L’Espressionismo in Europa fu un movimento culturale molto ampio che coinvolse, oltre alla pittura, l’architettura, la letteratura, il teatro e il cinema. La coniazione del termine Espressionismo viene generalmente ricondotta ad un saggio pubblicato nel 1911 sulla rivista Der Sturm dal critico tedesco Wilhelm Worringer.
L’Espressionismo conobbe il suo massimo splendore in Germania, dove nacque come reazione, da parte di un gruppo di artisti e intellettuali, al sistema dei valori sociali che sostenevano il regime imperiale e militarista di Guglielmo II negli anni che precedettero lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Questi si scagliarono contro gli ideali borghesi di una società intrisa di perbenismo e repressa dalla falsa morale, a cui l’artista sentiva il bisogno impellente di rispondere con la furia distruttrice di un’arte eccitata e vibrante, primitiva e pericolosamente istintiva. Da questi presupposti scaturì un’arte fondata sull’esperienza emozionale e spirituale della realtà. Una realtà vista non più come oggetto da rappresentare nella maniera più fedele possibile, bensì come universo da percepire e tradurre in opera d’arte attraverso il filtro di una soggettività esasperata.
A livello tematico l’Espressionismo recuperò le istanze di primitivismo e spiritualismo tipiche del tardo Ottocento, mentre sul piano tecnico formulò un linguaggio figurativo basato su un appiattimento bidimensionale delle figure che lasciava il campo libero ad un personalissimo uso del colore.
Possiamo affermare che questo complesso movimento culturale abbia trovato una prima forma organica nel gruppo chiamato Die Brücke (il Ponte), fondato nel 1905 a Dresda da Ernst Ludwig Kirchner. Animati da un gioioso entusiasmo rivoluzionario, gli artisti del Die Brücke desideravano dimenticare la disciplina delle leggi accademiche in nome della spontaneità dell’ispirazione. Lo stesso nome rievocava il concetto di un “ponte” capace di mettere in contatto le esperienze neo-impressioniste europee con le suggestioni primitiviste dell’arte africana, di cui gli artisti del Die Brücke ammiravano l’istintività.
Nel 1911 il gruppo si trasferì in blocco a Berlino. In questo periodo furono particolarmente felici le prove di Kirchner, che costruì sapientemente un nuovo sistema figurativo con cui rappresentava la città e gli uomini che la popolavano, animando le sue tele con l’accostamento drammatico di colori stridenti ed evocativi (Dresden-Friedrichstadt, 1910, Hannover, Sprengel Museum).
Die Brücke si sciolse nel 1913 a causa di dissidi interni, ma proprio in quegli anni una nuova tendenza artistica si affacciò nel panorama dell’Espressionismo tedesco: si trattava del Der Blaue Reiter (Il Cavaliere Azzurro), un gruppo fondato da Wassilj Kandinskij e Franz Marc e animato, come Die Brücke, dall’urgenza di rinnovamento e dal contatto con l’opera di Vincent Van Gogh, Paul Gauguin e Edvard Munch.
Der Blaue Reiter, a differenza del Die Brücke, non si soffermò sull’istintività, bensì sull’elemento spirituale presente nella natura e nell’arte, in nome del quale la tradizionale “raffigurazione” perse sempre più importanza a favore di un nuovo elemento compositivo: il colore.
Kandinskij infondeva alle sue opere un profondo senso di misticismo e sostituiva la bruta deformazione della realtà, tipica del Die Brücke, con un palpitante lirismo simbolico, in cui qualsiasi tipo di naturalismo veniva radicalmente negato (Improvvisazione, 1912). Purtroppo la vita del Der Blaue Reiter venne bruscamente interrotta dall’inizio della guerra nel 1914.
Più o meno negli stessi anni, fuori dai confini della Germania, lo spirito espressionista si incarnò nei francesi Fauves (Belve). Il termine fu coniato da un critico che descrisse come una “gabbia di belve” la sala che ospitava le opere del gruppo al Salon D’Automne di Parigi del 1905. Il Fauvisme ebbe molti contatti con Die Brücke e fu caratterizzato da un uso spasmodico e violento del colore. I presupposti stilistici erano molto simili a quelli dei gruppi tedeschi anche se i Fauves si distinsero per la costante presenza di una griglia compositiva che rese il loro stile meno astratto rispetto a quello germanico.
Henri Matisse fu senza dubbio l’esponente più importante, in grado di conciliare l’esplosione cromatica di Van Gogh con il gusto per la sintesi e per l’equilibrio, mutuati dall’insegnamento di Gauguin e dallo studio della pittura orientale (La joie de vivre, 1905, San Francisco, collezione privata).
In Austria i due più importanti interpreti della stagione espressionista furono Kokoschka e Schiele, ambedue formatisi nel clima della Secessione viennese dominato da Gustav Klimt.
Oskar Kokoschka partecipò alle mostre del Blaue Reiter a Monaco e sviluppò la sua ricerca sia sul fronte pittorico che su quello letterario. Autore del primo dramma teatrale espressionista (Assassino, Speranza delle donne, 1910), Kokoschka scosse il mondo della pittura con i suoi emblematici ritratti, attraversati da una profonda caratterizzazione psicologica e da un soggettivismo violento e a tratti visionario (Ritratto del professor Forel, 1910, Mannheim, Kunsthalle).
Egon Schiele si inserì nel filone dell’Espressionismo grazie ad un uso della linea drammatico e incisivo, volto a descrivere il tormento esistenziale dell’uomo di fronte alla morte. La crudezza dei suoi nudi e l’allucinata fisicità di alcune sue opere gli costarono una condanna per pornografia (Donna seduta con gamba piegata, 1917, Narodni Galerie, Praga).
Dopo un periodo di successo la pittura espressionista venne condannata dal regime nazista in quanto “arte degenerata”. Le opere furono sequestrate dai musei e ai pittori fu vietata qualsiasi attività espositiva. Fortunatamente, una volta conclusa la Seconda Guerra Mondiale, l’arte degli espressionisti venne rivalutata a livello internazionale.