Sono ben undici gli anni che uno studente italiano dedica allo studio della storia, dalla terza elementare all’ultimo anno delle superiori: eppure le ricadute formative sono molto carenti, come concordano gli studiosi e i docenti avvertiti. L’approccio didattico è ancora prevalentemente manualistico e si sa che il manuale, anche nel migliore dei casi, è un condensato che a lungo andare risulta molto spesso indigesto e inappetibile, veicolo di un apprendimento mnemonico-ripetitivo e passivizzante. Al punto che dopo la scuola in genere gli studenti non leggono più libri di storia e inconsistente risulta la maturazione di una coscienza storica.
Su questo risultato pesa indubbiamente il fatto che quasi nessun insegnante sia laureato in storia e che non esista una formazione didattica qualificata nè iniziale nè in servizio; la recente istituzione a livello universitario della Scuola di specializzazione per la formazione dei docenti dovrebbe dare buoni risultati solo nei tempi medio-lunghi. Per ora, dato il sostanziale fallimento dei corsi di aggiornamento e delle istituzioni ad esso preposti, la condizione più valida per una buona preparazione professionale è costituita dall’autoformazione: essa è un dovere etico dei docenti, strettamente correlato alla finalità etico-civile dell’insegnamento-apprendimento della storia.
La condizione perchè l’autoformazione sia efficace e feconda sotto l’aspetto culturale e didattico è che si assuma la consapevolezza della necessità di insegnare secondo epistemologia: epistemologia didattica ed epistemologia disciplinare (storica nel nostro caso). Ciò significa riconoscere alla didattica uno statuto epistemologico ben definito e il carattere “scientifico” delle sue procedure (1). Significa anche assumere la storia come scienza sociale, connotata da una natura intrinsecamente complessa. Di conseguenza, la competenza pedagogico-didattica e quella scientifico-disciplinare dei docenti costituiscono i due capisaldi su cui costruire un buon insegnamento della storia, in una scuola pubblica seria e qualificata.
Sul versante didattico un primo corollario è costituito dalla corretta impostazione del curricolo verticale. Un modello generale di riferimento, semplificato, è quello riprodotto nella seguente scala di complessità scientifico-cognitiva:
approccio pre-disciplinare nella scuola elementare;
approccio propedeutico-disciplinare e tendenzialmente disciplinare nella scuola media;
approccio decisamente disciplinare e tendenzialmente interdisciplinare nella scuola superiore (2).
La non consapevolezza di questo assunto è alla base, molto spesso, del fallimento didattico, soprattutto nella secondaria superiore, di molti docenti che non trasmettono, forse perchè non posseggono, un concetto epistemologicamente forte della storia, come quello proposto dalla storiografia “annalistica”, che risulta particolarmente funzionale alle finalità dell’insegnamento scolastico.
La centralità della storia contemporanea
Dunque, affinchè la storia insegnata e appresa sui banchi di scuola risulti sempre meno noiosa e-all’inverso-sempre più coinvolgente, fino a far nascere il piacere della conoscenza storica, è necessario avere ben chiare le premesse epistemologiche, cioè i nodi e gli indicatori del nuovo paradigma didattico. Essi sono riconducibili a una sorta di decalogo che costituisce la cornice entro cui ripensare l’insegnamento della storia, o i “paletti” che segnalano la strada su cui percorrere la ricerca di nuovi traguardi conoscitivi e formativi: una strada difficile ma possibile, con esiti che possono rivelarsi sorprendenti.
Queste, rese in forma schematica, alcune delle principali sistemazioni concettuali necessarie per affrontare le questioni storico-didattiche:
la doppia centralità nel rapporto tra insegnante e studente;
lo stretto legame tra passato e presente;
la centralità della storia contemporanea, con particolare riferimento al Novecento;
l’assunzione della dimensione della mondializzazione e della globalizzazione;
la dialettica globale-locale;
l’intreccio tra storia generale e storie settoriali;
la specificità dell’area storico-sociale e i suoi risvolti interdisciplinari;
il riconoscimento della funzione etico-civile e pubblica della storia e dei suoi nessi con l’educazione civica;
la valorizzazione critica della rivoluzione multimediale (televisione, informatica ecc.);
la sperimentazione delle potenzialità formative della ricerca storica in classe (3).
