L’urbanistica è il controllo preventivo delle future costruzioni e dell’uso del suolo in una data zona. Mentre fino alla metà dello scorso s quest’attività si limitava principalmente al progetto delle strutture fisiche meglio convenienti ai bisogni di una comunità, l’u. oggi viene sempre intesa come strumento di politica sociale. Il concetto di u., diffusosi verso la fine del XIX s per opera di J. Stübben e di c sitte, si sostituí alle precedenti concezioni di espansione radiocentrica. Tra i suoi vari aspetti, le misure prese per eliminare le condizioni insane di vita sono chiamate risanamento; quelle per porre rimedio alla scarsità di aree, sviluppo (redevelopment).
L’espressione venuta recentemente alla moda, «sviluppo comunitario», significa per contrasto la coordinazione tra la fornitura di case ed una politica programmatica degli investimenti unitamente alla creazione di un’infrastruttura economica. I poteri legali conferiti a un ente di pianificazione comprendono da un lato l’uso del suolo (e in base ad essi l’ente dispone, in ampio dettaglio, gli usi cui deve essere adibito il suolo che rientra nella sua giurisdizione); dall’altro, lo sviluppo pianificato, mediante il quale l’ente dispone che cosa vada costruito e dove. In Gran Bretagna i termini «pianificazione urbanistica e rurale» o «urbanistica» hanno sostituito quelli di «sviluppo» e «civic design», o disegno civico, «sviluppo comunitario» o della comunità mentre altrove, e specialmente negli Stati Uniti, si parla normalmente di «urbanistica» tout-court, di «city planning», o pianificazione dei centri urbani, di «community planning», o pianificazione comunitaria, di «urban planning», o pianificazione dell’agglomerato urbano e di«urban design», o progettazione urbana. Per fare riferimento al piú vasto contesto urbano recentemente sono state impiegate le locuzioni «environmental planning», o pianificazione ambientale, e «environmental design», o progettazione ambientale. In Francia il termine «urbanisme» abbraccia tutti questi aspetti, come fa l’italiano «urbanistica»; mentre in Germania si parla di «Stadtplanung», pianificazione urbana o Städtebau, realizzazione degli agglomerati urbani Astengo, eua s.v.’ Mumford ’61, Smailes ’62, Benevolo ’63 Morini ’63, Gutkind ’65, Moholy-Nagy S. ’68; Sica ’70. ’71-78; Benevolo ’75; Jellicoe G. E. S. ’75; Bailly ’78.
La prima prova che abbiamo di edificazione di città risale a un’epoca tra il 7000 e il 5000 aC; ma le prime città di cui si abbia conoscenza dettagliata sono quelle sulle rive del Mediterraneo, specie dell’antichità gr. e romana, destinate a lasciare un’orma durevole sulla civiltà occidentale. Fortezze e insieme insediamenti, le prime città gr. seguivano per la maggior parte l’esempio delle città-acropoli (costruite, cioè, sulla cima di alture) del Peloponneso e dell’Asia Minore (Micene, Troia) nella scelta del luogo. Successivamente l’acropoli venne integrata da ulteriori quartieri abitati sulle pendici o al piede della collina (come ad Atene). Non soltanto l’occasionale fondazione ex novo di città sul continente comporta la realizzazione di una planimetria organizzata (Pireo), ma questo accade pure, in misura notevole, nelle città coloniali fondate nell’Italia mer., in Sicilia e sulla costa dell’Asia Minore: Selinunte, Priene, Mileto (milesio), Siracusa; si ha un sistema caratteristico, attr. a Hippodamos, di strade che si intersecano ad angolo retto, sia in zona piana che accidentata. Il nucleo di tali città, spesso dominate da un recinto sacro con tempio, era l’agorà, o piazza del mercato cinta di portici le strade su cui le case (dotate di cortile posteriore) affacciavano col retro erano semplicemente arterie di traffico, e non comportavano insiemi pianificati.
L’u. romana apportò a questo schema un mutamento decisivo: persiste, per la verità, una regolarità planimetrica ippodamea che s’incentra sul cardo e sul decumanus (castrum), ma le strade, le piazze, i templi, o i fori principali rispondono a una distinzione interamente nuova mediante la simmetria e l’assialità della loro arch. ufficiale, specialmente nel periodo tardo-romano (Roma stessa, Palmira, Baalbek). milesio; von Gerkan ’24; Poëte ’29; Doxiadis ’37; Homo ’51; Hutchinson 53; Martin ’56; Lavedar ’66; Coppa ’68.
La vita urbana europea soffrí il declino dell’Impero romano, tanto da scomparire quasi del tutto quando le conquiste arabe troncarono il commercio all’interno del Mediterraneo. Dove le città romane continuarono ad essere abitate, ciò accadde per opera di popolazioni fondamentalmente rustiche, che si accalcavano caoticamente all’interno delle loro mura; tanto che raramente l’impostazione planimetrica originaria sopravvisse (per es., a Torino).
