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L’astronomia è quasi certamente la più antica delle scienze e ha contribuito più di ogni altra all’evoluzione del pensiero. Nata dalle necessità della vita quotidiana (misura del tempo, agricoltura, navigazione, ecc.) e dall’interesse dell’uomo per i grandi fenomeni della natura, è rimasta strettamente associata alle superstizioni astrologiche fino agli inizi dell’età moderna.
Gli antichi (Caldei, Egizi, Cinesi, Greci) avevano conoscenze molto ristrette in campo astronomico e si limitavano all’osservazione dei fenomeni celesti visibili a occhio nudo, generalmente per fini pratici o religiosi. Anche in tempi antichi venivano elaborate teorie sui fenomeni celesti e sul moto della Terra (Eratostene); mancavano però gli strumenti per confermarle.
L’autorità di Aristotele ( IV sec. a.C.) impose la convinzione dell’immobilità della Terra per oltre duemila anni. Il più grande fra gli osservatori del cielo nell’antichità fu Ipparco (fine del II sec. a.C.), la cui opera ci è nota soltanto grazie al suo lontano successore Tolomeo ( II sec. d.C.); quest’ultimo giganteggia con la sua scienza per tutto il medioevo e la versione araba, o Almagesto ( IX sec.), del suo trattato è giunta fino a noi. L’astronomia intesa in senso moderno nacque nel XVI e XVII sec.; Copernico propose, nel 1543, il sistema eliocentrico, togliendo la Terra dalla sua posizione privilegiata al centro dell’universo e trasformandola in un pianeta, che, insieme con tutti gli altri, ruota intorno al Sole immobile; Keplero stabilì, fra il 1609 e il 1619, le leggi del moto planetario, ricavandole dalle osservazioni di Tycho Brahe; Galileo impiegò per primo, negli stessi anni, un cannocchiale per l’indagine celeste, facendo importanti e numerose scoperte; infine Newton, nel 1687, dedusse, dalle leggi di Keplero e da quelle di meccanica formulate da Galileo, il principio della gravitazione universale. Con ciò nel XVII sec. divenne possibile spiegare correttamente il fenomeno delle maree e calcolare con precisione i movimenti della Luna, dei pianeti e delle comete. La prima importante conferma della validità dei princìpi della meccanica celeste, derivati dalla legge di Newton, si ebbe con Halley, che seppe prevedere, con parecchie decine d’anni di anticipo, il ritorno per il 1759 della cometa a cui fu dato il suo nome. Nei secc. XVIII e XIX la meccanica celeste raggiunse un alto grado di perfezione e il suo risultato più bello venne, nel 1846, con la scoperta del pianeta Nettuno proprio nella posizione che era stata prevista dal calcolo. Nei primi decenni del XX sec. le teorie relativistiche di Einstein hanno apportato una lieve correzione numerica alla legge di Newton, ma al tempo stesso hanno radicalmente modificato le concezioni sulla natura intrinseca della gravitazione.
Limitata per secoli e millenni al sistema solare, l’astronomia si estese molto lentamente all’indagine stellare: nel 1715 Halley scoprì i moti propri delle stelle, che gli astronomi avevano sempre considerate fisse sulla sfera celeste; nel 1783, Herschel dimostrò che anche il Sole ha un suo moto proprio e, nel 1803, scoprì le stelle doppie fisiche, soggette alla legge di gravitazione; ancora Herschel seppe, infine, stabilire un primo modello generale per la Via Lattea.
L’astronomia moderna, orientata principalmente verso l’analisi delle stelle e l’astrofisica, ha ricevuto il primo impulso efficace, verso la metà del XIX sec., con le applicazioni della fotografia e della spettroscopia all’indagine celeste; è stata caratterizzata dallo straordinario sviluppo dei mezzi strumentali (i grandi telescopi americani ne costituiscono l’esempio più significativo) e dall’impiego di teorie, metodi e apparecchi propri della fisica. Fra le ricerche più importanti degli ultimi cent’anni sono da ricordare:
-Il rapido progredire della fotografia stellare, e la conseguente possibilità d’intraprendere, sul piano internazionale, la preparazione di un’accurata carta del cielo; quest’ultima, cominciata nel 1887, fornisce le posizioni sulla sfera celeste di 3 milioni di stelle.
-I lavori di spettroscopia dell’osservatorio Harvard che hanno permesso la pubblicazione, fra il 1918 e il 1924, dell’Henry Draper Catalogue con i tipi spettrali di oltre 225.000 stelle.
