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La grammatica è una branca della linguistica che si occupa della struttura e della forma delle parole così come della loro combinazione per formare frasi. Finalità della grammatica è lo studio del funzionamento del linguaggio.
TIPI DI GRAMMATICA
Normalmente il primo contatto con la grammatica avviene a scuola, nello studio della lingua madre o di una lingua straniera. Questo tipo di grammatica è detta normativa, perché definisce il ruolo delle varie parti del discorso, e indica appunto le norme da applicare per usare correttamente la lingua studiata. L’uso corretto di una lingua, ossia il rispetto delle regole della grammatica normativa, è utile a chi parla per essere meglio valutato nella società in cui vive, o per essere capito se parla lingue diverse dalla propria.
Gli approcci propriamente linguistici alla grammatica sono di tipo diverso. Alcuni studiosi si interessano particolarmente di come cambiano nelle lingue le parole e le frasi nel corso del tempo, ad esempio nel passaggio dal latino all’italiano o dall’anglosassone all’inglese: si parla in questo caso di grammatica storica. La grammatica comparata ricerca invece le corrispondenze dei suoni (vedi Fonetica), delle forme e dei significati in lingue diverse, per determinare le relazioni fra queste, e per ricercare leggi e procedimenti universali nel linguaggio.
Il funzionamento di una lingua viene indagato dalla grammatica descrittiva, che appunto si occupa di ricercare e descrivere nel modo più accurato possibile le relazioni fra i ‘mattoni di costruzione’ della lingua, cioè i morfemi, che costituiscono le parole, e le loro combinazioni, che formano le frasi. Fa parte di questo settore anche la descrizione di lingue o dialetti mai studiati in precedenza, o che non possiedono una forma scritta e dunque vanno registrati direttamente dalla bocca di chi li parla. In generale i tipi di grammatica qui ricordati si occupano della parte ‘relazionale’ del linguaggio, cioè di come questo si costruisce, di come si formano le parole e le frasi, e di come i messaggi e le idee si trasmettono fra le persone.
STORIA DEGLI STUDI GRAMMATICALI
Nel 1786 William Jones, giurista e orientalista britannico, tenendo una relazione presso la Società Asiatica del Bengala, lodò la perfezione strutturale della lingua sanscrita e ne sottolineò le inconfutabili somiglianze con il greco e il latino “sia nelle radici verbali che nelle forme della grammatica”. I punti di contatto e di identità erano a suo avviso tali che nessun filologo avrebbe potuto negare l’esistenza di una qualche fonte comune a tutte tre le antiche lingue. Era la prima formulazione dell’ipotesi dell’archetipo linguistico che in seguito venne denominato indoeuropeo.
Lo studio della grammatica in Occidente cominciò con gli antichi greci, che partendo da indagini filosofiche sul linguaggio individuarono le parti del discorso ancora oggi usate e diedero descrizioni della morfologia dei verbi e dei nomi. I romani adattarono poi questa tradizione grammaticale alla propria lingua, traducendo i termini greci nelle categorie che sono ancora oggi familiari (verbo, nome, accusativo, imperfetto ecc.). Sembra che i primi studi grammaticali siano stati intrapresi da civiltà in possesso di lunga tradizione letteraria, quando non riuscirono più a comprendere esattamente le opere composte nella fase arcaica della propria lingua.
La prima grammatica scientifica è quella del sanscrito, composta dal grammatico indiano Pànini intorno al V secolo a.C. Si tratta di un’analisi molto sofisticata, che presenta numerosi punti di contatto con le più recenti teorie linguistiche moderne. Anche gli arabi elaborarono una propria tradizione grammaticale, nel corso del Medioevo; inoltre nel X secolo apparvero un lessico ebraico e uno studio grammaticale della Bibbia.
Per tutto il Medioevo la base di questa disciplina fu l’Arte della grammatica del greco Dionisio Trace, conosciuta nella sua versione latina: tuttavia non ci si servì dei suoi insegnamenti per stilare grammatiche delle nuove lingue romanze, germaniche o slave che stavano emergendo. Solo il latino, il greco e l’ebraico sembravano degne di riflessione linguistica. Per tutto questo periodo comunque, e successivamente nel Rinascimento e nell’età moderna, si moltiplicarono i tentativi di adattare tutte le lingue alla struttura del greco e del latino. Si cercò parimenti di stabilire quale fosse la lingua più antica e sulla base della Bibbia il primato fu assegnato all’ebraico.
Fu solo con lo sviluppo della riflessione logica dell’Illuminismo (favorita dall’apparizione della Grammatica universale di Port Royal), e poi con la fissazione della glottologia scientifica alla fine del Settecento e nella prima metà del XIX secolo, che le discipline della morfologia e della sintassi acquisirono l’armamentario tecnico e teorico che ancora oggi le contraddistingue. A partire da questo periodo comparvero le prime grammatiche descrittive e comparative delle lingue più diverse, a cominciare da quelle indoeuropee. In un primo tempo la descrizione venne tuttavia condotta secondo il modello delle lingue classiche, usando la distinzione in categorie e parti del discorso che era più congeniale a queste, ma che non necessariamente si adattava alla lingua descritta. (Ad esempio, per il georgiano non esiste un ‘soggetto’ individuabile come per le lingue europee: le antiche descrizioni tuttavia, ancorate a questa nozione, finivano per complicare molto lo schema descrittivo pur di mantenere questa categoria.)
Fu con la linguistica antropologica americana, e in particolare con i lavori di Franz Boas all’inizio del XX secolo, che si iniziò a descrivere le lingue secondo le categorie loro proprie: ciò comporta un maggiore lavoro iniziale, perché bisogna prima capire che cosa è rilevante in una data lingua e che cosa non lo è, ma offre i vantaggi di una maggiore accuratezza e linearità descrittiva.
Intorno agli anni Venti si sviluppò in Europa, a Praga, e poi in America lo strutturalismo, i cui principi si rivelarono utili per la descrizione grammaticale e per la comprensione dei meccanismi interni delle lingue. I linguisti svilupparono allora metodi rigorosi per descrivere le unità strutturali del linguaggio. Seguendo le indicazioni dello svizzero Ferdinand de Saussure, si distinse fra un ‘livello profondo’, cioè il sistema linguistico che costituisce la norma grammaticale riconosciuta dai parlanti e che Saussure chiamò langue, e un ‘livello superficiale’, detto parole, costituito dalle effettive produzioni linguistiche, ossia dalla infinita varietà di frasi diverse che produciamo nella lingua di tutti i giorni.
Una riflessione ulteriore sulla distinzione in piani diversi dell’attività linguistica fu iniziata negli anni Cinquanta da Noam Chomsky, il teorico della grammatica generativa, il quale concepì la grammatica come teoria della struttura del linguaggio più che come descrizione delle frasi e dei procedimenti di una lingua. Nella sua visione esiste una grammatica universale comune a tutti gli uomini e soggiacente a qualsiasi lingua: mediante trasformazioni appropriate, questi meccanismi universali si strutturano poi in modo differente per rendere le varie lingue oggi esistenti.