In Sicilia popolazione pre-indoeuropea erano i Sicani, soppiantati poi dagli indoeuropei Siculi. Nell’Italia antica si avevano presenza greca ed etrusca, importanti nella formazione del lessico del latino arcaico.
Parlare di latino significa parlare di un dialetto che nella sua fase arcaica conviveva con falisco a Faleri, prenestino a Preneste, lanuvino a Lanuvio, realtà poi scomparse; del falisco abbiamo qualche iscrizione, del prenestino qualche epigrafe e alcuni termini. Questi dialetti nella fase più antica non erano così lontani dal latino, ma quando Roma sottomette Faleri si nota un tentativo nel falisco di distaccarsi dal latino e far riemergere ciò che è tipicamente falisco. Il latino si collocava all’inizio nel latium vetus e nel tempo ha inglobato le varietà vicine; ha subito un’evoluzione (arcaico, classico, tardo, volgare) dal punto di vista diacronico, ed esistevano già nella fase antica varietà diatopiche, anche per la presenza di popolazioni che prima parlavano altre lingue: vedi Sabini e Samnites, sab sam è la stessa radice. Varietà diatopica è anche città contro campagna, abbiamo indicazioni da Varrone e da grammatici tardi. Vi sono poi differenze diastratiche che insieme alle diatopiche complicano il quadro, classi alte e umili delle varie zone e tra città e campagna. Poi differenza diamesica tra lingua scritta e orale. Il latino va differenziandosi per l’enorme diffusione, dopo l’Italia contatti con l’area celtica, con la creazione delle province fattori vari: viene portato fuori d’Italia prima di tutto dalle legioni e viene imposto con la forza, e nelle zone conquistate c’erano interpreti; segue una fase di bilinguismo e poi un latino locale; anche i mercanti e gli artigiani portano il latino, categorie portatrici di una propria lingua con espressioni ed inflessioni tipiche delle categorie a cui appartenevano (lo stesso esercito era composito, se si esportavano oschismi è perché c’erano uomini di parlata osca nell’esercito). Con l’espansione di Roma crescono il ruolo dell’amministrazione e della scuola due particolari veicoli di diffusione di una lingua. Il latino si diffonde nell’impero fino al III sec d. C. in maniera compatta tranne nelle zone in cui il greco continua ad essere vitale o ad avere prestigio; a questa compattezza non si accompagna una uniformità, i parlanti potevano interagire tra loro ma con differenze nella forma che tuttavia si fondava su una base comune. Oltre al latino classico si ha latino della chiesa, latino dei cristiani (parlò di latino cristiano uno studioso olandese Schrejnen); il latino della chiesa era quello della liturgia e della predicazione, il latino dei cristiani era quello che essi parlavano tra loro anche per non essere individuati dai nemici, era quasi un gergo. Non tutte le lingue romanze hanno attraversato la stessa fase, ogni lingua ha avuto le sue evoluzioni prima nella facies del latino poi nella lingua stessa. Le popolazioni sottomesse assumono il latino come loro lingua, movimento dal basso verso l’alto e non al contrario un’imposizione; il latino è lingua adottata per la necessità di assumere una posizione di rilievo nel nuovo organismo statale e nella nuova società creatasi con la conquista romana. Non si parla di politica linguistica romana ma di adeguamento delle popolazioni sottomesse alla lingua dei vincitori. L’Italia è stata il centro di maggiore diffusione di fenomeni romanzi ma non in maniera uniforme: differenze tra Lazio, Toscana e Campania, ancor oggi con parlate diversissime per lo stesso latino lì diffuso ma scontratosi con elementi indigeni; avviene qualcosa di simile allontanandosi dall’Italia (Gallia, Dacia che conserva caratteristiche arcaiche); la continuità o meno delle relazioni delle province con la metropoli ha portato le innovazioni che poi si svilupparono in Italia, anche se la lingua delle singole province agiva come substrato. All’inizio del IV sec d. C. con il decentramento amministrativo sorgono mode locali e quell’unità fino ad allora si frantuma e si individuano un’area in Italia al di sotto della linea La Spezia-Rimini (Sicilia, zona adriatica dunque Illiria e Dacia, dove abbiamo caduta di s finale e mutamento di declinazioni), un’area isolata (Corsica e Sardegna, si perdono le consonanti finali marimane la u in italiano passata ad o, non è arrivata la palatalizzazione), un’area al di sopra della linea La Spezia-Rimini (Alpi, Gallia, penisola iberica e parte dell’Africa settentrionale, dove si colloca la sonorizzazione delle sorde all’interno di parola e a volte il mantenimento della s finale). Con la presenza di popolazioni diverse e la cessione della Dacia ai Goti alla fine del III secolo, ci sono infiltrazioni di popolazioni germaniche che scendono lungo i fiumi dell’Europa centro-orientale e i movimenti delle popolazioni slave; nel 358 i Franchi occupano una parte del Belgio, intorno al 450 gli Angli, i Sassoni e gli Iuti arrivano in Gran Bretagna, dove accanto all’elemento celtico era presente l’elemento latino; poco dopo ci sarà l’avanzata araba, e nel 476 cade l’impero romano d’Occidente, e da qui si hanno i latini regionali indipendenti tra di loro perché seguono le vicende politiche, economiche e sociali delle popolazioni. Questi latini sono distanti dalla lingua letteraria che nel tempo mantiene una sua fisionomia, e per definirli si ritorna alla diffusione del latino in tempi e modi diversi, in base al tipo e al momento della colonizzazione romana; influisce il ceto sociale dei parlanti, in Gallia e penisola iberica ha molta influenza il ceto dei mercenari.