Il latino fu considerato per molti anni disciplina discriminante, che pertanto venne eliminato dalla scuola media dopo l’introduzione della nuova scuola media unica (1960). La riforma Gentile derivava da una considerazione degli studi classici come formativi, ma le discipline come il latino e il greco risultavano elitarie. Anche ora siamo convinti del valore formativo di questi studi:
-mettendoci in contatto con le radici della nostra cultura occidentale, ci aiutano a conoscere noi stessi a partire dal percorso che ha dato origine alla nostra civiltà;
-oltre a dare conoscenze specifiche, favoriscono anche lo sviluppo di particolari processi mentali;
-contribuiscono alla formazione della mente a tutti gli effetti.
A partire dal 1911 l’organizzazione della scuola classica è incentrata sul dibattito sul latino e sulla cultura latina: è l’anno del cinquantenario dell’unità d’Italia, di lì a poco sarebbe iniziata la conquista libica, e si diffuse così il mito di Roma, e si rilanciò lo studio del latino. La riforma Gentile è dell’anno 1923, e dalla sua idea nasceva la scuola elitaria classica, dalla quale doveva uscire la futura classe dirigente. Tra il 1937 e il 1939 fu redatta la Carta della scuola Bottai,dal nome del ministro dell’istruzione del tempo; in essa un ruolo di primo piano ebbe la cultura latina, improntata sulla mitologia di Roma, in accordo con la politica culturale fascista. In questo periodo,mentre la cultura europea andava in cerca del nuovo, l’Italia ricercava un passato fatto più di esteriorità che di autenticità, in parte mistificando la realtà latina; questo fu il motivo dell’isolamento culturale che caratterizzò gli anni tra il 1922 e il 1940, che andava di pari passo con l’autarchia economica (prendi queste osservazioni con il beneficio del dubbio). Non c’era spazio per le culture straniere, la cultura ufficiale italiana ancorata al passato era portata avanti da pochi intellettuali (Calvino, Pavese). Nel campo della scuola si crearono alcuni idola: che la lingua latina era la lingua logica per eccellenza: in realtà contribuisce a questo tipo di formazione, ma affiancata ad altre discipline;
che le lingue classiche siano la base per l’apprendimento di quelle moderne: lo sono in alcuni casi, ma non strumento essenziale e ineliminabile;
che le lingue classiche sono un mezzo privilegiato per la formazione umana: anche in questo caso non sono strumento fondamentale, seppur utile;
La concezione umanistico-retorica che additava il mondo classico come ideale: questo pensiero si è sviluppato nei secoli soprattutto nel neoclassicismo; il tormento esistenziale dei Greci fu evidenziato da Nietzche, che affermò che il mondo classico non è il mondo della perfezione.
Questi pregiudizi sono ora quasi del tutto superati, ma il loro superamento comporta la preoccupazione di una frattura tra moderno e antico (vedi schiavismo e condizione femminile) e sorgevano dubbi sull’utilità dello studio del latino. Questo dibattito ebbe come conseguenza anche ideologica l’abolizione dello studio del latino nella scuola secondaria di primo grado. Se questo studio non giova in maniera privilegiata per la formazione, si perde la fiducia anche nel dialogo con l’antico. Ranuccio Bianchi Bantinelli diede una definizione di cultura nell’introduzione alla sua archeologia: “Comprensione dell’oggi fondata sulla comprensione critica del passato”. Questa definizione implica il riconoscimento della diversità del passato dal presente, ed esorta al dialogo con questo tempo diverso. Se la comprensione del passato giova a quella dell’oggi, è chiaro che esiste un rapporto tra antico e moderno ed ha senso instaurare un confronto: ci si chiede quali siano i punti di continuità e diversità. Concetto Marchesi si esprime sulla continuità tra il nostro mondo e quello antico: afferma che se si perdesse la conoscenza della civiltà antica, sentiremmo spezzato il filo ideale che ci ricongiunge ad essa; la storia stessa ci ricongiunge al mondo greco e latino. 25 anni prima Giorgio Pasquali scrisse: “Noi studiamo ancora il latino e il greco come documenti delle civiltà dalle quali la nostra civiltà deriva, e che pure sono, in un certo senso, incommensurabili con essa. Noi vogliamo insegnare ai giovani a comprendere e a sentire che i valori che essi considerano più assoluti sono divenuti storicamente. Educare i giovani attraverso la storia alla libertà è giustificazione sufficiente del sistema scolastico che chiamiamo umanistico, e che io vorrei potesse un giorno meritare il nome di umanistico-storico”. Senghor, umanista e poeta e presidente del Senegal scrisse: “Io so che per i popoli negro-africani non esiste scuola migliore (di quella classica), perché se l’educazione è sviluppo delle qualità native, essa è anche correzione dei difetti ereditari e acquisizione delle virtù contrarie”. Eliott nel 1946 scrisse: “Abbiamo bisogno di un occhio che possa vedere il passato al suo posto, con le sue definite differenze dal presente e tuttavia in modo così vivo che esso sia tanto presente a noi come il presente”.
