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Nato a Eleusi intorno al 525 a.C., di famiglia nobile, fu testimone della fine della tirannia dei Pisistratidi ad Atene, nel 510 a.C.. Combatté contro i persiani nelle battaglie di Maratona (490 a.C.), di Salamina (480 a.C.) e di Platea.
A proposito della battaglia navale di Salamina, di cui il poeta dà il resoconto ne I Persiani, è interessante notare come la tradizione assegni lo stesso giorno, sulla stessa isola, alla nascita di Euripide. Nello stesso periodo, si dice, il giovane Sofocle intonava i primi peana.
Alcune delle sue opere, come I Persiani o Sette contro Tebe, devono molto alla sua esperienza nelle guerre persiane. Fu anche il solo testimone tra i grandi poeti greci classici dello sviluppo della democrazia ateniese. Le supplici contiene il primo riferimento che sia giunto fino ad oggi di una forma di governo definita come «potere del popolo». Nelle Eumenidi, la rappresentazione della creazione dell’areopago, tribunale incaricato di giudicare gli omicidi, sembra un implicito sostegno alla riforma di Efialte, che nel 462 a.C. trasferì i poteri politici dall’areopago al consiglio dei cinquecento.
Dopo la rappresentazione dell’Orestea, si recò a Siracusa, rispondendo all’invito del tiranno Gerone, dove fece rappresentare I Persiani e scrisse le Etnee in onore della nuova città.
Eschilo fu probabilmente iniziato ai misteri eleusini, come farebbe intendere Aristofane nella commedia Le Rane, e secondo alcune leggende sarebbe stato persino processato per empietà, dopo averne rivelato i segreti, e questa sarebbe la causa del suo secondo esilio a Gela, in Sicilia.
Dopo la sua morte ricevette dai suoi contemporanei molti riconoscimenti, il più grande dei quali fu la rappresentazione postuma delle sue tragedie, all’epoca segno di eccezionale onore.
Le innovazioni nel dramma tragico
Eschilo viene considerato il vero padre della tragedia antica. Regista, oltre che poeta, a lui viene attribuita l’introduzione di maschera e coturni e inoltre è con lui che prende l’avvio la trilogia, o “trilogia legata”. Le tre opere tragiche presentate durante l’agone erano appunto “legate” dal punto di vista contenutistico; nell’Orestea, ad esempio, (unica trilogia pervenutaci per intero) viene messa in scena la saga della stirpe degli Atridi, dall’uccisione di Agamennone alla liberazione finale del matricida Oreste.
Introducendo un secondo attore (precedentemente, infatti, sulla scena compariva un solo attore alla volta), rese possibile la drammatizzazione di un conflitto. Da questo momento fu infatti possibile non solo esprimere la narrazione tramite dialoghi, oltre che monologhi (aumentando il coinvolgimento emotivo del pubblico e la complessità espressiva), ma anche iniziare un percorso che, col tempo, permetterà alla tragedia di esprimere delle narrazioni in fieri anziché un insieme di scene statiche. La rappresentazione della tragedia assume una durata definita (dall’alba al tramonto, nella realtà come nella finzione), e nella stessa giornata viene presentata una trilogia, nella quale le tre parti sono “puntate” della medesima storia. Da notare anche la progressiva riduzione dell’importanza del coro, che prima rappresentava una continua controparte all’attore. Nella tragedia più antica che ci sia pervenuta per intero, Le supplici, il coro ha ancora una parte preponderante, nonostante la presenza dei due attori (uno dei quali rappresenta in successione due personaggi), l’impianto è ancora quello di un inno sacro, scarno di elementi teatrali. Facendo un confronto con la più tarda Orestiade, unica trilogia giunta fino a noi nella sua interezza, notiamo una evoluzione e un arricchimento degli elementi propri del dramma tragico: dialoghi, contrasti, effetti teatrali. Questo si deve anche alla competizione che il vecchio Eschilo deve sostenere nelle gare drammatiche: c’è un giovane rivale, Sofocle, che gli contende la popolarità, e che ha introdotto un terzo attore, ha complicato le trame, sviluppato caratteri più umani, nei quali il pubblico può identificarsi.
Tuttavia, anche accettando in parte, e con riluttanza, le nuove innovazioni (tre personaggi compaiono contemporaneamente solo nelle Coefore, e il terzo parla solo per tre versi), Eschilo rimane sempre fedele ad un estremo rigore, alla religiosità quasi monoteistica (Zeus, nelle opere di Eschilo, è rappresentato talvolta come un tiranno, talvolta come un dio onnipotente, con qualche somiglianza con il biblico Yahweh). In tutte le sue tragedie, lo stile è potente, pieno di immagini suggestive, adatto alla declamazione. Nonostante i personaggi di Eschilo non siano sempre unicamente eroi, quasi tutti hanno caratteristiche superiori all’umano. Se ci sono elementi reali, questi non sono mai rappresentati nella loro quotidianità, ma in una suprema sublimazione.
Lo stile
Lo stile di Eschilo è estremamente complesso. È ricco di esornazioni retoriche, neoformazioni linguistiche (fra cui anche degli hapax) e arcaismi molto ricercati. La sintassi è ai limiti dell’ermetismo.
Tragedie
Eschilo scrisse probabilmente una novantina di opere, ma di queste ne sono giunte ai giorni nostri solo sette:
Orestea – trilogia (rappresentata nel 458 a.C.)
Agamennone
Coefore
Eumenidi
I Persiani (rappresentata nel 472 a.C.)
Prometeo incatenato (rappresentata tra il 460 e il 470 a.C.). Una parte della critica ritiene che la tragedia sia pseudoeschilea e sia stata messa in scena nell’ultimo venticinquennio del V sec. Ne farebbero fede i punti di contatto con i Cavalieri di Aristofane, ma soprattutto una concezione dello spazio scenico e del suo uso particolarmente sofisticato.
Sette contro Tebe (rappresentata nel 467 a.C.)
Supplici, rappresentata nel 463 a.C.