Scuola di architettura e di «arti applicate» fondata nel 1919 a Weimar dall’architetto Walter Gropius. L’insegnamento poggiava sull’applicazione, teorica e pratica, della sintesi tra arti plastiche, artigianato e industria. Gropius si considerava il successore di Ruskin e Morris, nonché di Van de Velde e del laboratorio monacense del Werkbund. Dalla metà del XIX sec., numerosi movimenti spinti dall’estetica sociale di Ruskin e di William Morris avevano cercato di reagire sia all’industrializzazione sia all’accademismo vittoriano, creando laboratori, o meglio corporazioni, di spirito romantico-medievale, con lo scopo di rigenerare l’arte mediante l’artigianato e di produrre oggetti belli per tutta la popolazione. Ma, orientandosi esclusivamente verso la decorazione e rifiutando la macchina, questi gruppi (i principali furono la Century Guild di Mackmurdo e Crane, 1882, e l’Arts and Crafts Exhibition Society di Morris, 1888) scomparvero, presto assorbiti dall’Art Nouveau. Già nel 1890, Henry van de Velde scorgeva nell’ingegnere l’architetto del futuro e, dieci anni piú tardi, Adolf Loos, in un opuscolo intitolato Ornament und Verbrechen (Ornamento e delitto), patrocinava una poetica del funzionalismo quale verrà adottata negli Stati Uniti da Sullivan e da Wright. Il primo tentativo di risolvere il conflitto tra la tecnica industriale e la cultura artigianale di Morris venne compiuto da Muthesius, creatore del Deutscher Werkbund (Unione tedesca del lavoro) nel 1907 a Monaco. Tuttavia l’atteggiamento ancora individualistico ed esclusivo dei membri dell’Unione comportò il fallimento dell’esperienza. Nel 1914 Henry van de Velde, direttore del Museo delle arti decorative e dell’Accademia di Weimar, costretto a lasciare il suo posto, raccomandò all’arciduca un giovane insegnante del Werkbund, Gropius, che si era fatto notare sin dal 1910 per l’audace costruzione di edifici dalle forme rigorosamente funzionali: le officine Fagus di Alfeld.
Programma
Entrato in carica nel 1919, Gropius fuse subito le due istituzioni in una, dandole nome Staatliches Bauhaus (Casa statale delle costruzioni) e redasse un manifesto che poneva i principî di un’arte della civiltà industriale: «Lo sbocco di ogni attività plastica è l’architettura. Le arti avevano in altri tempi, come compito supremo, l’abbellimento dell’edificio; e, oggi, vivono in un individualismo presuntuoso da cui potrà liberarle soltanto una collaborazione stretta e cosciente di tutti i lavoratori. Architetti, pittori, scultori dovranno reimparare a conoscere e a comprendere l’arte multipla del costruire nel suo insieme e nei suoi elementi… Architetti, scultori, pittori, tutti dovremo tornare all’artigianato… Non esiste differenza essenziale tra artista e artigiano. L’artista è un artigiano superiore… Creiamo dunque una nuova corporazione di artigiani senza la distinzione di classe che erige un muro d’orgoglio tra artisti e artigiani. Impariamo a volere, a inventare, a creare insieme il nuovo edificio del futuro, che sarà un tutto entro una forma unica: architettura e scultura e pittura, costruzione eretta un giorno da milioni di mani di artigiani come simbolo cristallino d’una nuova fede». Da tale credo emerge che, pur rimanendo sempre centrale, il problema dell’unità delle arti veniva ora considerato con una consapevolezza piú realistica dei bisogni della società e una piú risoluta certezza del possibile valore estetico del prodotto industriale di massa. In altri termini, si trattava di integrare l’arte alla vita, di superare le contraddizioni che la contrappongono alla scienza non piú respingendo il mondo della macchina, ma utilizzando i mezzi che esso ci offre: la macchina sensibilizzata consentiva di sfuggire al formalismo attraverso il concetto di funzione. Donde l’importanza del lavoro di gruppo in un’attività artistica che integri