Cosa si conclude da questo discorso?
L’antichità classica non è un mondo unitario, anzi la stessa grecità non può essere considerata compatta per il lungo periodo che abbraccia e le differenze tra un periodo e l’altro. Attenzione ai fattori esterni che influiscono sulla produzione letteraria: fattori politici (eventuali commissioni), destinazione e gusti del pubblico. Le categorie usate per analizzare l’antico, i valori dell’antico(es le virtutes romanae della res publica) cambiano di significato con il tempo e non si possono considerare sempre allo stesso modo. Va inoltre superato l’eurocentrismo imperante fino a metà del secolo scorso. Il confronto con il passato esclude qualsiasi prospettiva evoluzionistica e di progresso (quanto alla cultura).
Centrale per lo studio di ogni disciplina è il testo, di qualunque genere, in questo caso il testo scritto. Riguardo all’approccio globale Della Corte ha pubblicato un articolo nel 1978 sulla rivista di filologia classica Atene-Roma: sostiene che devono essere presi in considerazione tutti i documenti integrati tra loro (iscrizioni, documenti archeologici, manuali grammaticali ecc. accanto ai testi letterari). Faceva riferimento all’unità del sapere, sulla necessità di possedere nozioni su varie discipline che poi si specializzano a seconda degli interessi: il metodo scientifico è unico. Inoltre dichiara che devono essere impiegate metodologie che esulano da quelle puramente artistiche e letterarie per l’approccio al prodotto artistico: approccio sociologico, antropologico, psicologico e psicanalitico, simbolico ecc. Maria Corti scrisse negli anni Settanta un libro dal titolo “Metodi di critica in Italia” in cui proponeva diversi approcci a testi letterari. Questi metodi devono essere ricondotti ad una visione storica totalizzante, che permetta di riconoscere attraverso la considerazione della distanza ciò che è perenne; questo nonostante alcuni metodi come quello antropologico siano per definizione astorici. Bilinski scrisse alcuni opuscoli sulla letteratura tragica latina proponendo una lettura politica di Ennio, Pacuvio e Accio: secondo lui i tragici erano portavoce di gruppi politici ai quali erano legati da rapporti di clientela, alcuni agli aristocratici(Ennio al circolo degliScipioni), altri al filone democratico (Nevio attacca i Vitelli consoli); elementi di politicità sono presenti nei testi tragici e comici e quindi la lettura dello studioso ha qualcosa di accettabile, ma gli autori non erano propriamente portavoce politici, le tragedie non erano manifesti politici: in questo caso la critica sociologica è portata all’eccesso. Necessarie per questo tipo di approccio polimetodologico sono misura e competenza.
La presenza classica
Questo termine è preferibile ad altri affini (persistenza, sopravvivenza, eredità ecc.) e sottolinea l’ineliminabilità dell’antico come elemento culturale che continua ad essere ed a vivere. Tuttavia questa presenza e questa vita muta nel tempo. Lo studioso Marino Barchiesi tenne un convegno nel 1970 a Perugia dal titolo “Il latino nelle facoltà umanistiche” mai pubblicato per intero; in esso egli proponeva un approccio ai testi classici basato sul “significato fondamentalmente permanente dell’opera d’arte” e “sul suo orizzonte illimitato mutevole, secondo le vicende della tradizione”. Dunque filologo classico e docente di scuola classica deve “ampliare il più possibile il suo orizzonte critico sino ad includere, ovunque le sue capacità glielo consentano, la totalità della tradizione”, bisognerebbe conoscere ed insegnare tutte le letture ed interpretazioni che i testi classici hanno avuto nel corso dei secoli. Inoltre Barchiesi dice “gli archetipi latini appaiono addirittura viventi nel tempo in quanto partecipi dell’evoluzione storica dei loro fruitori”; la vita di un’opera d’arte sta nella sua fruizione, ed è per questo che la tradizione è mutevole. Il tema della presenza va cercato tra autori latini e greci (presenza greca nella cultura latina ecc.) e dei classici in tutta la letteratura europea. Nel primo caso l’assunto è dato come ovvio e dovrebbe essere pratica costante nell’insegnamento della cultura classica (impossibile studiare la classicità latina senza conoscere quella greca). Quanto alle categorie mentali nate in epoca greca (verità, libertà, umanità ecc.) hanno mutato radicalmente di significato: il concetto di verità cambia con il cristianesimo, quello di libertà ha avuto grande storia, ed ancor più quello di democrazia. Sono rimasti i termini, gli archetipi di cui parla Barchiesi, ma sono cambiati di significato con il cambiare dei