In questa sede è necessario puntualizzare almeno due di questi temi nodali: quello che pone al centro la storia contemporanea e quella che introduce la ricerca storica nella programmazione-progettazione didattica.
La particolare rilevanza della storia contemporanea va calibrata su ogni ciclo scolastico secondo le esigenze del curricolo verticale (scuola media e scuola superiore, che qui ha una considerazione preminente) e della programmazione didattica (finalità, obiettivi, contenuti e metodi). Tale rilevanza si fonda sul riconoscimento della maggiore potenzialità formativa della contemporaneità, nel senso che tutta la storia è formativa, ma quella contemporanea in modo particolare, quando però essa non scada nel presentismo selvaggio, per evitare le incongruenze del passatismo deteriore ancora dominante nella didattica tradizionale.
L’ancoraggio sicuro è costituito dalla nota tesi di Benedetto Croce, secondo cui ogni storia è storia contemporanea. Ciò significa che anche trattando dei tempi più remoti lo storico in realtà parla del proprio tempo, da cui è fortemente condizionato. Tradotta in termini didattico-formativi questa acquisizione epistemologica significa costruire la programmazione di storia-tra gli altri-sull’asse del rapporto fecondo tra passato e presente, secondo la sequenza presente-passato-presente.
Per presente storico non si deve intendere la cronaca, ma complessivamente il Novecento, visto nella sua globalità e complessità strutturale.
La carenza della cultura del Novecento nella scuola è un fatto noto e cronico nella sua paradossalità, dal momento che siamo alla fine del xx secolo e fra qualche anno esso sarà chiamato “il secolo scorso”. La conquista del Novecento, come il secolo della mondializzazione, è pertanto un dovere culturale e morale del docente di storia consapevole della finalità etico-civile e della funzione pubblica della storia, in relazione soprattutto alla formazione delle nuove generazioni. Egli è chiamato a disegnare e costruire, in modo problematico, una mappa delle rilevanze storiografiche del nostro secolo per un’educazione critica alla mondialità e alla globalizzazione.
Finalità e obiettivi. L’inserimento del Novecento al centro del curricolo comporta per gli insegnanti la capacità di legare i più rilevanti fenomeni del nostro secolo ai processi cognitivi e formativi dei giovani che frequentano la secondaria superiore. Riconoscere l’alto valore formativo della storia del xx secolo significa studiarla in modo sistematico per comprendere il corso globale della storia d’Italia, d’Europa e del mondo, per individuare i legami forti tra passato e presente storico e rafforzare il senso della nostra identità individuale e collettiva, nazionale e continentale, locale e globale, mondiale e planetaria.
Le ricadute etico-civili, condensate nell’educazione a una coscienza internazionalista e pacifista, presuppongono un impegno di conoscenza scientifica nella direzione di alcuni obiettivi di fondo, come sapersi orientare nel dibattito storiografico, saper leggere la contemporaneità in termini di mondializzazione e globalizzazione, saper individuare i nodi e gli snodi storici del secolo in un quadro articolato e complesso, saper tracciare un bilancio critico delle trasformazioni strutturali che costituiscono l’eredità e il futuro delle prossime generazioni.
Contenuti. Questi alcuni nodi e temi cruciali per costruire un’idea forte del ventesimo secolo colto nella sua globalità e complessità:
a) il dibattito storiografico (da Nolte a Hobsbawm, da Furet a Huntington ecc.);
b) la periodizzazione, con la relativa discussione sulla validità della definizione di “secolo breve”;
c) gli indicatori dei processi strutturali: dalla questione demografica alla crescita economica squilibrata tra il nord e il sud del mondo, dall’affermazione dell'”welfare state” alla sua crisi, dal bipolarismo alla superpotenza unica, dalla decolonizzazione al neocolonialismo, dal pluralismo delle ideologie al pensiero unico del neoliberismo, dalla rivoluzione tecnologico-scientifica all’emergenza ecologico-ambientale (4).