Uniche forme di insediamento umano divennero le fortezze e i monasteri. Il commercio, e con esso la vita urbana non rifiorí fino al X s. Città prive di piano sorsero alle intersezioni delle vie commerciali e alla foce dei fiumi, spesso come puri assembramenti fuori delle mura delle abbazie, dei castelli delle antiche città e destinati successivamente ad assorbirii.
Nei s XI e XII, governanti illuminati riconobbero e favorirono le città, specialmente lungo il Canale della Manica e il Reno mediante la concessione di particolari libertà e privilegi, mentre, in Italia, i comuni si conquistavano l’indipendenza. Alcuni governanti, come Corrado di Zähringen (Friburgo ecc.) e Luigi VI (Lorris) fondarono città in ragione del benessere che esse avrebbero prodotto, ma non si pensò affatto a pianificarne l’impianto o la costruzione fino al s xiii, quando i fratelli Alphonse, Conte di Poitiers (Villefranchede-Rouergue) e San Luigi in Linguadoca, nonché Eduardo I in Guascogna (Monpazier, Lalinde) e N. Wales (Flint, Conway) non fondarono le loro villeneuves e bastides per sistemare e dominare regioni conquistate. Tali «bastides» (ed i rari casi di città nuove, o meglio trasmigrate, come Salisbury o Winchelsea in Inghilterra) erano disposte su elementari piani a scacchiera, dettati dalle ripartizioni di lotti; uno di tali lotti era lasciato libero per la place d’armes centrale (spesso cinta da portici).
La pianificazione fisica fu altrove pura eccezione nel Medioevo, all’infuori della Toscana: ove l’orgoglio civico si esprimeva sia nell’erigere ed. pubblici che nel regolare e normalizzare la collocazione e l’aspetto di quelli privati. La consapevolezza dei problemi di immagine nel campo urbano si riflette nell’importanza che hanno i paesaggi urbani nella pittura tardo-medievale. Tout ’27; Piccinato L. ’43; Braunfels ’53b; Lavedan ’66; Saalman ’68.
Col Rinascimento, le concezioni nuove della prospettiva favorirono la presa di coscienza della strada come «veduta» e del la piazza come entità: sia che il vocabolario classico, richiamato in vita, venisse impiegato per dare alle piazze una veste uniforme (ciò su cui per primo s’impegnò Lodovico il Moro a Vigevano, 1492-94), sia che servisse a integrare ed. disparati (Campidoglio in Roma di michelangelo). Singolarmente unitaria, organica e anticipatrice l’«Addizione Erculea» di rossetti a Ferrara (dal 1492). Nello stesso tempo, la popolarità acquisita da vitruvio ispirò una quantità di progetti di «città ideali», di solito a impianto radiocentrico: per es. del filarete, di francesco di giorgio, di p. cattaneo, del Dürer (che immaginò una città quadrata a strade ortogonali), di buontalenti (con la sua Eliopoli o «Terra del Sole»), di Speckle (che attinse a Filarete), piú tardi di perret: pochissime delle quali vennero, per eccezione, realizzate (Palmanova, di G. Savorgnan e M. Martinengo, con interventi di scamozzi, Sabbioneta, dovuta a V. Gonzaga, ove poi operò lo stesso Scamozzi; piú tardi, nella prima metà del XVIII s, Granmichele in Sicilia, dopo il terremoto del 1693; Coeworden). Altre città, che nel s xvii continuavano a venir fondate da parte di singoli personaggi per motivi religiosi o di profitto, trassero da quelle città ideali il concetto di conferire predominanza alla piazza come cuore della città, incrocio viario e punto focale urbano (Freudenstadt, Henrichemont, Livorno Charleville).
Questi aspetti visuali dell’u. colpirono l’immaginazione dei príncipi assoluti dell’Europa sett. nel XVII e XVIII s: dandosi cosí luogo sia alla serie fr. di places royales focalizzate sulla statua del re (si cominciò a Parigi con la Place Dauphine, 1607-1614, e con la Place des Vosges, 1605-12), sia a vere e proprie città impostate, talvolta sui medesimi principi di un formale giardino, come integrazione di palazzi reali (Versailles, Karlsruhe, Ludwigsburg).
