guerra del Peloponneso – per convincerla a sottomettersi e i rappresentanti di Melo. In questo passo emerge chiaramente il problema del rapporto tra politica e giustizia e la questione su cosa si debba fondare l’imperialismo: per essere duraturo un impero si deve e si può fondare sulla giustizia? Gli Ateniesi sostengono che il giusto in politica non ha nulla a che fare con l’utile e che esiste una legge naturale e divina per cui il più forte comanderà sempre sul più debole. Legge della storia che la stessa Melo riconosce: “Non hanno torto gli ateniesi se ci assaltano e vogliono conquistarci. È nella natura degli uomini e sarà sempre, che, potendo, s’eserciti dominio”.