Le operette sono un esempio significativo di prosa ottocentesca e costituiscono il polo opposto rispetto a Manzoni: questi si muove in senso innovativo basandosi sul fiorentino vivo, Leopardi crea una prosa moderna ma con assoluta fedeltà alla tradizione italiana. Gli autori contemporanei e successivi a Manzoni e Leopardi si muovono fra questi due poli; per Tommaseo le operette erano “il libro meglio scritto del secolo nostro”, anche se costui si distanzia dai contenuti. Tra 1 e 2 settembre 1823 scrive un passo dello Zibaldone riguardo allo stile:
Il passo contiene una descrizione che il poeta fa di se stesso, si riteneva pensatore profondo e versatissimo negli artifici dello stile, ma come tutti gli autori dell’epoca, specialmente quando scrivono prosa, si trova di fronte al problema di quale lingua utilizzare e la deve creare dal nulla, l’italiano non ha un livello medio, ragionativo-colloquiale, e chi è gravido di pensieri e desideroso di comunicarli deve inventare una lingua. La soluzione delle operette è sintetizzabile in tre parole che stanno al crocevia tra lingua e stile, tre qualità che Leopardi enuncia sempre nello Zibaldone: varietà, ovvero lingua che attinge a piene mani alla tradizione e alla polimorfia della lingua letteraria, non ci sono esclusioni a priori di allotropi considerati anzi ricchezza; eleganza, è prosa sia colloquiale sia ragionativa, e l’eleganza si ottiene mediante vocaboli che Leopardi definisce rimoti dall’uso comune ma insieme chiari e disinvolti; naturalezza, uso di toni dimessi, stile non pomposo e oratorio, che miri ad una colloquialità eletta e sorvegliata, con lontananza marcata dal periodare boccaccesco: si ricerca una riduzione dell’ipotassi (eccetto ad esempio nella storia del genere umano), e si rifugge nella microsintassi dalle inversioni e dalle tmesi; da un altro lato Leopardi si distanzia dallo stile spezzato alla francese, entrambe le soluzioni contravverrebbero alla naturalezza che cerca (Leopardi giudica il francese lingua inelegante e geometrica; anche i francesi lo pensavano ma ne erano orgogliosi, per Leopardi questa geometria risultava arida; il francese ha sacrificato la varietà lessicale). La sensibilità come si vede è in gran parte comune a quella del Giordani, ma gli esiti leopardiani sono molto più conformi alla teorizzazione (Leopardi fa quello che dice). Il modello di Leopardi è la lingua del Cinquecento, quando ormai l’italiano è diventato patrimonio di tutta la nazione ed è lingua pluristilistica: può essere utilizzata nelle lettere, nei trattati impegnati, nelle novelle del Firenzuola con esiti comici. Il Manzoni invece guardava come esempio eccezionale alla geometria francese, la pletora di sinonimi dell’italiano allontana lo scrittore da un’espressione chiara, ma è lontano dall’idea degli illuministi francesi cui Leopardi si avvicina maggiormente. Leopardi rifugge dall’uso di arcaismi non utilizzati (Zibaldone 19 marzo 1822, 27 febbraio 1821).
DIALOGO DI UN VENDITORE D’ALMANACCHI E DI UN PASSEGGERE
Venditore. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?
Passegere. Almanacchi per l’anno nuovo?
Venditore. Sì signore.
Passegere. Credete che sarà felice quest’anno nuovo?
Venditore. Oh illustrissimo sì, certo.
Passegere. Come quest’anno passato?
Venditore. Più più assai.
Passegere. Come quello di là?
Venditore. Più più, illustrissimo.
Passegere. Ma come qual altro? Non vi piacerebb’egli che l’anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi?
Venditore. Signor no, non mi piacerebbe.
Passegere. Quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete almanacchi?
Venditore. Saranno vent’anni, illustrissimo.
Passegere. A quale di cotesti vent’anni vorreste che somigliasse l’anno venturo?
Venditore. Io? non saprei.
Passegere. Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?
Venditore. No in verità, illustrissimo.
Passegere. E pure la vita è una cosa bella. Non è vero?
Venditore. Cotesto si sa.
Passegere. Non tornereste voi a vivere cotesti vent’anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?
Venditore. Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.
Passegere. Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati?
Venditore. Cotesto non vorrei.
Passegere. Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch’ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l’appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?
Venditore. Lo credo cotesto.
Passegere. Né anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?
Venditore. Signor no davvero, non tornerei.
Passegere. Oh che vita vorreste voi dunque?
Venditore. Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz’altri patti.
Passegere. Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell’anno nuovo?
Venditore. Appunto.
Passegere. Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest’anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d’opinione che sia stato più o di più peso il male che gli è toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Venditore. Speriamo.
Passegere. Dunque mostratemi l’almanacco più bello che avete.
Venditore. Ecco, illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi.
Passegere. Ecco trenta soldi.
Venditore. Grazie, illustrissimo: a rivederla. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi.