-Le applicazioni dell’effetto Doppler alla misura delle velocità radiali delle stelle, che hanno permesso a Pickering e a Vogel di scoprire, nel 1889, i sistemi binari spettroscopici, e a Struve di compiere, intorno al 1925, le prime misure sulla rotazione delle stelle. L’effetto Doppler è inoltre essenziale per la teoria dell’espansione dell’universo. 4. Le applicazioni dell’effetto Zeeman, che hanno consentito di porre in evidenza, nel 1908, il campo magnetico delle macchie solari, successivamente quello generale del Sole (Hale, nel 1913) e quello delle stelle (Babcock, nel 1946).
-Gli studi di fisica solare che si avvantaggiano di due strumenti: lo spettroeliografo, messo a punto da Hale e Deslandres nel 1892, e il coronografo, inventato nel 1930 da Lyot. La scoperta della radiazione radioelettrica del Sole (Reber, 1939) ha poi dato origine alla radioastronomia , le cui ricerche, in rapido sviluppo, abbracciano ormai ogni campo della scienza del cielo.
-I progressi della fisica stellare, caratterizzati dalla scoperta delle stelle giganti e nane (Hertzsprung e Russell, intorno al 1910), dalle teorie sulle condizioni di equilibrio e sullo stato della materia all’interno delle stelle (Eddington, nel 1920 circa), dalla scoperta dello stato degenere delle sostanze componenti le nane bianche (Fowler, nel 1926), infine dalla scoperta delle reazioni nucleari che producono l’energia irradiata dalle stelle (Bethe e Weizsècker nel 1938 e successivi perfezionamenti di numerosi astrofisici).
-Gli studi sulla struttura del sistema stellare e sulle sue dimensioni: nel 1905 Kapteyn ha scoperto l’esistenza delle correnti stellari; Shapley nel 1917 ha fornito una prima valutazione del diametro della Galassia, mentre la sua rotazione è stata posta in evidenza nel 1927 da Lindblad e Oort; l’assorbimento interstellare è stato scoperto da Trumpler nel 1930; Hubble infine ha dimostrato l’esistenza di un numero straordinario di galassie. Quest’ultima scoperta è avvenuta in due tempi: dapprima, nel 1924, Hubble ha provato la natura extragalattica delle nebulose spirali; poi, nel 1929, ha posto in evidenza il fenomeno dell’espansione dell’universo, spingendo le proprie ricerche (in collaborazione con Humason) fino a raggiungere già nel 1936 distanze di alcune centinaia di milioni d’anni-luce; dopo il 1948, con l’impiego del telescopio del Monte Palomar, lo studio è stato spinto a galassie distanti oltre un miliardo di anni-luce e la radioastronomia è pervenuta a distanze ancora maggiori.
-L’impiego dell’ottica elettronica, dal 1950, per tracciare direttamente le curve di luce delle stelle variabili e, dal 1956, per ottenere degli spettri eccezionali sia per rapidità sia per separazione fra le singole righe.
-Il russo George Gamov nel 1946 espone le basi del modello del Big Bang, prevedendo, fra laltro, lesistenza della radiazione cosmica di fondo a 3 K.
-Schmitt, Greenstein e Matteus identificano nel 1963 le prime quasar (quasi stellar radio source), la cui natura è ancora oggetto di ricerche.
-Penzias e Wilson scoprono casualmente nel 1965 la radiazione di fondo a 3 K, prevista dal modello del Big Bang.
-Bell e Hewish scoprono nel 1967 le prime pulsar, dalle quali si registrano impulsi periodici di onde radio.
-Negli anni ottanta e novanta il modello del Big Bang viene integrato e completato grazie agli sviluppi delle teorie delle particelle elementari.
– Nasce il modello inflativo per risolvere alcune difficoltà della teoria del Big Bang; si studia l’universo nell’intero spettro elettromagnetico (microonde, infrarosso, ultravioletto, raggi X e gamma); si analizzano le caratteristiche dei superammassi di galassie.
-Alla fine degli anni Novanta si scopre che il moto di espansione dell’universo sta ancora accelerando e che circa il 95% della materia dell’universo è finora sfuggita a ogni osservazione in quanto non emette radiazioni.
L’astronomia nel suo insieme può scindersi in quattro rami principali: la cosmografia (astronomia descrittiva); l’astrometria (posizione e movimento degli astri); l’astrofisica (studio teorico e sperimentale delle sostanze che compongono gli oggetti celesti); la cosmogonia(origine ed evoluzione degli astri).
