Di famiglia agiata, Antonio Delfini partecipò giovanissimo alla marcia su Roma ma poi prese le distanze dal regime fascista; si dichiarò a favore della monarchia nel referendum del 1946 ed espose una posizione politica singolare nel Manifesto per un partito conservatore e comunista in Italia (1951).
Pubblicò sulla rivista “Oggi” i suoi primi racconti, poi entrati a far parte della raccolta Il ricordo della Basca (1938), ripubblicata nel 1956 con un’importante Introduzione autobiografica. Dal 1935 diresse la rivista “Caratteri”, che vide tra i collaboratori Eugenio Montale, Alberto Moravia, Arrigo Benedetti e Mario Pannunzio. Prova di scrittura automatica surrealista fu il romanzo breve Il fanalino della Battimonda (1940), confluito nel 1957 nella raccolta La Rosina perduta. Le altre sue pubblicazioni in prosa sono Misa Bovetti e altre cronache (1960) e Modena 1831 città della Chartreuse (1962). Considerate di minor rilievo sono le Poesie della fine del mondo (1961), unica sua raccolta in versi. Nell’anno della scomparsa vinse con I racconti il premio Viareggio.
Postumi sono stati pubblicati i Diari. 1927-1961, preziosa testimonianza del particolare intreccio fra letteratura e vita che caratterizza la sua opera, del suo atteggiamento antiletterario e per contro del suo esibizionismo, della ricerca della spontaneità e dell’impossibilità di sottrarsi a una visione deformante della realtà. Di volta in volta definito surrealista o crepuscolare, il rapporto di Delfini con la letteratura risulta appassionatamente contraddittorio e comunque difficile da ricondurre a posizioni canoniche.
I Racconti di Delfini
Opera postuma di Antonio Delfini (1907-1963), pubblicata a Milano nel 1963. Comprende come nucleo essenziale Il ricordo della Basca, un gruppo di dieci racconti editi a Firenze nel 1938, a cui si aggiungono “Una storia”, che costituì la lunga prefazione-introduzione alla ristampa di Il ricordo della Basca, dieci racconti e una storia apparsa a Pisa nel 1956, e un altro racconto lungo, “Il 10 giugno 1918”, uno degli ultimi scritti del poeta e narratore modenese.
I racconti che formano Il ricordo della Basca raccolgono scorci e ritratti di vita e di personaggi di provincia, ambientati in una città che è facile riconoscere per Modena. Sono vicende molto semplici, quasi aneddoti: l’amore della modista per il bell’Arturo, che scompare, di colpo, un giorno, senza lasciare, traccia (“La modista”); la biografia di un disgraziato maestro di musica, di ricca famiglia decaduta, ridottosi a condurre vita equivoca, fra smodate ambizioni di successo e una tragica decadenza fisica e morale (“Il maestro”); la figura dell’imbroglione di gran classe, che per stupire una sera i suoi concittadini confessa le sue truffe, e finisce denunciato da un’anonima spia (“Il contrabbandiere”); la vicenda patetica di due fratelli, uno avvocato, l’altra ballerina, entrambi falliti (“La sorella ballerina”); i ricordi di una ragazza a cui è scomparso l’amante; vaghi pensieri d’amore o incontri fuggevoli, per le vie della solita città di provincia. (“L’ultimo giorno della gioventù” e “Un anno dopo”).
Maggiore complessità ha il lungo monologo “Il fidanzato”, che rappresenta il primo tentativo di quella specie di autobiografia che è affidata a “Una storia” e ha un suo incanto nella rievocazione di un’esistenza di incertezze sentimentali, di ondeggiamenti, di perpetue ambiguità; e, ancor più, “Il ricordo della Basca”, che è una memoria d’infanzia, di un amore infantile, straziantemente liricizzato, ma con una punta di disperazione che lo salva dallo scomparire nella gran massa della letteratura memoriale degli anni trenta.
E memoria d’infanzia è pure la misura di “Un libro introvabile”, che rievoca il viaggio in treno di un bambino e della madre con un ufficiale convalescente, durante la prima guerra mondiale, tutto intriso di romanticismo, ma anche punteggiato dalla descrizione dell’esperienza che il ragazzo acquista attraverso l’incontro; e di “Il 10 giugno 1918”, pieno, sì, delle avventure infantili, di giochi e di movimenti nell’euforia abbandonata e incosciente, ma anche percorso da un senso tragico dell’esistenza, dai segni del dolore, che, come attraverso una sequenza di stati onirici, si imprimono nell’animo del bambino.
Poi, c’è la lunga autobiografia di “Una storia”: che è un documento estremamente interessante per intendere la solitudine di D. nella sua provincia, il fondo di chiusura culturale che è nella sua esperienza di scrittore, il romanticismo delle storie amorose che si possono ritrovare qui e verificare poi nei racconti, dove sono riportati gli stessi personaggi di una minore esistenza modenese, di un’avventurosità provinciale troppo spesso scambiante la rivolta con lo schiamazzo, la beffa, il colore o l’illusione locale.