Presso la maggior parte delle persone, il termine «effetto serra» non gode di buona fama. Esso è comunemente ritenuto sinonimo di surriscaldamento della Terra per effetto dell’inquinamento dell’atmosfera. Nella realtà l’effetto serra è un fenomeno di importanza vitale perché, mantenendo la temperatura media della Terra all’interno di un intervallo ristretto di valori, garantisce la possibilità di vita degli esseri viventi.
D’altra parte l’effetto serra può diventare molto pericoloso. Il problema nasce dal fatto che il valore della temperatura media della Terra è fortemente influenzato dalla concentrazione nell’atmosfera dei cosiddetti «gas serra» cioè, in ordine di importanza, dell’anidride carbonica, del metano, del protossido di azoto, dei clorofluorocarburi e dell’ozono troposferico. A questi va aggiunto il vapore acqueo, che però merita un discorso a parte.
I gas serra assorbono facilmente la radiazione infrarossa irradiata dalla superficie terrestre e quindi, trattenendo energia nel «sistema Terra», ne fanno aumentare in misura considerevole la temperatura media.
Acqua (H2O): l’acqua, presente nell’atmosfera in quantità variabile sotto forma di vapore e di minuscole goccioline, ha una grande capacità di assorbire la radiazione infrarossa e quindi contribuisce all’effetto serra. La sua concentrazione nell’atmosfera dipende fondamentalmente dall’estensione delle aree oceaniche e marine e dalla temperatura dell’aria, per cui non è particolarmente influenzata dalle attività umane. Essa è importante per le precipitazioni che determinano la possibilità di vita nelle diverse aree della superficie dei continenti. Per questi motivi il vapore acqueo non può essere considerato un «gas serra» alla stregua di quelli che esamineremo di seguito.
Anidride carbonica (CO2): attualmente il più importante e potenzialmente più pericoloso dei «gas serra» è la CO2, la cui concentrazione nella troposfera è aumentata del 35% negli ultimi 200 anni, passando dallo 0,028% dell’epoca preindustriale al valore attuale dello 0,037%. Circa il 65% della CO2, immessa ogni anno nell’atmosfera deriva dall’estrazione e dalla combustione dei combustibili fossili; il resto è un effetto della deforestazione che trasforma ampi territori in ecosistemi agricoli, i quali catturano una quantità di CO2 da 20 a 200 volte inferiore rispetto agli ecosistemi forestali naturali. Tutti sappiamo dell’importanza per la vita sulla Terra della CO2, perché questa è assolutamente necessaria per la fotosintesi dei vegetali che produce sostanze organiche per tutti i viventi, piante, animali e microbi, i quali poi, dopo un tempo più o meno lungo, attraverso la respirazione o la decomposizione, la liberano di nuovo nell’atmosfera. La concentrazione della CO2 nell’atmosfera, oltre che dal consumo e rilascio da parte degli esseri viventi, è regolata anche da altri fenomeni importanti. Da una parte essa diminuisce perché la CO2 diffonde naturalmente nell’acqua degli oceani, dove può contribuire alla formazione dei sedimenti e delle rocce calcaree, che a loro volta derivano in misura rilevante da scheletri e gusci di animali marini. D’altra parte la nostra civiltà industriale immette nell’atmosfera grandi quantità di CO2, prodotta soprattutto dall’uso dei combustibili fossili per i trasporti, il riscaldamento e la produzione di energia elettrica. Anche alcuni fenomeni naturali, legati soprattutto al vulcanesimo, immettono CO2 nell’atmosfera, ma certamente quasi tutto l’aumento di cui abbiamo riferito sopra deriva dalle attività umane.
Metano (CH4): la concentrazione di questo gas nella troposfera è aumentata di oltre il 140% nell’ultimo mezzo secolo. Esso è prodotto dalle risaie, dal pascolo animale, dai termitai e viene rilasciato nell’atmosfera durante l’estrazione di carbone, petrolio e metano.
Protossido di azoto (N2O): la sua concentrazione nella troposfera aumenta del 2-3% ogni 10 anni. Anch’esso viene prodotto dalla deforestazione e dalla conseguente trasformazione di vasti territori in sistemi agricoli. Altre fonti sono la combustione di biomasse e dei combustibili fossili. Più difficile è determinare la quantità e l’importanza dell’N2O rilasciato dai fertilizzanti.
Clorofluorocarburi (CFC): sono potenzialmente i «gas serra» più attivi ma, essendo stati usati soltanto per pochi decenni, la loro concentrazione nella troposfera è ancora bassa, circa 0,9 parti per miliardo. Inoltre le ultime misure dimostrano che la loro concentrazione inizia a diminuire a causa della riduzione della produzione come conseguenza della convenzione di Vienna del 1987.
Ozono (O3): dell’ozono stratosferico abbiamo già discusso in precedenza. Nella troposfera, vicino al suolo, è presente in quantità variabile, talora ad alta concentrazione, come prodotto dello smog fotochimico.
Che fare
Ognuno dei «gas serra» richiederebbe una propria trattazione, ma in questa sede ci limitiamo ad accennare al problema della CO2 che è comunque il «gas serra» più importante. Secondo le previsioni attuali la concentrazione atmosferica della CO2 è destinata ad aumentare ulteriormente, soprattutto per il fatto che oltre l’85% della domanda mondiale di energia è soddisfatta con i combustibili fossili e non si prevede che le altre fonti energetiche (eolica, solare ecc.) possano nell’immediato cambiare drasticamente la situazione. Se si vorrà stabilizzare per la fine del XXI secolo la quantità di CO2 a un valore doppio di quello dell’epoca preindustriale, cioè a 550 parti per milione, come auspicato nel 1992 alla Conferenza Internazionale sul Clima di Rio de Janeiro, occorrerà ridurre l’emissione globale di CO2 al 50% di quella che è prevista per il 2050. Evidentemente si tratta di un’impresa tutt’altro che facile, che richiede l’impegno sia dei paesi industrializzati sia dei paesi in via di sviluppo, perché presenta forti implicazioni economiche e necessita di innovazioni nella tecnologia e nei sistemi di produzione di energia. Non esiste una singola «ricetta» capace di risolvere il problema, il quale va affrontato contemporaneamente con strategie diverse. Uno degli approcci consiste nel migliorare l’efficienza delle conversioni dell’energia da una forma all’altra, riducendo così la quantità di combustibili fossili necessari per rispondere alla domanda di energia. Un’altra strategia punta a incrementare le fonti di energia prive di carbonio, come l’energia eolica e quella solare. Vi è poi il metodo della riforestazione che aumenta la quantità di CO2 sottratta all’atmosfera dalla fotosintesi. Un’altra strada sperimentata di recente viene indicata come «carbon management». Essa consiste nel catturare l’anidride carbonica prodotta da sorgenti di emissione fisse, come per esempio una centrale termoelettrica o un campo di estrazione di petrolio, per iniettarla nel sottosuolo o nelle acque oceaniche profonde, dove dovrebbe rimanere per un tempo indefinitamente lungo. Va infine ricordato che, se anche si raggiungerà nei tempi previsti l’obiettivo prefissato alla Conferenza di Rio de Janeiro, si avranno comunque sensibili modificazioni climatiche di cui ancora non sono prevedibili con precisione l’entità e la distribuzione geografica. Comunque si tratterà di modificazioni molto meno drammatiche di quelle che si avrebbero in assenza di interventi di prevenzione.