Benché in Germania città e quartieri continuassero ad essere creati ex novo, per ricevere rifugiati religiosi come generatori di nuovo benessere e attività (Erlangen Neuwied, Kassel; e le vane proposte di Defoe per New Forest), altrove la crescita urbana avveniva in modo in gran parte asistematico. I governanti fr. e ingl. risposero sulle prime alla crescita della popolazione nelle rispettive capitali durante il XVI s tentando semplicemente di proibirne l’espansione per decreto; solo, però, per capitolare nel XVII s dinanzi agli schemi a larga scala di speculatori come Le Barbier e Barbon, nonché monasteri e aristocratici avidi di valorizzare le loro proprietà. I nuovi quartieri da loro creati, i Faubourgs a Parigi e il West End a Londra, corrispondevano al desiderio delle classi elevate di godere di maggiore spazio e di aria piú sana, mentre però i francesi preferirono costruire hôtels privati con giardini sul proprio suolo, gli inglesi si adattarono a proprietà affittate dietro le facciate uniformi di strade e piazze.
Covent Garden, disegnata da i. jones per il conte di Bedford nel 1630, fu il primo progetto a facciate uniformi, ma fu il conte di Southampton a creare Bloomsbury Square (primo esempio del nome) nel 1661, che inaugurò l’espansione caratteristica di Londra mediante l’espansione affittuaria delle proprietà aristocratiche focalizzata su piazze con giardini al centro, che durò fino alla metà del s XIX (per es. Harley, Cavendish, Russell, Grosvenor). A Bath, i woods arricchirono il vocabolario di piazze e strade col circus e col crescent, nonché con blocchi interi ciascuno dei quali era disegnato in modo da apparire un unico palazzo, e i principi di Bath e di Londra vennero estesi alla nuova città di Edimburgo da Craig e dagli adams. nash introdusse elementi del pittoresco nella sua valorizzazione delle proprietà della Corona, sfruttando il decorso irregolare della sua Regent Street e incorporando il Parco con le sue ville. Rauda ’56, Lavedan ’59, Zevi ’60; Benevolo ’69; Simoncini ’74; Muratore ’75; Blunt De Seta 78; Guidoni Marino ’79.
Minimi erano i provvedimenti impliciti in tali schemi per le numerosissime folle, sempre crescenti, di proletari urbani, attirati dalla campagna dalla rivoluzione industriale, o da essa respinti da quella agricola, e costretti all’occupazione sempre piú intensiva dei quartieri piú antichi delle città. Gli industriali potevano offrire case e costruire persino città nuove (Middlesbrough, Decazeville) per procurarsi mano d’opera; ma costruivano per standards, o dimensionamenti, minimi, creando file di case sovrapposte e l’una all’altra addossate, prive di spazio. Per i pensatori piú progrediti, come r. owen (che aveva cercato di costituire una comunità presso l’insediamento industriale da lui acquisito a New Lanark) e fourier, l’unico rimedio sembrava quello della creazione di comunità del tutto nuove in campagna, pianificate fino all’ultimo dettaglio (come nel prog. di ledoux per Chaux), autosufficienti e a proprietà collettiva. Nessuno di questi tentativi riuscí mai a sopravvivere: si ebbe invece il colera e una spinta politica che, sottolineando la separazione fisica tra le classi, portò l’attenzione sulla piaga della povertà urbana. Il Public Health Act del 1848 in Inghilterra, e la Loi de Melun del 1850 in Francia, diedero inizio alla legislazione che forgiava i poteri necessari ad una pianificazione socialmente motivata; l’accettazione della tesi piú cruciale, l’esproprio, venne facilitata dall’uso di esso nella costruzione delle ferrovie.
Le ferrovie, specialmente in Inghilterra, favorirono la fuga delle classi privilegiate, dalla sporcizia e dall’affollamento delle città industriali alle ville nei suburbi e nelle tenute. La necessità di spazio e di un ambiente piú piacevole per tutti venne riconosciuta nella creazione di parchi pubblici (il Princes’ Park di paxton Liverpool 1842; Recreation Grounds Act 1859) nonché dalla creazione di intere città in aperta campagna, con profusione di spazi e addirittura giardini per i propri dipendenti, da parte degli industriali piú illuminati (Saltaire di Titus Salt, Candles’ Bromborough di Price, Bournville di Cadbury, Port Sunlight dei fratelli Levers; e, fuori d’Inghilterra, notevoli realizzazioni di Krupp ad Essen e di Pullman a Chicago).
Sul continente, considerazioni di prestigio e di sicurezza nazionale condussero al «risanamento» di intere zone urbane e alla realizzazione di grandi arterie di traffico, nell’ambito di piani di sviluppo urbanistico (hausmann a Parigi, 1853-69 poggi a Firenze 1864-77); spesso le arterie presero il posto di ingombranti fortificazioni (già rase al suolo per trasformarle in passeggiate a Parigi nel XVII s), da cui il nome di boulevards o circonvallazioni; a Vienna l’intero glacis venne convertito nel rappresentativo Ring (in. 1858).