fruitori. La prova dell’importanza di occuparsi della tradizione e delle letture e interpretazioni degli autori classici è il fatto che la maggior parte degli stereotipi ad essi legati (autenticità del mondo greco, scarsa originalità del mondo romano e tutto ciò che concerne i singoli autori) derivano da letture successive radicali o accettate da molti studiosi; da leggere con le dovute riserve, tenendo sempre presente il tempo in cui queste letture sono nate ed hanno avuto fortuna. Vi sono alcuni temi che hanno avuto sviluppi nella cultura antica e nel passaggio a quella moderna: esempi sono la peste (Tucidide, Lucrezio, Boccaccio, Manzoni, vedi percorso classici nel presente), il progresso e l’età dell’oro (Esiodo, Arato, Virgilio IV ecloga e Georg. Libro I vv 121 sgg, libro II v 458 sgg.). Su Virgilio nelle ecloghe egli riprende ilmito che si fa storia (contrapposizione tra esuli e coloro che restano, Melibeo e Titiro), nelle Georgiche il lavoro diventa il fulcro della visione della vita: nel primo passo Virgilio spiega com’è nato il lavoro, improbus ma mezzo per il riscatto dell’uomo: l’età dell’oro diventa l’età del lavoro (diversamente dall’ecloga IV in cui esso è rifiutato). Nella conclusione del II libro invece Virgilio torna alla celebrazione della vita dei campi e sembra tornare ad una visione epicurea della vita: la visione dell’età dell’oro come età del lavoro e la figura di Enea come eroe lo avevano avvicinato allo stoicismo. La presenza della commedia greca in quella latina è prevalentemente presenza della commedia nuova (Menandro) sia in Plauto sia in Terenzio: vengono ripresi i valori di filantropia (solidarietà nel dolore) ed humanitas (concetto più vasto, ma derivato dal primo). Gran parte della cultura letteraria latina fino ad Orazio è diretta conseguenza di quella alessandrina (presenza di termini callimachei in Virgilio e di riferimenti a Teocrito nello stesso; è con Teocrito che nasce la poesia bucolica); il labor limae deriva dagli alessandrini (vedi Catullo carmen 95); nel proemio virgiliano dell’Eneide sono fusi i due dell’Iliade e dell’Odissea. La stessa cultura cristiana si inserisce nel solco di cultura classica e giudaica, le utilizza entrambe per la sua formazione; da principio ci fu al cristianesimo una reazione pagana (titolo di un libro di Boisier) ed una difesa cristiana; gli apologeti si dividono in concilianti (il nuovo verbo può conciliarsi con la cultura pagana) e coloro che sostengono che la cultura classica vada cancellata anche nello stile a beneficio di quella cristiana e di uno stile più asciutto e sobrio. Con Agostino quella classicismo-cristianesimo non è più percepita come antitesi, e con Dante si arriva a sostenere che la romanità sia stata una preparazione voluta da Dio per il nuovo messaggio cristiano. Il latino medievale nasce dalla fusione di latino classico e cristiano, con una completa compenetrazione delle culture. Il Medioevo continua l’interpretazione del paganesimo in chiave cristiana, è superata la concezione dell’antitesi. Con l’umanesimo si parla invece di frattura: si ritrovano i testi perduti, si avverte la distanza dall’antico che viene studiato lasciandolo nel suo contesto. Dante ha un rapporto continuo e fecondo con l’antico: il mito di Roma è molto presente, con la preparazione alla cultura cristiana, ed il suo ideale dell’impero romano come la monarchia universale. I suoi auctores (ispiratori, autorità letterarie) sono gli stessi dell’intero Medioevo: Virgilio, Orazio, Stazio, Ovidio, Lucano, Livio, S. Tommaso, dunque autori sia pagani sia cristiani. (Vedi studi di Alessandro Ronconi, Dante Purg 21-22, incontro tra Virgilio e Stazio): In Dante è presente l’equivoco della nascita del poeta a Tolosa, si confonde Papirio Stazio, nato in Italia meridionale, con un grammatico spagnolo. In Virgilio sono presenti segnali di crisi della mentalità pagana (gli elementi che furono interpretati come fosse un cristiano ante litteram). (Vedi Leopardi, Zibaldone, in accordo con il giudizio di Croce). Sulla comprensione delle opere antiche conoscendo quelle moderne e viceversa,Dario del Corno scrisse nel 1981 un articolo intitolato “La discendenza dell’Orestea”, nell’ambito del convegno “Eschilo e l’Orestea” organizzato dall’Inda di Siracusa. Tra i vari autori che ripropongono ed attualizzano il mito degli Atridi vi è il siciliano Isgrò che scrisse e mise in scena un’Orestea in Siciliano. Anche il mito di Anfitrione ha subito 32 rifacimenti. Anche per apprezzare le arti figurative moderne è necessaria la conoscenza della Bibbia e dei miti classici, spesso oggetto delle arti stesse.