Strumenti astronomici
Gli strumenti impiegati in astronomia si possono distinguere in due grandi gruppi: i collettori e gli analizzatori della luce. Mentre i secondi possono essere di genere differente, i primi si riducono a due tipi essenziali: i cannocchiali, o strumenti rifrattori, e i telescopi, o strumenti riflettori.
I cannocchiali forniscono immagini più stabili e un campo più esteso, ma l’eliminazione delle aberrazioni cromatica e di sfericità si ottiene in misura soddisfacente soltanto con aperture 1:15 o, meglio, 1:20. Nei casi eccezionali in cui, superando straordinarie difficoltà tecniche di realizzazione, sono state lavorate delle lenti per obiettivo aventi circa un metro di diametro, è stato poi necessario costruire cannocchiali lunghi una ventina di metri e monumentali cupole d’osservatorio per poter ospitare lo strumento. L’impiego dei cannocchiali è quasi esclusivamente limitato all’osservazione del Sole e dei pianeti, astri che hanno un diametro apparente sensibile e un contorno ben delineato. Nei telescopi le aperture possono venir ridotte a 1: 5 o 1: 6, sia per l’assenza di aberrazione cromatica, sia per la perfezione tecnica che si può raggiungere nel taglio e nella lavorazione della superficie ottica degli specchi parabolici. Rispetto ai cannocchiali, la lunghezza di un telescopio risulta perciò molto minore, a parità di diametro: inoltre non ci si deve più preoccupare per l’assorbimento, nel vetro, della radiazione a grande lunghezza d’onda. Le immagini, tuttavia, sono piuttosto instabili e il campo strumentale utile si riduce a una decina di minuti d’arco: questi inconvenienti consigliano di riservare l’impiego di telescopi soltanto all’esplorazione approfondita di singoli particolari della volta celeste. Nei maggiori osservatori si usa affiancare da qualche tempo al telescopio parabolico un telescopio di Schmidt, a specchio sferico e lamina correttrice, che permette di ampliare il campo utile a una dozzina di grandi quadrati e che funziona perciò come pilota per le indagini più approfondite svolte successivamente con lo strumento principale. Alla fine degli anni Novanta sono comparsi alcuni grandi telescopi con specchi multipli la cui forma è corretta in tempo reale da computer: si cono così raggiunte aperture di dieci metri e oltre.
Cannocchiali e telescopi possono essere montati secondo due schemi differenti. In generale gli strumenti relativamente piccoli e riservati alle osservazioni di direzione o di posizione (teodoliti, cerchi meridiani, strumenti dei passaggi) hanno una montatura ad asse verticale e le osservazioni si effettuano nel sistema di coordinate locali (altezza e azimut). I grandi strumenti sono invece tutti a montatura equatoriale e un motore compensa strumentalmente il moto diurno della sfera celeste, trascinando il cannocchiale o il telescopio in un movimento rotatorio identico: l’immagine di una qualunque stella appare pertanto immobile nel campo strumentale e diventa possibile l’effettuazione di misure micrometriche o la ripresa di fotografie anche a lunga posa.
Strumenti di tipo un poco diverso (sestante, astrolabio a prisma, cannocchiale meridiano, ecc.) vengono talvolta impiegati per l’astronomia di posizione, o servono in osservazioni particolari, soprattutto per il Sole (spettroeliografo, coronografo, ecc.). In alcuni casi il cannocchiale rimane fisso in una posizione, mentre un sistema di specchi segue il moto diurno della sfera celeste e rinvia le immagini degli astri verso la direzione fissa del cannocchiale: questo metodo viene spesso utilizzato per le osservazioni solari, effettuate con l’aiuto del celostato o del siderostato.
Gli analizzatori di luce permettono di misurare l’intensità della radiazione ricevuta (fotometri), o di decomporla nelle radiazioni elementari (spettrografi a prisma o a reticolo). Gli spettrofotometri, che consentono di misurare le caratteristiche di ogni singola radiazione, stabiliscono il legame fra i due campi di ricerca precedenti. In taluni casi viene misurata l’intensità globale della radiazione ricevuta, anche oltre i limiti dello spettro visibile (radiometro, bolometro, pireliometro, ecc.); in altri casi si studia la polarizzazione della luce raccolta (polarimetro). Nell’astronomia moderna quasi tutte le misure vengono effettuate su lastre fotografiche ed è evidente che, variando la composizione delle emulsioni e utilizzando filtri monocromatici rigorosamente definiti, la lastra fotografica stessa è diventata un analizzatore di luce, e non soltanto un semplice registratore-accumulatore della radiazione raccolta.
