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Qualche anno fa, in appendice a un libro dal titolo Come far leggere i bambini, comparve un saggio di Gianni Rodari intitolato “Nove modi per insegnare ai ragazzi a odiare la lettura”(1). Vi venivano elencate le tecniche negative più usate dagli adulti per incentivare nei bambini l’amore per la lettura e con la loro applicazione venivano garantiti risultati disastrosi. Chi di noi infatti non ha mai presentato al proprio figlio o nipote un libro in alternativa alla televisione, non gli ha mai detto che i bambini di una volta leggevano di più o non l’ha colpevolizzato di non amare abbastanza la lettura?
Che i bambini leggano meno volentieri è una convinzione molto diffusa che va comunque ridimensionata. Lavoro da anni nell’editoria scolastica e ho vissuto con mia figlia le alterne fasi di odio/ amore per la lettura: ho ascoltato i suoi suggerimenti e quelli dei suoi amici e in questo modo mi sono forse avvicinata un po’ di più alle esigenze dei bambini. Ho maturato quindi una serie di considerazioni:
– Non è assolutamente vero che i bambini non leggono: leggono solo se sono sufficientemente stimolati e soprattutto se sono educati alla lettura.
– Non è vero che la televisione è un’alternativa al libro: se la sua funzione viene intesa nella giusta dimensione, ossia quella di veicolatrice di informazioni, diventa anch’essa qualcosa di arricchente, come portatrice di idee.
– Non è vero che i bambini di una volta leggevano di più, perché ora tutti i bambini hanno la possibilità di leggere mentre nei decenni passati era decisamente un’attività elitaria.
Perché leggere
Decodificare alcuni segni grafici significa certamente “leggere”, e questo è appunto uno degli obiettivi perseguiti nella Scuola materna e nelle prime due classi della Scuola elementare. Ma poi “leggere”diventa imparare a capire, a collegare tra loro concetti differenti, a inferire informazioni nascoste e si fa quindi sempre più importante il compito che spetta ai genitori, agli insegnanti e, perché no, anche alle case editrici, veicoli privilegiati del “far cultura”.
Parafrasando Beniamino Placido, si può tranquillamente affermare in proposito che la lettura «serve. Non nell’immediato, naturalmente non a comprare un etto di caviale, o a cambiare la tappezzeria dello yacht. Ci vuole altro, per quello. Ma serve a costruire una personalità più forte, una sensibilità più ricca, una vitalità più intensa, a vivere e a sopravvivere con o senza caviale, con o senza yacht» (2).
Oggi la qualità della vita sembra essere migliorata e i ragazzi usano prodigiosamente le nuove tecnologie di diffusione dell’informazione; questi stessi ragazzi però sembrano avere difficoltà con la pagina scritta e spesso si demotivano o hanno un approccio del tutto superficiale. Ma leggere non è una capacità istintiva e molto spesso l’esempio viene dagli adulti, all’interno della famiglia e della scuola. Se desideriamo che i ragazzi leggano, dobbiamo dar loro l’esempio; in questo modo, oltre a iniziarli alla lettura, parteciperemo della loro vita e dei loro interessi.
Non è in prima elementare che il bambino impara a “leggere”: il primo approccio con quest’attività risale certamente a qualche anno prima, quando papà o mamma prendono in mano un libro e leggono per lui una storia. Il bambino incomincia a veder manipolare questo oggetto, il libro, che non gli apparirà più così alieno nel momento in cui l’insegnante glielo proporrà a scuola.
È poi del tutto inutile far vivere ai bambini contraddittoriamente l’alternativa libro/televisione, perché i due termini di paragone non sono congruenti: ognuno dei due presenta delle peculiarità che lo rendono interessante. È però possibile stare più vicino ai bambini, leggere con loro e per loro, senza lasciarli soli davanti al televisore.
Che cosa leggere
Non esistono criteri o regole fisse da adottare nella scelta di un testo di narrativa e bisogna anche considerare che è in genere l’adulto, genitore o insegnante, che sceglie per il bambino. La scelta del libro da proporre diventa quindi un momento importante, nel quale si riflette la saldezza del rapporto tra bambino e adulto. Ricordo con immenso piacere le mie letture giovanili dei cosiddetti “classici”, anche se più tardi li ho rivisitati in una chiave che ha un po’ smorzato i toni entusiastici di allora; nelle proposte che oggi faccio a mia figlia o nelle scelte che lei fa in modo autonomo spero sempre che ritrovi quel piacere che mi ha fatto macinare decine di libri uno dietro l’altro in una catena ininterrotta. Sono convinta che basti non dimenticare che i bambini hanno la capacità di reinventare la realtà, di modificare i confini che gli adulti pretendono di stabilire per loro.
Di fatto è quasi scomparsa dal mercato editoriale quella produzione che, spacciandosi come “rivolta ai bambini”, li avvolgeva in un’atmosfera sdolcinata e leziosa che non teneva assolutamente conto dei loro reali interessi; per contro, pur di seguire gli interessi che i giovani al momento sembrano prediligere, il mercato editoriale propone prodotti scadenti dal punto di vista della qualità letteraria.
Nella fascia tra i sette e gli undici anni i bambini non posseggono certo i mezzi per valutare e riconoscere la validità letteraria di un testo, ma possono essere dei giudici inflessibili di libri con un semplice « Mi piace … Non mi piace … Mi annoio». La trama, la vicenda, il comportamento dei personaggi e, non da ultimo, le immagini che accompagnano il testo sono gli elementi che più li intrigano. E allora, offriamo loro una varietà di libri che possa attivare i loro interessi, tra cui possano scegliere a seconda della propria curiosità e della propria inclinazione.
Alcune collane di libri per bambini, e mi riferisco a quelle indirizzate più specificamente alla scuola, presentano testi corredati da proposte di lavoro. Tali apparati risultano efficaci solo a condizione che costituiscano non una costrizione all’analisi narratologica ma una riflessione globale, finale sul testo, che facciano insomma proseguire il piacere scaturito dalla lettura. La componente didattica non deve sovrapporsi al piacere di leggere: far lavorare un ragazzo dopo ogni capitolo di un romanzo significa togliergli parte dell’entusiasmo, associare alla lettura una sfumatura di obbligatorietà che demotiva anche il più accanito lettore. Aiutare a far nascere il gusto per la lettura significa anche aiutare i ragazzi a costruirsi una biblioteca, che può essere di classe o personale, a cui il bambino, poi ragazzo, poi uomo, potrà attingere con convinzione perché «quale porto potrà accoglierti più sicuro di una grande biblioteca?»(3).
Note
(1) Roberto Denti, Come far leggere i barnbini, Editori Riuniti, 1982.
(2) Beniamino Piacido, Scemi-Scemi, in “La Repubblica”, 3 settembre 1987.
(3) Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Einaudi, 1979.