Figura poliedrica dell’umanesimo, Battista (umanisticamente detto Leone) nacque nel 1404 a Genova, figlio naturale di Lorenzo, esule fiorentino che esercitava la mercatura in diverse città settentrionali. Si formò probabilmente a Padova dal 1515 al ’18, presso la scuola di Guiniforte Barzizza, dove conobbe il Panormita, Francesco Barbaro e il Filelfo. Studiò diritto canonico a Bologna dal 1421 al ’28 (anno questo in cui si laureò), medicina e matematica.
Nel frattempo aveva inizio la sua produzione letteraria, che spaziò sempre dal latino al volgare, in difesa del quale si impegnò in numerose iniziative e battaglie. La poesia albertiana è anzitutto notevole per il vario e ricco sperimentalismo metrico-stilistico, largamente attestato nei 19 componimenti che formano il canzoniere del nostro autore.
Nel 1432 Alberti è a Roma, segretario del reggente della cancelleria pontificia Biagio Molin, che gli procura il posto di abbreviatore apostolico e gli apre la via della carriera ecclesiastica. Inizia l’anno seguente ad abbozzare i primi tre Libri della Famiglia, su cui continuerà a lavorare per tutto il decennio, aggiungendovi anche un quarto libro sull’amicizia, che nel 1441, in occasione del Certame Coronario, dedicherà al Comune di Firenze.
Qui si trova infatti dal 1434, giunto al seguito della corte papale di Eugenio IV, e qui entra in contatto con i protagonisti della vita culturale e artistica fiorentina: Brunelleschi, Toscanelli (dedicatario del primo libro delle Intercoenales), Donatello, e ancora Leonardo Bruni, Poggio Bracciolini, Niccolò Niccoli.
Anche il trattato De pittura (1435) appartiene alla prima sosta fiorentina, conclusasi con l’inizio delle peregrinazioni al seguito del concilio: tra 1436 e ’39 tocca Bologna, Perugia e Ferrara. Nel 1439, ha inizio un piú lungo e proficuo soggiorno fiorentino durante il quale inizia a collaborare con Piero di Cosimo de’ Medici, organizzando nel 1441 il Certame Coronario, cerimonia umanistica consistente in una gara poetica con attribuzione di corona al vincitore, da svolgersi sul tema classico dell’amicizia.
La novità, che suscitò non poca insofferenza in Firenze, era la scelta di condurre il certame in lingua volgare, di cui A. era paladino.Oltre alla difesa del volgare contenuta nella dedica del terzo Libro della famiglia (1437?), sono di questi anni i dialoghi Theogenius (1430) e Profugiorum ad erumna libri (1431-32) dove il volgare è riproposto come lingua letteraria, ma soprattutto la cosiddetta «Grammatica della lingua volgare» redatta negli anni ’40 e conclusa nel 1454. Tornato a Roma presso la corte papale, dedica i suoi studi alla matematica e alla teoria e alrarchitettura (è del 1452 il fortunato trattato De re aediticatoria).
Nella Dedicatoria del III libro a Francesco d’Altobianco Alberti, composta a ridosso della famosa disputa umanistica avvenuta nell’aprile 1435 nella Curia papale tra Leonardo Bruni e Biondo Flavio, l’Alberti precisava le ragioni culturali, linguistiche e ideologiche del suo impegno in favore del volgare:
Ben confesso quella antiqua latina lingua essere copiosa molto e ornatissima, ma non però veggo in che sia la nostra oggi toscana tanto d’averla in odio, che in essa qualunque benché ottima cosa scritta ci dispiaccia. A me par assai di presso dire que ch’io voglio, e in modo ch’io sono pur inteso, ove questi biasimatori in quella antica sanno se non tacere, e in questa moderna sanno se non biasimare chi non tace. E sento io questo: chi fusse piú di me dotto, o tale quale molti vogliono essere riputati, costui in questa oggi commune troverrebbe non meno ornamenti che in quella, quale essi tanto prepongono e tanto in altri desiderano. Né posso io patire che a molti dispiaccia quello che pur usano, e pur lodino quello che né intendono, né in sé curano d’intendere. Troppo biasimo chi richiede in altri quello che in sé stessi recusa. E sia quanto dicono quella antica apresso di tutte le genti piena d’autorità, solo perché in essa molti dotti scrissero, simile certo sarà la nostra s’e’ dotti la vorranno molto con suo studio e vigilie essere elimata e polita. (Dedicatoria, 155-56).