Metodi e strumenti. Circa le modalità operative di insegnamento della storia contemporanea e del Novecento in particolare si possono seguire diverse strade, che presuppongono la consapevolezza della difficoltà di organizzare didatticamente una materia incandescente, ampia, complessa e in continua trasformazione. Il punto di partenza è costituito dai nuovi programmi ministeriali, che riservano all’ultimo anno del triennio della scuola media e della secondaria superiore lo studio del Novecento. La riforma conferma l’importanza della storia contemporanea e del nostro secolo in particolare, ma nello stesso tempo presenta limiti che denunciano una soluzione legislativa frettolosa e debole sotto l’aspetto epistemologico e didattico. Infatti, se si assume la sequenza presente-passato-presente, la storia del XX secolo non può essere insegnata e appresa solo alla fine del ciclo scolastico inferiore e superiore, ma deve essere fatta continuamente interagire con la storia dei secoli passati, secondo procedure didattiche adeguate. In questo senso si tratta di lavorare per progetti e per unità didattiche costruendo gli indicatori del Novecento e aprendo percorsi mirati dal presente al passato e viceversa, in un rapporto di interazione continua. In quest’ottica, la modalità formativa e didattica più matura è quella rivolta a saper riconoscere e utilizzare le fonti, sia scritte che orali che materiali, seguendo la strada della rivoluzione del documento tracciata dalla scuola delle “Annales” (5). Èla strada della ricerca storica a scuola, che ha nella storia contemporanea e in quella del Novecento in particolare un campo privilegiato di graduale e sensata sperimentazione.
La storia come ricerca nella scuola come laboratorio
Lavorare sulle fonti per gli insegnanti significa trasformarsi in ricercatori e per gli studenti in piccoli storici (6): è il livello più alto della formazione storica, che può prospettare traguardi straordinari a quei docenti che sappiano fissare le coordinate giuste tra la ricerca e la didattica, valorizzando le potenzialità offerte dal curricolo orizzontale e dall’integrazione-interazione della storia con le altre discipline scolastiche (italiano, arte, economia, diritto, geografia, educazione civica ecc.).
La storia contemporanea consente un’ampia disponibilità di fonti e documenti, compresa l’osservazione diretta e partecipata, l’uso di materiali e strumenti nuovi (dai mass-media al personal computer) e il contatto personale con i testimoni diretti tramite le interviste.
I risultati che ho ottenuto negli ultimi sei anni nel triennio di un liceo scientifico, dove ho realizzato con altri docenti diverse esperienze di ricerca storica pluridisciplinare (storia, italiano, disegno e storia dell’arte) (7), consentono di prospettare e generalizzare, come traguardo innovativo, non solo la possibilità, ma anche la necessità della ricerca storica a scuola, sulla base di alcuni punti fermi, a cominciare dai due seguenti:
1) il laboratorio di didattica della storia;
2) la distinzione tra microstoria e macrostoria.
Il laboratorio di didattica della storia. Dal punto di vista culturale e scientifico il termine “ricerca” è associato immediatamente a quello di “laboratorio”. In relazione all’insegnamento della storia il laboratorio va inteso non solo come spazio fisico, diverso dalla normale aula scolastica e ben attrezzato per attuare pratiche didattiche integrate, ma anche come idea dell’insegnamento-apprendimento come ricerca capace di trasformare gli studenti in piccoli storici. Si tratta di metterli nella condizione di attivare le operazioni dello storico, tenendo ben presente lo scarto tra la ricerca scolastica e quella professionale degli studiosi. Il modello didattico della ricerca risponde a obiettivi di formazione e non può andare oltre certi limiti materiali e culturali, che sono propri dei soggetti in formazione che frequentano la scuola secondaria superiore. Si deve parlare, pertanto, di ricerca storica simulata.
La distinzione tra microstoria e macrostoria. Le “sensate esperienze” di lavoro storico a scuola (che presuppongono le “necessarie dimostrazioni” di natura epistemologica) hanno come ambito privilegiato o naturale quello della microstoria, che individua aspetti di realtà storico-sociale limitati, ma particolarmente significativi ai fini della comprensione della totalità (una fabbrica, una cascina, un personaggio, un fiume, un quartiere, una scuola, un avvenimento, un palazzo ecc.).
