La poesia per musica (nel senso stretto del termine: la poesia destinata dall’origine a ricevere un’interpretazione musicale) è solo un aspetto unilaterale del più complesso rapporto parola-musica che percorre l’intera storia della poesia, occidentale e non. Data la scarsa attenzione in genere prestata al dato «uditivo» insito nel discorso poetico, la moderna cultura letteraria incentrata sull’asse scrittura/lettura è di solito portata a considerare la parte «vocale» di un componimento poetico-musicale come un accessorio poco rilevante ai fini dell’identità estetica dell’oggetto poetico, e utile tutt’al più alla storia della sua ricezione (prova ne siano per es. le raccolte di poesia popolare limitate ai testi, mutilati delle melodie che, nel contesto originario, ne formano il necessario complemento). Viceversa, nei casi in cui la responsabilità estetica viene posta sul versante musicale, il testo poetico tende a essere guardato come un «pre-testo», di natura meramente funzionale. Questo approccio unilaterale al problema dipende in parte dal fatto che i termini del rapporto parola-musica sono stati storicamente formulati all’interno di teorie, letterarie e musicali, che hanno sempre privilegiato gli aspetti logistici del linguaggio rispetto a quelli fonico-espressivi (che sono, appunto, quelli propri dell’intersezione fra piano verbale e musicale). Ne sono un esempio la «dottrina degli affetti» (Affektenlehre) e il principio estetico dell’«imitazione» nella teoria musicale dei secoli XVII e XVIII, per i quali il rapporto con la parola si tradurrebbe in musica nella pura mimesi dei contenuti emotivi espressi dal testo (J. Mattheson, Il perfetto maestro di cappella, Der Vollkommene Capellmeister 1739; J.A. Scheibe, Sull’origine e l’antichità della musica, Abhandlung vom Ursprunge und Alterer der Musik, 1754), secondo una prospettiva simmetrica e complementare alla concezione etico-razionalistica della letteratura nello stesso periodo.
Per contro, nell’estetica romantica dell’autonomia espressiva della musica, la traducibilità musicale di un testo viene ridotta al piano di una generica Stimmung, di un approssimativo clima espressivo (Hegel, Estetica, 1817-29), oppure drasticamente negata nell’assunto «formalistico» di una musica autosufficiente e priva di riferimenti e significati esterni (E. Hanslick, Del bello musicale, Vom Musikalisch-Schònen, 1854, in prospettiva «neoclassicista»; B. de Schloezer, Introduzione a J.S. Bach, Introduction à J.S. Bach, 1947).
In anni più recenti, contributi a una migliore comprensione della complessità del rapporto parola-musica sono venuti dallo strutturalismo e dalla semiologia, con lo studio dei processi di interazione dialettica fra sistemi di significazione diversi (A. Moles, Teoria dell’informazione e percezione estetica, Théorie de l’information et perception esthétique, 1968; N. Ruwet, Linguaggio, musica, poesia, Langage, musique, poesie, 1972), e in campo letterario da una nuova attenzione alla funzione dell’«oralità» e alla «presenza della voce» implicata nel testo poetico (P. Zumthor, La presenza della voce, 1983; C. Bologna, Flatus votis. Metafisica e antropologia della voce, 1992). Ma un più radicale ripensamento di tutta la questione in un quadro concettuale più ampio di quello derivato dall’esperienza occidentale si deve soprattutto all’etnomusicologia e all’antropologia culturale (M. Schneider, Gli animali simbolici e la loro origine musicale; EI origen musical de los animales-simbolos, 1946. C. Lévi-Strauss, Antropologia strutturale, Anthropologie strutturale, 1958; A. Merriam, Antropologia della musica, Anthropology of Music, 1964), che hanno mostrato come il rapporto parola-musica si ponga in termini diversi da cultura a cultura, e sia condizionato a livello profondo dall’attitudine di ciascuna cultura verso la propria lingua (specie in quelle lingue che non conoscono una netta distinzione fra il parlare e il cantare).
Pur nell’estrema varietà delle formulazioni, una possibile distinzione di ordine generale è quella che considera il «livello» in cui elementi del linguaggio verbale acquistano rilevanza musicale e influenzano la configurazione del canto. Si può infatti distinguere fra il livello delle unità fonetiche e prosodiche di base (intonazione delle sillabe, struttura fonica e dinamica delle parole, accentazione ecc.) e il livello delle unità strutturali maggiori (struttura metrica, articolazione fraseologica, versi ecc.). Il primo caso si riferisce soprattutto alle lingue cosiddette «intonate» (come molti idiomi orientali, fra cui il cinese, e alcuni africani), nelle quali il significato dei vocaboli dipende dall’altezza e dal tipo di intonazione con cui si pronunciano le sillabe, per cui il profilo melodico del canto risulta «generato» dalle parole del testo. Sebbene in forme più libere, anche in Occidente una certa subordinazione della melodia alla parola caratterizza in genere il canto popolare rispetto alle melodie vocali «colte», assai meno dipendenti dal parlato (e perciò aperte a una maggiore varietà di formule).
Quanto al secondo caso, è interessante notare come la musica adatti dalla poesia e dal discorso verbale vari principi di coerenza formale e figure sintattiche (verso, strofa, frase, periodo, anafore, incisi, ellissi ecc.). Questo fatto non va inteso come il segno di una maggiore antichità della poesia rispetto alla musica, ma come una traccia del modo in cui la poesia ha esercitato durante i secoli una funzione di modello, un ruolo strutturante (e istituzionalizzante) nei confronti della musica, sempre tuttavia nel contesto del reciproco ricercarsi e convergere dei due linguaggi: nella continua tensione della lingua a farsi suono e della musica ad assimilare la «spiritualità della parola» (S. Kierkegaard). Come ha osservato N. Ruwet, di molti costrutti formali della musica e della poesia, specie di quelli basati sulla dialettica della reiteratio, del cambiamento, del ritorno ciclico (le forme strofiche, il principio del ritornello ecc.), sarebbe difficile immaginare uno sviluppo fuori dell’interazione fra i due sistemi. Di tale interazione rimangono indizi, del resto, nei più arcaici dei nomi di forme poetiche, quasi tutti provenienti dalla sfera del suono e del canto (lirica, elegia, ode, salmo, canzone, sonetto ecc.) o della danza (coro, ballata, rondeau).
Al di là di discutibili questioni di priorità, il rapporto poesia-musica è forse da considerarsi come il punto di intersezione o di equilibrio – continuamente mutevole –fra due sistemi che, a partire da una base comune (la sostanza sonora, sviluppata discorsivamente nel tempo), sono sottesi da forze che tendono in direzione opposta: la subordinazione degli elementi prosodici e sintattici alla significazione lessicale (il linguaggio poetico-verbale), e lo sviluppo di quegli stessi elementi su un piano di significazione assoluta, la musica.