Il III secolo è un periodo preso a modello per lo studio di qualunque crisi, tutto ciò che sembrava funzionare si ferma. Dopo la seconda guerra partica i soldati romani guidati da Lucio Vero portarono in Occidente il vaiolo, che provocò una crisi demografica nell’impero, dove il tasso demografico era ad accrescimento ristretto a causa dell’assenza di cure per molte malattie. Quindi dal III secolo non si riuscì più a ristabilire un tasso di accrescimento positivo recuperando le perdite, come si era fatto nell’età repubblicana e nell’alto impero.
Altro fattore di crisi fu il deterioramento della moneta, il denario d’argento si era mantenuto invariato da Augusto all’età degli Antonini, e in seguito la zecca centrale vuole riportare le monete al valore del denario ma non si riuscì perché mancava la quantità di argento; fu sostituito da Antoninianus di Caracalla, Follis, argenteus di Diocleziano con cui gli imperatori cercavano di ripristinare la fiducia del popolo nei confronti della moneta. Il valore della moneta è fiduciario, non dipende dalla quantità di metallo prezioso che contiene ma da una decisione di un ente centrale; il tentativo fallì perché i cittadini non accettarono una moneta che non avesse un valore reale. Si assiste alla tesaurizzazione di vecchie monete con elevata quantità d’argento e tentativo di liberarsi delle nuove monete. La sfiducia nella moneta si riflette sulle autorità che laemettono, e ciò fa entrare in crisi le strutture economiche su cui fino ad allora si era retto l’impero, a partire da Settimio Severo i soldati pretesero che il soldo venisse pagato in parte in natura, con generi di prima necessità. È un periodo con forte oscillazione dei prezzi, dunque i militari risultavano privilegiati e si crearono tensioni sociali e fratture tra la popolazione imperiale. La crisi è di lunga durata, dalla fine del II secolo all’impero di Costantino, all’inizio del IV; alcuni studiosi ne fanno risalire l’inizio al 180, e diventa così plurisecolare; tuttavia ancora sotto Settimio Severo furono combattute due guerre partiche vittoriose e l’impero raggiunse la sua massima estensione, quindi era ancora in grado di espandersi. Su una crisi socio-economica di lunga durata si innesta una crisi politico-militare molto più ristretta, poco più di vent’anni. I fattori che la determinarono furono in prevalenza esterni, e la reazione dell’impero fu rallentata dalla precarietà del potere centrale dopo la scomparsa di Alessandro Severo, con la fine della dinastia omonima. Non si impose più una dinastia, gli imperatori successivi regnarono per breve tempo, e il potere centrale non fu più un punto di riferimento. Si assiste alla metà del III secolo al ritorno sulla scena del Senato, che permane e costituisce l’unico segnale di stabilità; esso vuole ora determinare la nomina degli imperatori. Regnò Massimino il Trace dal 235 al 238, e gli successero due imperatori eletti dal Senato per evitare una guerra civile con Gordiano console d’Africa che aspirava al regno appoggiato dall’esercito.
Dal 244 al 249 regnò Filippo l’arabo,che aveva una brillante carriera equestre fino a diventare prefetto dell’urbe nonostante fosse sceicco di Bosra. Durante il suo regno si diffuse la voce che Filippo fosse cristiano, proveniva proprio dalle terre di origine del cristianesimo e frequentava intellettuali cristiani; ciò prova la capillare diffusione fino ai vertici dell’impero del cristianesimo, religione illecita. Durante il suo regno nel 248 si celebrava il millennio di Roma, e legata a questa celebrazione vi fu una numerosa produzione storiografica. Il millennio faceva pensare all’aeternitas di Roma, come se l’umanità non potesse esistere senza Roma; tuttavia si temeva anche che il millennio significasse il compimento di un progetto politico, una vecchiaia che di lì a poco avrebbe implicato la fine se non si fosse reinventato e ringiovanito. La fine era stata prospettata già all’epoca delle guerre civili, ma Roma aveva saputo rinnovarsi grazie ad Augusto (vedi testimonianze di Orazio epodo 16 e Virgilio ecloga IV).