l’artigianato a livello creativo e l’industria a livello produttivo. Tutte le arti emanano dall’architettura, ma a loro volta sono gli elementi di quella struttura finale che è l’edificio. Inoltre Gropius insiste sulla formazione artigianale degli allievi, che devono acquistare familiarità con tutti i materiali, iniziarsi ai linguaggi di tutte le forme ed essere padroni di tutte le leggi compositive. Cosí pure, non vi saranno piú professori veri e propri, ma una comunità di «maestri» e di «discepoli» uniti in uno spirito di collaborazione piú che d’insegnamento. Il programma, fissato partendo dalle teorie del colore e delle forme di Adolf Hölzel, comprendeva anzitutto un corso elementare (Vorlehre), organizzato e impartito prima da Itten, poi da Klee. Consisteva in un affrancamento dell’allievo da tutte le viete convenzioni artistiche attraverso la sperimentazione individuale di forme e materiali grezzi, di colori elementari, della composizione, del disegno geometrico, in breve del vocabolario di base, assai ampliato, dei vari linguaggi creativi. Il corso si divideva poi in due rami paralleli: l’uno era dedicato ai materiali e alla loro elaborazione, e di conseguenza al mestiere (e in particolare all’uso della macchina come utensile), nonché al lavoro di gruppo (Werklehre); l’altro era dedicato allo studio teorico avanzato della forma, del disegno e dei colori (Formlehre). Dopo tre anni di studio l’allievo diveniva apprendista esattamente come nelle corporazioni medievali, e ciò gli consentiva sia di esercitare liberamente uno degli «artigianati» cui era stato iniziato, sia di presentarsi all’esame di «apprendista del B» (Bauhausgesellenprüfung), e di accedere all’ultimo ciclo, lo studio della costruzione (Baulehre), caratterizzato da un lavoro in comune con i maestri in cantiere e in laboratorio. Tale ultima fase veniva completata da una formazione ingegneristica. Prima grande scuola di tecnologia moderna, il B non intese creare uno stile; ma, come dichiarò Gropius a Darmstadt nel 1959, «il fondamento del B è un processo di sviluppo indipendente, non la creazione di un nuovo stile. Esso segue un’idea organica che può trasformarsi per corrispondere ai fattori mutevoli della vita, ma non si riallaccia né a un’epoca, né a una città, e neppure a una nazione. Per questo esso è radicato non soltanto in Europa, ma nelle due Americhe, in Australia e in Giappone».
La pittura del Bauhaus
La situazione dei pittori non era diversa da quella degli altri maestri: essi erano anzitutto artigiani che, come affermava il manifesto, potevano beneficiare, a un certo momento, di un involontario stato di grazia che dava al lavoro delle loro mani le forme dell’arte. Di fatto, è certo che i pittori prodigiosi di cui Gropius seppe circondarsi non ne avrebbero accettato l’invito se non fossero stati persuasi dell’importanza dell’artigianato. Tra i piú rilevanti notiamo Johannes Itten, che restò al B dal 1919 al 1923 ed era responsabile del corso preliminare, mentre Lyonel Feininger insegnò pittura e teorie della forma dal 1919 al 1933, Gerhad Marcks ceramica (1919-24), Paul Klee vetrate e tessuti (1920-29), Oskar Schlemmer scultura (1921-29), Wassily Kandinsky affresco (1922-33), László Moholy-Nagy lavorazione dei metalli e dei materiali sintetici, nonché fotografia (1923-28), Georg Muche arazzo (1921-27). All’inizio, il dipartimento di pittura del B proseguí e sviluppò il movimento di Der Blaue Reiter (Il Cavaliere Azzurro), e lo stesso fecero, in funzione del Werkbund, l’architettura e le arti applicate. Vi si ritrovavano infatti i pittori della mostra di Der Sturm nel 1913, Klee, Kandinsky, Feininger, Muche. Ma quest’eredità si modificò rapidamente per influsso del costruttivismo russo introdotto da Moholy-Nagy e da Albers. L’insegnamento della forma in quanto tale e in quanto struttura plastica era fondamentale.
