L’opera abbraccia le vicende di un secolo di storia, dalla tragica ritirata delle truppe napoleoniche sconfitte in Russia nel 1812 fino alla battaglia vittoriosa dell’esercito italiano sulle rive del Piave (1918): come teatro principale degli avvenimenti ha la pianura padana, da Casale al mare: protagonisti sono gli Scacerni, una famiglia di mugnai nella successione di quattro generazioni. Il titolo del romanzo e certi particolari del racconto, come il fiume in piena, ricordano Ilmulino sulla Floss di George Eliot. Nel prologo l’autore dice di affrontare il racconto con sentimento poetico e storico: “Mulini del Po: si contano forse sulle dita ed ogni anno scemano e per scoprirli bisogna andare apposta a cercarli… tanto pochi, nella vastità molle e potente del fiume serpeggiante”. E ancora: “Un secolo passato con il fiume e come il fiume… dal tempo in cui gli Italiani di Napoleone in Russia subivano al passaggio del fiume Vop un disastro particolare simile a quello imminente e generale della Beresina fino al passaggio vittorioso del Piave nella battaglia di Vittorio Veneto”. Inizia poi il racconto, che si incentra dapprima sulla figura di Lazzaro Scacerni, il quale edifica la sua fortuna con ricchezze di provenienza sacrilega e la conseguente costruzione di un mulino. Dopo le prime difficoltà, il lavoro si avvia bene e la fortuna economica aumenta. Passano gli anni: Lazzaro, che ha con sè tre aiutanti (il Beffa, Malvasone e Schiavetto), si compera un pezzo di terra, si costruisce una casetta e si sposa con Dosolina Malvegoli; ma del mulino ora incominciano a servirsi anche i contrabbandieri con la complicità di Lazzaro. In una notte di tempesta quando il fiume sembra voler rompere gli argini e travolgere ogni cosa, Lazzaro corre a difendere il suo mulino. Ma nella lotta tremenda che deve sostenere con le forze della natura rimane ferito; la “roba” però è salva. Nasce intanto dal matrimonio con Dosolina un figlio, Giuseppe, mentre Lazzaro deve combattere contro le prepotenze di alcuni contrabbandieri, e Argia, sorella di Dosolina, si prostituisce agli Austriaci per salvare se stessa e il padre, compromessi in conseguenza dei moti del ’31. Giuseppe intanto cresce completamente diverso dal padre, non vuole fare il mugnaio, non ha scrupoli morali, è abilissimo negli intrighi e negli inganni, in ciò aiutato dalla madre e dalla zia. Verso la fine del ’39, in seguito a una nuova piena del Po, Lazzaro, ormai solo e quasi abbandonato da tutti, accoglie nella sua casa Cecilia Rei, il cui padre è scomparso annegato mentre tentava di salvare il mulino; la tratta come una figlia consolandosi del suo affetto. Termina così il primo volume con una sentenza di Lazzaro: “Il mondo è una matassa; o che vogliamo dipanarla o che vogliamo arruffarla, il capo sta sempre in mano di chi ci ha fatto e sa lui come e perchè”. Nel secondo volume prende rilievo e importanza la figura di Giuseppe, soprannominato il “Coniglio mannaro”, sempre spinto dall’esasperata, angosciosa lotta per far soldi; il denaro, affidato alla zia Argia, col ritorno dello Stato pontificio nelle sue terre ha perso ogni valore e questo fa esasperare sempre di più Coniglio mannaro, che attraverso imbrogli e ricatti riesce a sposare la buona Cecilia, con sommo dispiacere di Dosolina e Lazzaro. Dal matrimonio, pur non felice, nascono sette figli, quattro maschi (Lazzarino, Giovanni, Princivalle, Antonio) e tre femmine (Maria, Dosolina, Berta), mentre muoiono a causa di un’epidemia di colera Lazzaro e Dosolina proprio nel giorno in cui nasce Lazzarino, il primogenito di Coniglio mannaro. Questi, poi, ancora con imbrogli riesce a impadronirsi della terra di Pietro Vergoli, un noto contrabbandiere. Passano gli anni, cessa il governo papale e comincia a diffondersi la propaganda garibaldina: Lazzarino, entusiasta della causa garibaldina, fugge una notte per seguire i garibaldini, ma viene eliminato presso Mentana: “C’è sempre un colpo in ritardo, una palla persa”. Coniglio mannaro rimane quasi inebetito dal dolore, poi riprende con maggior lena il lavoro; ma ecco che il fiume rompe di nuovo gli argini e lui si dà da fare per salvare ogni cosa: sta per annegare ma viene salvato da Cecilia: Giuseppe è salvo, ma tutto il resto è perduto; ecco la miseria, le malattie, i torbidi, la fame: “La miseria viene in barca”: Coniglio mannaro impazzisce. Nel terzo volume viene svolta la storia di Cecilia e dei suoi figli: si sviluppa in forma più profonda l’astio di Cecilia verso il marito, che però scompare dopo poco tempo liberandola da un triste incomodo. Il fisco diventa più esigente e Cecilia più incline a frodarlo. Per salvare uno dei mulini, Princivalle, su consiglio della madre, incendia il San Michele, ma viene subito dopo arrestato, perchè sospettato di incendio doloso. Quando esce di prigione, trova una situazione cambiata: miseria dovunque in una zona dominata da Clapasson; già si avvertono i primi sintomi di ribellione: i Verginesi, contadini che lavorano nei terreni di Clapasson, si uniscono in una lega, ma vengono licenziati. La lega allora dichiara lo sciopero, ma gli Scacerni non vi aderiscono e continuano a macinare il grano per Clapasson. Viene licenziata pure Berta in servizio presso i Verginesi; perfino Dosolina viene allontanata dai fornai dove presta la sua opera. La lotta si esaspera anche per l’intervento dei soldati; inoltre, in seguito a false dicerie, Princivalle esasperato elimina Orbino, nipote dei Verginesi e fidanzato di Berta; quindi si costituisce. Siamo all’epilogo del romanzo: scompare Cecilia, Princivalle viene condannato, e Dosolina ha un magnifico figlio, cui dà il nome di Lazzaro. Lazzaro sarà poi chiamato nella guerra 1915-1918 e morirà il 28 ottobre 1918 per un colpo di granata presso il ponte. Romanzo assai ampio, dove “il gusto commentatorio e moralistico si intreccia in una struttura potente e solenne” (G. Marzot) , pieno di avventure, disgrazie e momenti di serenità descritti con cordiale amicizia e con intuizione romantica; manca la morale manzoniana, nè s’avverte la pietas verghiana: qui Bacchelli racconta per la gioia di esistere, per il gusto di scoprire la vita nel “piccolo” di una famiglia e nel “grande” dell’umanità. Forse uno dei personaggi migliori è quello del capolega nel terzo volume, quando l’autore accenna ai primi scioperi socialisti della valle padana, esperienze vissute di persona e verso le quali manifesta aperto disgusto. Non c’è nemmeno il problema religioso, ma quando Bacchelli vi si imbatte, ostenta un ossequio esagerato “da sembrare untuoso” (G. Raya). Tuttavia la poesia esiste, e la si nota nella tematica generale dell’uomo, nello sforzo gigantesco per la sopravvivenza, nella contrapposizione dell’indole fluviale a quella contadina, nella operosità del popolo, nell’amore coniugale di Lazzaro e Dosolina o di Giuseppe e Cecilia. Lo stile però è debole, la sintassi in genere poco chiara.