Una parola che non ha viaggiato nello spazio, ma nel tempo e che, navigando attraverso i secoli, ha cambiato significato
La storia di questa parola funziona come un cannocchiale: lo puoi puntare su una particolare epoca del passato, l’Alto Medioevo, e, invece di averne una visione sfuocata come a volte succede studiando un manuale di storia, te la vedrai balzare agli occhi in tutti i suoi particolari.
La parola “casa”, infatti, è una di quelle parole che nel tempo cambiò significato.
Il quando, il perché e il dove lo cambiò raccontano una serie di vicende drammatiche che investirono l’Italia e le popolazioni che la abitavano.
Perché i Romani … non andavano a casa
Casa è una parola latina, antica quasi quanto la fondazione di Roma. I Romani però non la usavano per indicare una vera e propria abitazione, bensì per indicare l’umile capanna fatta di legno e di paglia in cui vivevano i contadini più poveri oppure la scomoda baracca costruita dai legionari quando dovevano accamparsi tra una marcia e l’altra.
Per indicare una residenza signorile, invece, usavano il termine domus. Questa era appunto la “casa” vera e propria, tanto che il capofamiglia si chiamava dominus, “padrone” o “signore”.
Appartamenti “per cenare”
La massa della popolazione urbana (artigiani, bottegai, disoccupati) non risiedeva nella domus, ma nemmeno nella casa-capanna.
I meno abbienti e i poveri di Roma e della altre centinaia di città dell’impero affittavano dei piccoli appartamenti (in genere di due stanze) senza bagno e senza cucina, dove tenevano solo dei letti addossati alle pareti, dei vasi da notte, qualche orcio d’acqua di riserva e un braciere per preparare la cena.
E poiché li usavano solo per dormire e cenare (per il resto vivevano fuori), li chiamavano cenacula “posti per cenare”. I cenacula si trovavano all’interno di palazzoni di cinque o sei piani chiamati insulae, “isole”.
Arrivano i barbari
Insomma, per quale motivo noi non chiamiamo “doma” la casa e neanche la chiamiamo “cenacolo”, ma la chiamiamo “casa”?
Per colpa dei Longobardi
Già. Infatti quando i Longobardi si stabilirono in Italia nel VI secolo d.C. dopo avere messo a ferro e fuoco le sue città, i Romani vinti fuggirono nelle campagne nascondendosi nei boschi o in riva alle paludi: uomini, donne, bambini si rifugiarono nei luoghi più impervi e malsani sperando di non essere raggiunti e scoperti.
Quando capivano che qualche gruppo guerriero si stava avvicinando, scavavano delle buche nel terreno, vi si ficcavano in fretta e furia e le ricoprivano di frasche. A volte vi restavano per giorni e giorni, senza acqua e senza cibo. D’inverno il freddo e l’umidità li condannavano ai reumatismi e all’artrite (gli archeologi ne hanno individuato le tracce sulle ossa trovate negli scavi); d’estate prendevano la malaria dalle zanzare.
Nei momenti di tregua, si costruivano dei tuguri di legno e paglia, cioè quelle baracche che in latino si chiamavano casae.
Questa situazione di terrore e di stenti durò circa trecento anni: così a lungo che, quando finalmente i sopravvissuti poterono tornare a condurre un’esistenza meno miserabile, ormai la casa era casa, mentre domus era diventata una parola lontana dalla realtà dell’esistenza.
Ricordati questa parola quando studierai quel periodo difficile della storia d’Italia che si chiama Alto Medioevo.