Figlio di Lucio Anneo Seneca il Retore , fu educato a Roma alla scuola del padre e di declamatori quali Papirio Fabiano e di filosofi quali lo stoico Attalo e il cinico Demetrio. Fece per un anno pratica di vita pitagorica col filosofo Sozione. Membro del senato sotto Caligola, nei 41, all’inizio dell’impero di Claudio, venne relegato, perché coinvolto in intrighi politici di corte, in Corsica, dove rimase 8 anni. Nel lungo periodo di solitudine S. maturò i suoi interessi per la meditazione filosofica, approfondendo una tematica (sui significato dell’esistenza) già affrontata in scritti teoreticamente non originali, e rivelandosi diviso tra la ricerca di un’autosufficienza interiore e il bisogno di rapporti sociali che potessero valorizzare l’opera del filosofo. Quest’ultima esigenza lo spinse anche ad adulare Claudio; a Roma Poté tornare solo nel 49, dopo la scomparsa di Messalina che gli era stata ostile.
RAPPORTO CON II. POTERE.
La nuova moglie di Claudio, Agrippina, gli affidò l’educazione del proprio figlio Domizio, il futuro Nerone, e a quest’opera S. si dedicò con impegno, tanto che ne fu condizionato il resto della sua vita. S. sperava di realizzare un sogno che aveva affascinato i filosofi a cominciare da Platone: mettere la filosofia al vertice del potere e assicurare agli uomini una guida razionale e giusta. Il modello storico a cui S. guardava era Augusto, e l’equilibrio raggiunto ai suoi tempi tra potere dell’imperatore e classe dirigente senatoriale. Ma Nerone volle forzare le tappe verso un governo di tipo autocratico, scontrandosi con la classe dirigente e con le ambizioni della stessa madre. S. cercò tenacemente di influire sul discepolo, ma dovette accettare l’assassinio di Britannico e della stessa Agrippina. Dopo la scomparsa del prefetto del pretorio Afranio Burro (62), la potenza politica di S. era finita, e il filosofo si ritirò a vita privata, dedicandosi alla pura meditazione filosofica. Scoperta nel 65 la congiura dei Pisoni, S. vi venne coinvolto e Nerone ne decretò la condanna.
LE OPERE FILOSOFICHE.
Molte delle numerose opere di Seneca sono andate perdute; si ricordano qui quelle che ci sono pervenute. I Dialoghi (Dialogorum libri XII), che non hanno però vera e propria forma di dialogo, comprendono le seguenti opere: Consolatio ad Marciata (dopo il 37); De ira (41′?); Consolatio ad Helviam matrem; Consolatio ad Polybium; De brevitate vitae; De constantia sapientis; De vita beata (58′?); De tranquillitate animi (62′?); De otio (62?); De providentia (62?). Nel De clementia (55-56), dedicato a Nerone, viene esposta l’ideologia della monarchia illuminata. Agli anni del ritiro dalla vita politica appartengono le opere più ampie: De beneficiis, in 7 libri; Naturales quaestiones, in 7 libri; e l’opera più celebre: le Epistulae morales ad Lucilium, di cui si conservano 124 lettere in 20 libri. Gli scritti filosofici non costituiscono un sistema dottrinale nuovo, né particolarmente coerente: l’atteggiamento di S. è quello di un eclettico di propensione stoica. I punti centrali del suo discorso sono la problematicità dell’esistenza e le sue contraddizioni, e la ricerca della virtù intesa come vittoria razionale sulle passioni, come autosufficienza spirituale e unico tramite per il raggiungimento della vera felicità; a ciò si aggiunge il suo sforzo costante di conciliare l’amore di sé e quello per gli uomini, di correlare dimensione individuale e dimensione politica. L’accentuazione in S. di alcuni spunti del pensiero stoico (presenza di Dio nella coscienza umana, ascesi individuale come fondamento della vitti morale) giustificano la stima e l’ammirazione di cui godette presso i pensatori cristiani: Dante stesso lo pose nel limbo, fra gli «spiriti magni» dell’antichità (Inf IV, 141). S. è dotato di un virtuosismo stupefacente (che gli viene dalle scuole dei retori) nel rivestire le sue idee di forme sempre nuove, sicché il tono oscilla tra quello di una rigorosa analisi interiore e quello di una sapiente predica a intelligenti ascoltatori. Spetta in ogni caso a S. il merito straordinario di aver scoperto la dimensione dell’interiorità in termini moderni e di aver fornito non solo uno stile nuovo, tutto rotture e tendente alla sententia, ma anche un nuovo coerente linguaggio, di cui beneficerà poi tutta la cultura cristiana.
LE TRAGEDIE.
Un posto a sé hanno le tragedie di S. scritte, sembra, a partire dagli anni dell’educazione di Nerone: Hercules furens, Troades, Phoenissae (lacunosa), Medea, Phaedra, Oedipus, Agamennon, Thyestes (Tieste). Hercules Oetaeus, derivate dal teatro greco. È invece una praetexta l’Ottavia, che la tradizione manoscritta gli attribuisce, ma che è opera di un ignoto di poco posteriore. Le tragedie di S. sono il punto di arrivo, ai limiti dell’espressionismo verbale, della tragedia retorica, destinata probabilmente alla lettura nelle sale di recitazione e nella quale l’azione drammatica è sostituita dalla declamazione dei sentimenti e dalla sottigliezza del dialogo sofistico. Contrassegnate dallo scontro di passioni estreme. dal gusto del macabro e del truce, le tragedie di S. hanno influenzato il teatro dei secc. XVI e XVII e in particolare il dramma elisabettiano.