Klee e Kandinsky
Si aveva allora, in merito a tale insegnamento, una disputa tra i membri, che prese corpo in due opere comparse nella serie di pubblicazioni del B: gli Schizzi pedagogici di Klee (1925) e Punto, linea, superficie di Kandinsky (1926). Klee insiste sulla nozione di elaborazione propria dell’arte; per lui il problema non era tanto conoscere il grado di concretezza o di astrazione della realtà visibile, quanto di osservare una natura dinamica nel suo sviluppo organico. L’arte è una «trasformazione», una metafora plastica della natura. «Essa non ha rapporto col visibile, – notava nel 1920 nella sua Schöpferische Konfession – essa rende visibile». Donde un insegnamento fondato sul punto, che, messo in moto, faceva apparire la «linea attiva», essa stessa mobile e rivelatrice della «superficie attiva», i cui effetti si combinavano in uno spazio che Klee denominava «zona mediale». L’impiego stesso di tali termini dimostra se non l’influsso di Kandinsky almeno la concomitanza originaria delle loro problematiche. Per Kandinsky, il concetto di compiutezza, di composizione, di armonia prevalevano su quello del divenire della forma. Egli preferiva per le sue opere la qualifica di «concrete» anziché «astratte», come d’altronde Klee, i cui corsi, nello spirito, si accostavano ai suoi. Di fatto Kandinsky stabiliva uno stretto parallelismo tra teoria e pratica, ma l’analisi avveniva sempre entro la prospettiva della forma compiuta, cui egli conferiva un valore oggettivo e impersonale sostituendo all’«esigenza interiore» dell’artista una «necessità intellettuale», fedele ad una sorta di esistenza prestabilita dell’opera. Si avevano cosí tre gradi nell’elaborazione del «disegno analitico». In primo luogo l’elemento in quanto tale nelle sue relazioni con gli altri elementi; poi la loro strutturazione sommaria e l’evidenziazione delle articolazioni, o «tensioni», della costruzione mediante segni spessi o mediante il colore; infine, eliminando uno dopo l’altro gli elementi secondari, venivano conservati unicamente i focolai energetici e le tensioni. In una fase terminale, il complesso del disegno veniva ulteriormente semplificato per giungere alla massima sobrietà e nel contempo al cuore della densità espressiva, dove il segno diventa simbolo. Lo scambio d’influssi tra il B e i pittori fu considerevole. Feininger, per esempio, proveniente dal cubismo e impegnato nei problemi delle relazioni spaziali, apporterà nel B una tecnica razionalista del disegno d’architettura. Cosí pure Schlemmer, formatosi come scultore e appassionato di teatro sperimentale, creerà una figura umana rigida, un manichino di concezione monumentale, integrandola in un’architettura vigorosa, ideale. O ancora Moholy-Nagy, sin dal 1922, riduce un costruttivismo lirico al piú rigoroso equilibrio geometrico. Infine è certo che, nei suoi acquerelli «musicali», Klee è debitore della pittura di Hirschfeld-Mack, mentre l’insegnamento dell’arazzo lo sensibilizzò alla tessitura della tela. Si assiste peraltro, sin dagli anni ’20, a una convergenza dei movimenti costruttivisti verso il B. In particolare doveva instaurarsi uno scambio di idee estremamente fecondo tra il suprematismo di Malevi™, di Gabo e di El Lisickij, fondatore a Mosca di un’istituzione simile al B, il Proun. Ancor piú stretti furono i contatti con la rivista «De Stijl», con pubblicazioni reciproche e con la creazione a Weimar nel 1922 di un effimero gruppo De Stijl. Per la sua lotta contro l’accademismo, e per la sua didattica risolutamente d’avanguardia, il B si fece molti nemici. Una mostra nel 1923, peraltro salutata entusiasticamente dalla critica, esasperò l’opposizione, che associava la scuola a un focolaio di bolscevismo, col pretesto che era nata sotto un governo socialista. La pressione del Parlamento della Turingia su Gropius divenne presto intollerabile. Il 1° aprile 1925 il B di Weimar chiuse i battenti.
Dessau
In autunno, il municipio di Dessau accoglieva il B, e Gropius poté liberamente edificare un nuovo edificio. L’insegnamento venne leggermente riveduto alla luce delle esperienze di Weimar. Alcuni docenti lasciarono il B, altri, antichi allievi, accettarono la cattedra: Josef Albers, Breuer, Joost Schmidt. Gropius diede le dimissioni nel 1928, per dedicarsi interamente all’architettura. Gli successe Hannes Meyer, ma fu costretto a rinunciare in capo a due anni in seguito a conflitti col comune. Prese allora la direzione della scuola Mies van der Rohe, fino alla sua destituzione da parte del governo nazionalsocialista della Sassonia nel 1932. Per alcuni mesi il B si trasferí a Berlino, ma nel 1933 venne definitivamente chiuso dalle autorità naziste. L’edificio di Dessau divenne una scuola di gerarchi nazisti. Malgrado questo crollo, il B toccò l’apogeo della sua influenza dopo il 1933. Infatti, l’esilio di un gran numero di maestri e di allievi doveva diffonderne notevolmente le idee, tanto che l’attuale didattica artistica e architettonica è ancora assai largamente tributaria del suo esempio e delle sue esperienze. Gli Stati Uniti sono stati i primi ad approfittarne; vi si rifugiarono Gropius, Feininger, Mies van der Rohe, Moholy-Nagy, e quest’ultimo fondò a Chicago nel 1937 il New Bauhaus, che diresse fino alla sua morte nel 1946. Certo, le posizioni originali di Gropius erano ancora impregnate d’idealismo romantico e in quanto tali furono – e sono tuttora – contestate; ma egli è stato il solo, con il prezioso aiuto di un gruppo di collaboratori senza pari, ad aver realizzato un’impresa la cui eccezionale ricchezza creativa non ha precedenti se non nelle botteghe del Rinascimento. A Berlino Ovest, il Bauhaus-Archiv, Museum für Gestaltung, progettato da Walter Gropius, si è dato il compito di conservare e diffondere i lavori del B e dei movimenti ad esso apparentati.