Analisi linguistica
Il dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere è una delle ultime operette, scritta nel 1832 e pubblicata a partire dalla seconda edizione (1834); non rappresenta lo stile medio di Leopardi, la sintassi raggiunge una semplicità eccezionale e il lessico è umile, colloquiale, giocato sul tono medio; questo risultato è il frutto di una maturità successiva rispetto alle prime operette, il dialogo è un quadretto di genere ed ha una leggerezza notevole. Gli almanacchi contengono osservazioni astronomiche più precise dei lunari. Lo schema qui adottato è quello consueto di un loico, un pensatore, che persuade l’interlocutore di una verità amara; qui il passeggere è l’intellettuale, depositario di quella che sarà definita la triste scienza; qualcuno ci ha visto un velo di malignità, presente sì in altre opere ma qui la fine fa pensare, insieme allo stile leggero, a una sorta di soluzione di compromesso. La sostanza del dialogo dal punto di vista concettuale deriva da appunti dello Zibaldone (1 luglio 1827):
Leopardi aveva rivolto a se stesso e a parecchi la domanda del passeggere al venditore, veste i panni sia dell’uno sia dell’altro.
Il dialogo arriva ad un massimo di naturalezza e sprezzatura, le battute solo in due casi superano le due righe e sono entrambe del passeggere; questo dialogo ha il rapporto riga-periodo più basso in tutte le operette; domina incontrastata la paratassi. Il tono è spigliato, il ritmo incalzante, rapido, che ricorda il comico-burlesco della commedia cinquecentesca (anche vita di Benvenuto Cellini, Agnolo Firenzuola detto il Lasca). Quasi tutte le battute del passeggere, tranne le ultime due, terminano con interrogative, è un gioco maieutico, trae socraticamente dall’interlocutore la verità che lui stesso ha conosciuto pensando alla propria vita. Ma questo continuo porre domande arriva quasi al gioco a tratti maligno; tuttavia la fine è di solidarietà tra i due: la vita continua nonostante entrambi abbiano riconosciuto quella verità e va trovata una soluzione per andare avanti. Questo dialogo è molto più teatrale di altri, ci si avvicina al parlato vero e proprio (io? non saprei). Sotto quest’impressione spigliata sta un lavorio incessante, stile classico che appaia moderno, la fatica dello scrittore coperta da un velo di naturalezza: le domande e le risposte si riecheggiano, botta e risposta collegate ad eco, anche una frase fatta del venditore come piacesse a Dio dà lo spunto al passeggere per riprendere la parola chiave (piaceri e dispiaceri), così importante per il pensiero leopardiano.
Il venditore utilizza la forma dittongata nuovi, assoluto nelle operette morali di Leopardi e tipico della lingua letteraria e non del tempo; Manzoni riprenderà le forme monottongate com’era tipico del parlato fiorentino. Leopardi usa il monottongo solo dopo consonante + r, è insieme tradizionale e moderno. La forma passeggere invece di passeggero è toscanismo letterario tradizionale, da notare perché normalmente nelle operette si trova pensiero, straniero, leggero e così tutti i suffissati in -iero; nei Promessi Sposi e nei giornali ottocenteschi la forma corrente è passeggero. Nella quiete dopo la tempesta v 24 si trova la forma apocopata passegger, non dà informazioni sull’utilizzo poetico. Il passeggere dà del voi al venditore, il che significa che gli si rivolge come a un inferiore nella scala sociale; il venditore dà del lei al passeggere (a rivederla), perché esisteva allora una scala di gradi di rispetto attualmente perduta: lei, voi e tu, da maggiore a minor rispetto, si marca il diverso rapporto tra i personaggi.
L’elisione in quest’anno è presente nella prosa leopardiana dei dialoghi, perché la lingua si avvicini ad un livello colloquiale, ed ha funzione ritmica; altri casi sono piacerebb’egli, vent’anni, ch’è, questo espediente dà andamento più mosso ed è rifiutato da Giordani per ottenere l’effetto contrario. Le ripetizioni che garantiscono la coesione sono anche all’interno delle battute dello stesso personaggio (tra le varie battute del venditore oh illustrissimo sì certo, più più illustrissimo, anche il pronome cotesto è ripetuto nelle diverse battute del venditore; per il passeggere si ripete rifare la vita in due sue battute). Abbiamo epanalessi (più più) che ha la funzione di connotare affettivamente la battuta del venditore. Egli è pronome espletivo come l’inglese it, non è referenziale ma è quello utilizzato con verbi impersonali; non vi piacerebb’egli è soluzione della tradizione letteraria ma con riscontri nel parlato vivo di Toscana, lo statuto è ambiguo. Il pronome espletivo al tempo delle operette è già in regresso e sta già acquistando quell’alone letterario che ha oggi presso di noi; tuttavia in Leopardi non è sistematico, già nella storia del genere umano si ha struttura impersonale come fu cosa mirabile senza il pronome espletivo. L’espressione del soggetto quando non c’è ambiguità è tratto arcaizzante, è frequentissima nel Trecento quando era tratto della lingua corrente, nell’Ottocento diventa rimando alla tradizione letteraria; non a caso Manzoni nel passaggio dalla ventisettana alla quarantana eliminerà molti pronomi soggetto, ma già Foscolo dall’edizione del 1802 a quella del 1816 delle lettere di Jacopo Ortis eliminerà molti di questi pronomi soggetto.