Tutte queste misure erano concepite isolatamente, come progressi singoli finché, verso la fine del s, i fondamenti dell’u. moderna in quanto disciplina vennero posti da studiosi come B. Baumeister e J. Stübben. L’opera di c. sitte (1889) influenzò il dibattito sui principi fondamentali dell’u. per almeno due decenni, a causa del suo appello al ritorno alle qualità estetiche dell’u. med., quali egli le deduceva dai centri med. ancora esistenti. Nell’ultimo decennio del XIX s le pubblicazioni di due riformatori sociali, e. howard (1898) e T. Fritsch (1896) lanciarono l’idea della città giardino: uno schema di espansione urbana decentrata che venne subito ripreso, anche se piú spesso nel senso di sobborgo-dormitorio che in quello di insediamento autonomo che i suoi autori intendevano (1899, fondazione della Garden City Association, 1903 Letchworth; 1907, Hampstead Garden Suburb, 1902, Associazione tedesca delle città giardino, con Dresden-Hellerau, Essen-Margarethenhohe, e le Green Belt Towns negli Stati Uniti).
Di importanza pari al movimento per le città giardino, ma del tutto indipendente da esse è la «Cité Industrielle» di t. garnier: libro cui egli lavorò specialmente nel 1899-1904, e che venne pubblicato nel 1917. Si aveva in esso l’approccio pratico ad una città normale se pure artificiale; e si dava dimostrazione di risposte a problemi come la collocazione dell’industria, quella delle residenze e quella del centro cittadino. Per qualche tempo l’opera non influenzò gli urbanisti. città giardino; utopia; Engels 1845, 1872; Sitte 1889; Unwin 1909; Barnes ’31; Morris W. ’47; Lavedan ’59; Choay ’69; Tarn ’71. Pure, intorno al 1910, l’u. fu definita una disciplina (conurbazione); si crearono cattedre di u. e si organizzarono gruppi di pianificazione. Alcune esposizioni (Londra e Berlino 1910) promossero una notevole messe di esperimenti e di lavori teorici in questo campo (T. Fischer, L.
Hilberseimer, e. may, le corbusier).
La comprensione crescente della necessità di vedere la crescita delle comunità urbane all’interno di un contesto regionale (r. unwin, F. Schumacher) condusse, negli anni ’20, a numerosi tentativi di collaborazione tra le autorità (1920, fondazione della Unione per l’Abitazione della Ruhr), da cui evolvettero le autorità di pianificazione regionale. L’affermazione fondamentale dei principî u. dell’epoca è contenuta nella carta di atene del 1933, elaborata dal Congresso Internazionale di Architettura Moderna (Ciam).
Queste idee (cfr. razionalismo) di una città articolata ma libera, hanno dato un contributo durevole non soltanto alla ricostruzione e all’espansione delle città dopo il 1945, ma anche alla progettazione delle new towns inglesi e della Greater London, nonché alle numerose città satelliti scandinave. Tra i vari suggerimenti riguardanti il modo di strutturare una comunità, meritano speciale menzione quella dell’unità di vicinato e il concetto di città lineare (sviluppato per primo da Soria y Mata nel 1882 e poi elaborato dai «disurbanisti» del costruttivismo sovietico, dai progetti di città ideali di Le Corbusier, e da quelli di Hilberseimer, O E. Schweizer ecc.). L’anelito diffusissimo alla compattezza alla flessibilità, alla zonizzazione mista, può considerarsi una reazione ai disagi determinati dalla zonizzazione rigida e dalla lamentatissima perdita del «senso comunitario urbano». Cfr. rinnovo urbano, e anche sharawadgi. città satellite; disurbanisti; soria y mata; utopia; Le Corbusier ’25b, ’41, ’46, Hilberseimer ’28b; Elageman ’30; Miljutin ’30; Mumford ’38; Lavedan ’52; Samonà ’59a; Lynch ’60; Insolera ’62; Benevolo ’63; Baburov Djumerton Gutnov Kharitonova Lezava Sadovskij ’67 Blumenfeld ’67, Glaab Brown ’67; Ostrowski ’68 ’70; Scully ’69; Aymonino ’71b, ’75; Bailey ’73; Cacciari ’73, Piccinato G. ’74; Norberg-Schulz ’79.
Il dibattito u. in Italia, a partire dal razionalismo e specialmente nel dopoguerra, è stato nutritissimo, si possono specialmente citare G. Aslengo, L. Benevolo piccinato, samona (cfr. anche megastruttura) . Dopo gli anni ’60 è stato evidente che i politici e il pubblico hanno cominciato ad apprezzare quanto da lungo tempo era noto agli esperti: che l’u., come insieme di interventi politici riguardanti l’ambiente e la qualità della vita umana, ha un ambito di interessi assai piú vasto di quello tecnico ed estetico. È prevedibile pertanto che il pubblico vorrà in futuro svolgere un ruolo sempre maggiore nel processo decisionale in questo settore.