Secondo Floro anche dopo l’età oscura di Domiziano aveva ritrovato con Traiano una nuova giovinezza, una rinascita positiva. Nel 251 apparvero sulle rive del Danubio i Goti, popolazione barbarica tra le più avanzate dal punto di vista politico-militare; provenivano dalla parte meridionale della Scandinavia., discesero attraverso la Polonia e la Romania. La prima battaglia fu combattuta dall’imperatore Decio ad Abritto e fu una tremenda sconfitta in cui fu eliminato l’imperatore stesso; i Goti penetrarono poi in Grecia ed assediarono Atene, passarono in Asia e compirono incursioni anche in Spagna, mostrando abilità nell’utilizzare le navi. Dagli anni 30 del III secolo i Sassanidi che regnavano in Persia premevano sul’Eufrate, frontiera orientale dell’impero romano; ci furono scontri a partire da Alessandro Severo e nel 260 l’imperatore Valeriano, impegnato nel contenimento dei sassanidi, fu sconfitto e fatto prigioniero dal re persiano e morì in prigionia umiliato. I Persiani si spinsero fino ad Antiochia e dilagarono in Siria senza che i Romani potessero opporsi, stremati su due fronti da popolazioni barbariche. La prima reazione a queste catastrofi provenne dalle autorità locali, il potere centrale era impreparato ad affrontare l’emergenza; in Oriente il legatus Siriae e principe di Palmira riconquistò Antiochia e respinse i Persiani dalla Siria. Ma poi costui, Odenato, concepì insieme alla moglie Zenobia il disegno di rendere Palmira regno autonomo e di estenderne i confini a tutto l’Oriente Romano; Zenobia invase dunque anche l’Egitto. In Occidente i Goti tentarono di passare il Reno e di invadere la ricca Gallia, insieme ai Franchi e agli Alemanni, nuove popolazioni piene di iniziativa. Il governatore delle Gallie decise di difendersi e formò tra il 260 e il 268 l’imperium Galliarum, che comprende l’Occidente romano quindi anche parte della Spagna; anch’egli si stacca dall’autorità centrale. L’impero negli anni 50 risulta diviso in tre blocchi. In quest’epoca si ricominciò ad usare le lingue locali e le culture dei singoli popoli risorsero e rifiorì la letteratura Copta e celtica. L’impero romano non stava per finire, ma uscì da questo momento con un assetto nuovo rispetto a quello dell’alto impero; la rinascita dell’impero e la sua ristrutturazione si devono a Gallieno, Diocleziano e Costantino.
Gallieno figlio di Valeriano regnò dal 260 al 268, salì al potere mentre il padre era prigioniero presso i Persiani; non si propose reazioni immediate ai confini che Odenato e il governatore delle Gallie Postumo difendevano con efficacia, ma fronteggiò subito i Goti che dilagavano nella penisola balcanica. Cambiò l’aspetto dell’esercito romano reduce da due sconfitte a poca distanza di tempo, da allora furono rimossi i senatori dai comandi militari e sostituiti da cavalieri, ridusse le unità militari a circa mille uomini rispetto alla legione di 5/6000 uomini, che diventano vexillationes di fanteria o numeri di cavalleria, con una prevalenza di numeri. La maggior responsabilità in battaglia è affidata ai cavalieri, armati del contus, lancia corta con cui sfondano il fronte nemico e colpiscono con la lancia senza scagliarla. Fu necessario un lungo addestramento per mettere in atto la riforma militare, e nel 268 Gallieno o il suo successore con l’esercito così cambiato sfidò i Goti nella battaglia di Naisso con esito opposto rispetto alla battaglia di Abritto, i Goti subirono una tale disfatta che dovettero passare più di cent’anni prima che passassero nuovamente il Danubio. I confini dell’impero erano nuovamente sicuri, la riforma epocale di Gallieno garantì cent’anni di pace in cui si sviluppò il tardo impero o impero romano-cristiano. L’imperatore Aureliano ricompose l’unità dell’impero grazie al lo strumento militare di nuovo efficiente, riporta tutto l’Oriente sotto il dominio di Roma; in Occidente il comandante delle Gallie si arrese senza combattere ed anch’esse tornarono sotto l’egida romana. Nel 274 Aureliano celebrò il trionfo de Oriente et de Occidente, col quale si chiude la crisi politico-militare apertasi ad Abritto nel 251.