I sensori ottici a stato solido (CCD), infine, hanno quasi del tutto sostituito la fotografia grazie alla loro efficienza (almeno 10 volte superiore) e alla facilità di elaborazione dell’immagine al computer che essi consentono.
I progressi dell’astronomia si sono fatti sentire soprattutto nel settore dell’astrofisica, grazie allo sviluppo delle tecniche che hanno esteso le nostre conoscenze al di fuori del dominio delle lunghezze d’onda visibili. Anche la radioastronomia ha potenziato i suoi strumenti, con notevole incremento delle nostre conoscenze dell’universo. Non si può inoltre dimenticare che l’atterraggio dell’uomo sulla Luna non ha rappresentato soltanto un grande successo dell’astronautica, ma ha aperto una nuova era per quanto riguarda lo studio della composizione, origine ed età del nostro satellite. La Luna, infatti, da corpo celeste osservabile coi nostri telescopi più o meno perfezionati sta assumendo ora il ruolo di base extraterrestre su cui installare strumenti atti a studiare i fenomeni celesti, e in particolare ciò che riguarda il sistema solare al di fuori di quella coltre di gas e nubi che è la nostra atmosfera.
Astronomia dell’infrarosso
Questa branca ebbe inizio circa venti anni dopo la radioastronomia, soprattutto in conseguenza dell’ineguale sviluppo delle diverse tecnologie, ma anche per le difficoltà derivanti dal fatto che l’atmosfera terrestre, a causa principalmente della presenza di vapore acqueo, è in gran parte opaca alla radiazione infrarossa, salvo in corrispondenza di poche finestre. Perciò, grande importanza rivestono i razzi e i satelliti artificiali, che permettono osservazioni esterne alla nostra atmosfera. D’altra parte un vantaggio delle osservazioni nell’infrarosso è rappresentato dalla minore precisione richiesta nella lavorazione delle parti ottiche, dato che le tolleranze nelle imperfezioni sono proporzionali alla lunghezza d’onda cui uno specchio è destinato: ciò si riflette sul minore costo per specchi di grandi dimensioni. I rivelatori usati sono però meno sensibili di quelli impiegati alle lunghezze d’onda visibili.
Si deve a G. Neugebauer e ai suoi collaboratori dell’Istituto di tecnologia della California il primo telescopio, progettato e costruito per osservazioni a 2,2 micron di lunghezza d’onda: consta di uno specchio di 1,55 m di diametro e 162 cm di focale costruito in materiale plastico ricoperto di alluminio, che è stato sistemato sul Monte Wilson. E’ noto che la radiazione emessa dalle stelle è assimilabile a quella del corpo nero e che obbedisce perciò alla legge di Planck. Ciò significa che, mentre la maggior parte dell’energia emessa dal Sole o da una stella di tipo spettrale analogo con temperatura superficiale di circa 5.700 K cade nel dominio visibile dello spettro elettromagnetico (intorno a 0,5 micron), ciò non è più vero per le stelle più fredde che hanno temperature superficiali di 2.000 o 3.000 K e per le quali quindi il massimo di radiazione emessa è nell’infrarosso più o meno lontano. Sono stelle particolarmente interessanti per comprendere il problema dell’evoluzione stellare, come le nane rosse che devono essere numerose, ma sfuggono alle normali osservazioni perchè non emettono luce visibile in quantità apprezzabile, o le stelle ancora in via di formazione (protostelle).
