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Branca della linguistica che si occupa della produzione e della percezione dei suoni delle lingue naturali, così come della loro natura fisica. I suoi campi di studio principali sono la fonetica articolatoria e la fonetica acustica.
FONETICA ARTICOLATORIA
Si occupa della descrizione dell’origine fisiologica dei suoni delle lingue naturali, analizzando il modo in cui essi sono prodotti dall’uomo e classificandoli sulla base delle loro differenti caratteristiche fisiche. Per rappresentare scientificamente tutti i suoni producibili nelle varie lingue, ci si serve di alfabeti fonetici, fra i quali il più usato è quello dell’IPA (International Phonetic Association, Associazione Fonetica Internazionale).
Per la produzione (o articolazione) dei suoni intervengono numerosi organi del corpo, alcuni fissi e altri mobili. Quelli fissi sono i denti superiori, il palato e il naso; quelli mobili, chiamati articolatori, sono le corde vocali, la mascella, le labbra, il velo palatino e la lingua. Questi organi, con il loro movimento o con le loro rispettive posizioni, modificano il flusso d’aria proveniente dai polmoni, dando così origine ai diversi suoni del linguaggio.
I suoni sono classificati secondo il “luogo di articolazione”, che indica quali organi sono interessati alla produzione del suono, e secondo il “modo di articolazione”, ossia la maniera in cui il suono è prodotto. Si distinguono i seguenti modi fondamentali di articolazione: occlusivo, fricativo, affricato (che riguardano le consonanti) e vocalico.
Nelle consonanti occlusive un organo mobile (generalmente la lingua) tocca un organo fisso, ostruendo completamente il passaggio dell’aria: il suono è così la piccola esplosione che si ottiene rilasciando bruscamente l’ostruzione; ad esempio, per il suono t la lingua premuta contro i denti impedisce il passaggio dell’aria: appena la posizione si rilassa, l’aria esplode con un rumore caratteristico che è appunto quello della t.
Nei suoni fricativi (ad esempio s) gli organi articolatori sono avvicinati l’uno all’altro ma non si toccano: l’aria è così costretta a passare attraverso uno stretto canale producendo un fruscio, che è poi il suono specifico. Gli affricati sono i suoni che combinano le caratteristiche degli occlusivi con quelle dei fricativi: nella z di “azione”, ad esempio, l’ostruzione non viene liberata del tutto con un’esplosione: i due organi rimangono vicini e l’aria fruscia fra essi, come se si pronunciassero una t e una s a distanza molto ravvicinata.
Le vocali, invece, sono suoni nei quali l’aria passa liberamente senza incontrare alcun ostacolo; il loro timbro particolare è dato dalla posizione della lingua e delle labbra. Un suono consonantico può essere sonoro o sordo a seconda che, rispettivamente, intervenga o meno una vibrazione delle corde vocali durante la pronuncia: l’aria che proviene dai polmoni viene lasciata passare liberamente dalle corde vocali nelle consonanti sorde, mentre in quelle sonore l’aria mette in vibrazione le corde vocali accostate. Le vocali sono tutte sonore.
Se durante la produzione di un suono entrano in risonanza anche le cavità del naso (questo avviene se si abbassa il velo palatino e si lascia che l’aria entri nel naso) i suoni che derivano sono detti nasali; ci sono consonanti nasali, come n e m, e vocali nasali, come quelle del francese pan o del portoghese João.
La combinazione di modo e luogo di articolazione dà una descrizione sufficientemente esatta di tutti i suoni di una lingua. Avremo così, riferendoci solo ai suoni usati in italiano: consonanti labiali, ossia quelle prodotte dalle labbra (le occlusive p sorda e b sonora); labiodentali, se il labbro inferiore si accosta ai denti superiori (le fricative f sorda e v sonora); dentali, se prodotte dall’azione della lingua sui denti superiori o sugli alveoli (le occlusive t sorda e d sonora, le fricative di “sole” e di “rosa”, rispettivamente sorda e sonora, le affricate di “azione”, sorda, e di “zona”, sonora); palatali, quando la lingua batte contro il palato duro (le occlusive, sorda e sonora, di “chiave” e di “ghianda”, la fricativa sc di “scena” – l’italiano non possiede la sonora, che è quella ad esempio del francese jour – e le affricate ci di “ciondolo”, sorda, e gi di “gioco”, sonora); velari, se il contatto avviene fra la lingua e il velo palatino (come nelle occlusive c di casa, sorda, e g di “gara”, sonora). Le nasali sono rappresentate dall’italiano m, labiale, n, dentale, e gn di “gnomo”, palatale.
Ci sono poi altre consonanti che si articolano in modo diverso, tra le quali r, di solito ottenuta, in italiano, facendo vibrare la lingua contro i denti (ma ne esistono varianti individuali o regionali), e la consonante laterale l, che risulta dall’innalzamento del centro della lingua verso il palato e dal conseguente passaggio dell’aria ai lati.
Il modo di articolazione è responsabile anche del differente timbro delle vocali, che dipende dalla posizione della lingua: se questa è bassa, in posizione di riposo, la vocale prodotta è quella di massima apertura, a; con la lingua protesa verso l’alto e verso i denti si ottiene i; con la lingua in alto verso il palato interno si avrà u. Queste sono le tre vocali fondamentali, presenti in tutte le lingue del mondo.
L’italiano ha anche due gradi intermedi: fra a e i trovano posto la e aperta (è) di “bello” e la e chiusa (é) di “tegola”; fra a e u ci sono la o aperta (ò) di “otto” e la o chiusa (ó) di “correre”. La qualità di una vocale dipende anche dalla posizione tesa delle labbra (come in i e in e) o arrotondata (come per o e u). Combinazioni diverse di posizioni della lingua e delle labbra danno luogo a molte altre vocali che non sono usate in italiano: ricorderemo solo la ü del francese lune e la ö del tedesco öffnen, entrambe usate nei dialetti italiani settentrionali.
FONETICA ACUSTICA
Si occupa della misurazione dei suoni mediante apparecchi elettronici che ne forniscono lo spettro, per rendere conto di come suoni differenti sul piano fisico possano dare all’ascolto impressioni simili ed essere riconosciuti e catalogati sempre allo stesso modo (le vocali prodotte dagli uomini e dalle donne presentano differenze acustiche, e nella stessa persona l’articolazione dei suoni può cambiare in modo anche rilevante a seconda del contesto). Si occupa inoltre di stabilire quali elementi percettivi sono indispensabili a chi ascolta una lingua per riconoscerne i suoni e, attraverso questi, i significati.
CENNI STORICI
I primi studi sulla fonetica furono compiuti dai grammatici indiani – in particolare da Pànini – che più di duemila anni fa descrissero e catalogarono i suoni del sanscrito; tale classificazione, basata sui luoghi e sui modi di articolazione delle consonanti, è in sostanza quella adottata ancor oggi.
La prima classificazione delle vocali si deve al matematico inglese John Wallis (1653), che ricercava un metodo per insegnare a parlare ai sordomuti; la fonetica acustica fu inaugurata dal tedesco Hermann Helmholtz (1863); rimangono fondamentali gli studi sperimentali condotti nell’Ottocento dall’abate francese Pierre Rousselot. Dagli studi di fonetica del polacco Jan Baduin de Courtenay e dello svizzero Ferdinand de Saussure si sviluppò la teoria del fonema (vedi Fonologia).
Attualmente la fonetica si avvale dell’impiego di strumenti elettronici assai sofisticati: i dati ottenuti con queste apparecchiature, pur non avendo scardinato l’impianto teorico tradizionale, stanno portando alla formulazione di interessanti nuove ipotesi.