Più difficile, ma non impossibile, la ricerca di macrostoria: anche in questo caso l’esito è direttamente proporzionale alle capacità dei docenti nell’organizzazione del lavoro e alle motivazioni degli allievi, come verificato dalle esperienze realizzate nel laboratorio di storia di un liceo scientifico (8).
Il lavoro su entrambi i piani consente di muoversi più o meno agilmente tra la storia locale e la storia mondiale, tra la storia ambientale e la storia sociale, tra la storia urbana e la storia rurale, tra la storia biografica e la storia globale ecc.
Il terreno più praticabile e fecondo di risultati, sia nella scuola media che nella superiore, è forse quello della storia del territorio/dell’ambiente, in cui è possibile applicare la metodologia della ricerca-azione, che può coinvolgere un ampio numero di insegnamenti (9).
Conclusione
Intanto va rimarcato che aprire la scuola alla ricerca non significa eliminare il manuale, che resta uno strumento indispensabile per fornire grandi quadri d’insieme di natura analitica e concettuale. Bisogna però uscire dal “dominio imperialistico” di questo mezzo, che va integrato, a un livello superiore, con altri come le raccolte di documenti e i saggi storiografici, fino all’esperienza della ricerca simulata: è sufficiente anche una sola, o poche, nel corso del quinquennio superiore, purchè condotte secondo le regole della progettazione rigorosa, che non consente semplificazioni e banalizzazioni.
Tre, dunque, le dimensioni dell’insegnamento-apprendimento della storia contemporanea: quello di base, o generale, e quello specifico, o storiografico (relativi al sapere come conoscenza), e quello straordinario e originale (legato al saper fare come invenzione e creatività). Che è quanto basta-forse-per rendere la storia a scuola meno noiosa e poter ripetere ai nostri studenti, con sicurezza motivata, le parole di Antonio Gramsci, scritte al figlio Delio: «Io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perchè riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi, non può non piacerti più di ogni altra cosa. Ma è così?» (10).
Risulta essere la prospettiva straordinariamente stimolante che consente di scoprire la funzione educativa e civile della professione docente nella scuola pubblica e l’importanza dell’educazione al recupero della memoria storica nella formazione delle nuove generazioni. Soprattutto oggi gli insegnanti sono chiamati a scelte di grande responsabilità: inventare e realizzare graduali percorsi di sperimentazione e innovazione didattica attorno al tema del rapporto culturalmente strategico tra giovani, storia e memoria.
Note
(1) Cfr. F. Frabboni, Manuale di didattica generale, Laterza, Roma-Bari, 1992.
(2) Cfr. M. Gusso, Insegnamento della storia e curricolo verticale, in “Italia contemporanea”, n° 172, 1988, pp. 89-99.
(3) Cfr. lo sviluppo di questi temi in G. Deiana, Io penso che la storia ti piace. Idee per la formazione storica nella scuola pubblica, Unicopli, Milano, 1997, cap. ii.
(4) Cfr. G. Deiana, op. cit., cap. iii.
(5) Cfr. J. Le Goff (a cura di), La nuova storia, A. Mondadori, Milano, 1980.
(6) Cfr. I. Mattozzi, Che il piccolo storico sia!, in “I Viaggi di Erodoto”, n° 16, 1992, pp. 171-180.
(7) Cfr. G. Deiana, op. cit., parte ii
(8) Cfr. G. Pennacchietti, La ricerca a scuola: un modello. La ricerca su eventi globali nel triennio delle superiori, relazione al corso di aggiornamento “La storia come ricerca nella scuola come laboratorio”, Liceo Scientifico “S. Allende”, Milano, 1996.
(9) I limiti dello spazio non consentono, qui, di dare indicazioni analitiche sulle fasi operative della ricerca a scuola, che necessitano di un intervento specifico.
(10) A. Gramsci, Lettere dal carcere, Einaudi, Torino, 1978, p. 294.