Le osservazioni hanno infatti dimostrato che non vi è coincidenza tra sorgenti brillanti nel dominio ottico e in quello dell’infrarosso: circa il 70% delle stelle che si osservano nei due domini non coincidono tra loro. Si deve inoltre tener presente che una stella può apparire rossa, sia perchè tale è il suo colore intrinseco in quanto ha una bassa temperatura superficiale, sia perchè è arrossata dall’interposizione sulla visuale di polveri assorbenti, e ciò è particolarmente vero per le sorgenti che si trovano in direzione del centro galattico. Si stima che la radiazione proveniente da queste regioni sia attenuata di un fattore 10 quando si osserva nell’infrarosso, mentre la luce visibile verrebbe attenuata di circa 10 miliardi di volte. Gli oggetti più brillanti nell’infrarosso intorno a 2 micron sono relativamente facili da spiegare, in quanto rientrano nella categoria di stelle rosse a cui si è accennato: tra gli oggetti più luminosi a questa lunghezza d’onda si ricordano Betelgeuse, Antares, Arturo, Aldebaran, tutte stelle giganti o supergiganti ben visibili anche a occhio nudo. A 20 micron, le osservazioni da Terra diventano più delicate e difficili, in quanto gli oggetti alla temperatura ambiente (telescopio, cupola, ecc.) irradiano anch’essi a questa lunghezza d’onda. Le conoscenze sono piuttosto frammentarie: è noto però che le sorgenti più brillanti non sono più solo stelle, ma anche oggetti complessi di dimensioni angolari maggiori, che pur essendo ancora entro la nostra Galassia si trovano a maggiore distanza, il che significa che sono intrinsecamente più luminosi. Si ritiene che alcuni degli oggetti più brillanti siano stelle circondate da densi involucri di polveri che assorbono la radiazione visibile, altri sono stati identificati con regioni di H II, cioè zone del cielo formate di protoni (idrogeno ionizzato), elettroni e polveri: sono proprio queste polveri riscaldate a produrre la radiazione infrarossa. Dell’infrarosso più lontano si sa ben poco. Si pensa siano importanti le regioni di H II; particolare interesse riveste a queste lunghezze d’onda, come ad altre, il centro galattico.
Astronomia dell’ultravioletto
Se per le osservazioni da terra nell’infrarosso possono essere sfruttate le poche finestre per cui è trasparente l’atmosfera terrestre, la situazione si fa più difficile per l’ultravioletto. Le lunghezze d’onda inferiori a 3.000 ångstròm sono arrestate dall’ozono della stratosfera, situato tra circa 20 e 30 km di altezza. Le supposizioni e le ipotesi degli astronomi sull’emissione ultravioletta dei corpi celesti si basavano solo su considerazioni teoriche fino all’avvento dell’epoca spaziale.
La banda di lunghezze d’onda abbracciata dall’astronomia dell’ultravioletto va da 3.000 a 300 ångstrom. Tra 300 e 0,1 ångstrom si ha l’astronomia ai raggi X e al di sotto di 0,1 ångstrom si parla di astronomia ai raggi g.
I telescopi posti fuori dell’atmosfera non solo permettono di osservare lunghezze d’onda invisibili da Terra, ma anche, grazie all’assenza di atmosfera, formata da masse di aria in moto turbolento e continuo, offrono migliori qualità delle immagini. Un telescopio come quello di Monte Palomar, che risolve sulla Terra particolari del diametro di un chilometro, sulla superficie lunare e posto fuori dell’atmosfera potrebbe farci vedere particolari di 30 m di diametro. Inoltre, ancora a causa dell’atmosfera, il cielo non è mai completamente nero e ciò impedisce di prolungare indefinitamente il tempo di posa sulle lastre, che oltre un certo limite di esposizione si velerebbero. Perciò, fuori dell’atmosfera, è possibile osservare oggetti celesti più deboli che dal suolo.
Le osservazioni principali che si sono ottenute o si pensa di ottenere dall’astronomia dell’ultravioletto sono:
a) studio della distribuzione spettrale dell’energia nelle stelle calde. Analogamente a quanto si è detto per le stelle fredde, nell’infrarosso il massimo di energia emessa dalle stelle dei primi tipi spettrali non cade nella zona visibile dello spettro, ma nell’ultravioletto, quindi lo studio della distribuzione spettrale in questa regione permette di determinare con maggiore precisione la temperatura delle stelle in questione;
b) nelle stelle molto calde gli atomi presenti non sono più allo stato neutro, ma sono ionizzati anche molte volte e le righe degli atomi più volte ionizzati cadono nella regione dell’ultravioletto. Non sono perciò osservabili da Terra, per cui le stime di abbondanza degli elementi diversi dall’idrogeno e dall’elio erano molto incerte fino all’avvento dell’astronomia dell’ultravioletto;
c) si sa che il Sole possiede una corona, la parte più esterna della sua atmosfera, e si può supporre che lo stesso avvenga anche per le altre stelle. Dato che la presenza della corona è rivelabile dalle righe in emissione di atomi altamente ionizzati nell’ultravioletto, lo studio di questa regione spettrale offre la possibilità di verificare questa ipotesi: gli studi in questo senso sono agli inizi. Le prime osservazioni ultraviolette sono state fatte a mezzo di razzi che con voli della durata di pochi minuti permettevano di osservare un numero limitato di stelle brillanti.
