Ci sono libri che esulano dall’anno in cui vengono pubblicati e che per i connotati politici, sociali e culturali che li hanno ispirati restano, senza decadenze, nel tempo.
È il caso di Blues People, manifesto letterario-musicale pubblicato negli Stati Uniti nel 1963, scritto da LeRoi Jones, alias Amiri Baraka, mente tra le più vivaci e provocatorie di quel periodo.
Poeta, scrittore, letterato, insegnante, antropologo, ma anche coraggioso attivista politico, LeRoi Jones nasce a Newark il 7 ottobre 1934. Si fa presto conoscere per un libro di poesie, Preface to a Twenty-Volume Suicide Note e per due lavori drammatici, The Baptism e The Toilet. Dopo aver vissuto alcuni impetuosi anni al fianco di Allen Ginsberg e degli intellettuali della beat area, e aver fondato il Teatro dei Neri ad Harlem nel 1968, cambiato il suo nome in Amiri Baraka, torna a Newark per promuovere la Black Community Development and Defense Organization, organismo di difesa dei diritti degli afroamericani e dello sviluppo della cultura musulmana.
Il popolo del blues fu il primo, approfondito saggio sul blues realizzato da un nero.
Il popolo del blues – Sociologia degli afroamericani attraverso il jazz.
“Il blues è una forma profana afroamericana, rurale urbana. Ritengo che il peso di questa musica, per lo schiavo e per l’individuo del tutto privo di diritti, differisca radicalmente dal peso che assume nella psiche della maggior parte dei neri americani contemporanei. Quindi, l’estetica del blues non ha solo valore storico ma anche sociale. E deve riguardare il come e il cosa sia l’esistenza nera e il modo in cui si riflette su se stessa”.
Le parole di Amiri Baraka sottolineano lo spirito di ricerca e di rivoluzione delle teorie estreme portate avanti dallo scrittore in tutta la sua vita di intellettuale e di militante. Ovvero, il blues non affonda le sue radici solo nei lamenti degli antenati africani incatenati ma, come l’evoluzione della razza, si evolve a seconda di quello che lo circonda. “Mutando i suoi connotati in ogni determinato tempo e realtà collettiva”.
Entrato a pieno titolo nella storia sociale americana, il blues, sporco di quell’istinto emotivo degli inizi, si è poi trasformato in nuove formule, dal jazz al bebop al free. Espressione non solo artistica dei mutamenti della realtà sociale, si è evoluto variamente. Dovendo da un lato sfuggire ai tranelli di quella classe nera imborghesita che, ritagliatasi qualche potere, voleva ripulire il suo status; dall’altra, prendendo le distanze dai bianchi e dalla loro onnivora cultura pigliatutto che, volendosi impadronire del ritmo e dei migliori talenti musicali del tempo, avrebbe potuto spazzar via le identità dei nuovi neri d’America e le loro radici. Ma il soul dell’anima ha resistito. Anche perché, come dice Baraka nel suo libro, il blues è, prima di tutto, un sentimento, una conoscenza sensoriale, un’entità, un’emozione, non una teoria.