Cotesto è altra parola di statuto ambiguo, letteraria ma anche fiorentinismo, a Firenze il sistema dei dimostrativi è ancora tripartito. Il Leopardi utilizza cotesto dalle operette scritte nel 1827, e l’impiego si fa intenso nelle due scritte nel 1832; nell’edizione fiorentina del 1834 molti questo che figuravano in quella milanese del 1824 vengono cambiati in cotesto, quando ripubblica l’opera egli mira a una omogeneizzazione.
Vita è la parola centrale del dialogo, viene introdotta dal passeggere con una frase di tono ironico, il luogo comune la vita è una cosa bella, ma la sua argomentazione tende a rendere consapevole il venditore che le cose stanno diversamente; naturalmente viene ripresa nel punto in cui il passeggere enuncia la sua argomentazione, prima era in sordina all’interno di frase fatta, ora termine di primo piano. Così per male, prima in il caso ha trattato tutti male, poi si riprende nell’argomentazione con tutto il suo peso. Altre parole chiave sono passato e futuro, sono tutte quelle parole vaghe e indefinite che Leopardi ritiene più adatte alla poesia, ma sono anche parole insolitamente umili e dimesse, della conversazione di tutti i giorni come si vede nel dialogo. In cotesto non vorrei abbiamo minima inversione, tutto sommato frase vicina al parlato. Non tornereste voi ha espressione e posposizione del soggetto, tratto arcaizzante e letterario: Patota mostra che nei testi del primo Ottocento la posposizione del soggetto nelle interrogative dirette ha la sua massima espressione, così anche nelle ultime lettere di Jacopo Ortis, ma anche in testi successivi come Fede e bellezza di Tomaseo, Le mie prigioni di Pellico, la lingua dei giornali; una moda che viene estirpata da Manzoni nella quarantana, dove i pronomi posposti che disseminavano nelle altre edizioni il parlato di Federigo vengono eliminati per accostarsi all’uso parlato. Vediamo nelle lettere di Leopardi a Giordani che in gioventù egli usa questo modulo stilistico, ma quando il loro rapporto evolve e diventa più disteso propende per le interrogative senza nessun pronome soggetto.
La concordanza del participio con il complemento oggetto prevale di poco nelle operette, al tempo aveva valore moderatamente sostenuto. Le battute seguenti del passeggere sono di nuovo moderatamente letterarie, non taglia i ponti con la tradizione ma non dà impressione di artificiosità, la tradizione è recuperata sapientemente: anticipazione della subordinata gerundiva rispetto alla reggente, modulo sintattico frequente nelle operette ma gestito con discrezione, in modo non plateale. Altro aspetto moderatamente letterario, non molto frequente, è l’uso avverbiale dell’aggettivo (si vede chiaro). Nelle ultime battute vi è uso combinato di parallelismo e antitesi, frequente nelle operette, che serve a dare ordine alla disposizione delle parole; ci sono altri schemi ternari paralleli che danno chiarezza al discorso. Questi parallelismi affiorano in questo dialogo così semplice nelle due battute che superano le due righe, sono molto pervasivi.
Questa operetta è l’unica ad avere struttura anulare, il venditore inizia e finisce con la sua frase pubblicitaria; Leopardi sceglie questa soluzione stilistica come controparte della circolarità dell’esistenza che ritorna sempre su se stessa. Ma è anche vero che il passeggere, che ha interrogato serratamente il venditore e l’ha portato a riconoscere quella verità cui lui è arrivato con il ragionamento, è lo stesso che sceglie di comprare l’almanacco più bello: la vita continua e si riprende la battuta iniziale perché dopo questo squarcio di triste verità entrambi devono continuare a vivere. La cura che Leopardi dedica al suo fare letterario, sia nei canti sia nelle operette, tendendo ad una prosa levigatissima, armonica e leggera, è l’affermazione che nel crollo di tutte le illusioni non crolla mai la cura e la ricerca della bellezza, che rimane come una sorta di riscatto, insufficiente ma almeno parziale. Secondo un’altra interpretazione ugualmente sostenibile il venditore lascia parlare il passeggere e lo blandisce per il suo interesse, senza davvero capire la verità che il passeggere gli ha svelato. Non ci sono indizi linguistici di un disprezzo del passeggere per il venditore, il passeggere ha cercato un dialogo come si evince anche dalla coda (l’operetta poteva finire senza la conclusione, che è una sorpresa per il lettore ma coerente con il resto del contesto). Il passeggere si mette in parte sullo stesso piano del venditore, cita frasi popolari e non dà sfoggio della sua cultura superiore a quella dell’interlocutore; inoltre gli lascia la parola e c’è almeno una parvenza di dialogo.