Astronomia ai raggi X
E una branca relativamente giovane dell’astrofisica, il cui inizio risale al 1962, quando fu scoperta, mediante un razzo, la prima sorgente di raggi X, battezzata Sco X-1 (sorgente di raggi X numero 1 nella costellazione dello Scorpione). Solo quattro anni più tardi fu identificata la corrispondente sorgente ottica con una stellina di colore blu, di tredicesima magnitudine. Il numero di sorgenti X è rapidamente aumentato e ora supera di molto il centinaio; oltre a queste sorgenti discrete è stata rivelata la presenza di radiazione X diffusa a bassa energia che riempie la nostra Galassia.
Tra le sorgenti discrete si annoverano pulsar (Cen X-3), quasar (3C 273), galassie (Piccola e Grande Nube di Magellano, Andromeda, galassie di Seyfert), buchi neri (Cyg X-1), ammassi (NGC 1275 nel Perseo e M 87 nella Vergine), Tau X-1 nella nebulosa del Granchio. Differente è il meccanismo proposto per spiegare queste diverse sorgenti: nel caso di Tau X-1, almeno parte della radiazione X proviene dalla pulsar, nucleo dei resti della supernova che sono la nebulosa del Granchio. Gli elettroni altamente energetici muovendosi nel debole campo magnetico ivi esistente formano una specie di gigantesco acceleratore del tipo sincrotrone. Inoltre, poichè l’energia di questi elettroni diminuisce a mano a mano che essi irraggiano, è necessario ammettere l’esistenza di una sorgente capace di produrre continuamente elettroni ad alta energia; tale sorgente non potrebbe che essere la pulsar, stella di neutroni in rapida rotazione e capace, perciò, di fornire l’enorme fabbisogno di energia. Diversa è invece la spiegazione proposta per Sco X-1: qui ci si trova in presenza di un sottile strato di plasma caldo, gas altamente ionizzato e relativamente poco denso, formato per lo più di idrogeno. I protoni e gli elettroni, che compongono questo gas, essendo in rapido movimento, danno origine a frequenti collisioni. Le cariche elettriche accelerate danno luogo, a loro volta, a una radiazione elettromagnetica, nota con il nome di Bremsstrahlung, di tipo termico.
Per molti oggetti si è osservato un taglio netto per un certo valore dell’energia: esempio classico è Cyg X-3. Ciò si può spiegare in due modi diversi: o, nel caso del modello del plasma caldo tipo Sco X-1, con un meccanismo di assorbimento, o con un modello di plasma denso, il cui comportamento sarebbe simile a quello del corpo nero. Entrambi i modelli riferiti si adattano perfettamente a Cyg X-3. Difficile è lo studio del fondo continuo di raggi X che sembra isotropo almeno tra 1.000 e 10.000 elettronvolt, il che fa supporre un’origine extragalattica, per la quale sono state proposte due ipotesi: o sovrapposizione di molte sorgenti discrete o risultato di qualche fenomeno intergalattico. Alcune sorgenti di raggi X vengono attualmente interpretate come indicatori molto convincenti dell’esistenza di buchi neri; alcuni di questi avrebbero masse di milioni di Soli e sembrano costituire i nuclei delle galassie attive.
Astronomia ai raggi gamma
I progressi di questa branca dell’astronomia sono stati molto inferiori alle previsioni fatte intorno al 1960 che, basandosi su ipotesi ottimistiche, avevano indotto molti ricercatori a intraprendere vari esperimenti in questo campo. Alle notevoli difficoltà tecniche va aggiunto che il flusso delle sorgenti di raggi g non solo è debole, ma giunge a noi mescolato alla radiazione assai più intensa delle particelle cariche dei raggi cosmici. Negli ultimi decenni sono stati costruiti rivelatori mille volte più sensibili e si sono così potute scoprire le prime sorgenti discrete di raggi g: la nebulosa del Granchio, il centro galattico, la regione del piano galattico in direzione dell’anticentro, e la regione, sempre sul piano galattico, nelle costellazioni Cigno-Cassiopea. Inoltre satelliti per raggi X e g come GRO e Beppo-SAX hanno osservato potenti lampi di raggi g provenienti dalla periferia dell’universo: vengono interpretati come collisioni tra corpi collassati tipo stelle di neutroni e buchi neri.
Astronomia neutrinica
Recentissima branca dell’astronomia collegata con neutrini e con i processi nucleari di alta energia che hanno luogo nelle stelle. Sono già stati osservati i neutrini di origine solare e quelli emessi nei collassi stellari (come quello della superniva 1987A, nella Grande Nube di Magellano.