Lo strutturalismo americano distribuzionalista domina fino agli anni Cinquanta ed ha risonanza in Europa, ma la reazione non tardò a venire e il principale interprete è Noam Chomsky, linguista statunitense tuttora vivente. Il suo primo lavoro è del 1957 “sintactical structures”, poi nel 1965 “aspetti della teoria della sintassi”, e nel 1966 “linguistica cartesiana”; già dai titoli si capisce lo spostamento sul piano sintattico e il termine cartesiana riporta ad un’impostazione non più dall’esterno ma dall’interno. Egli osserva che qualunque bambino impara la lingua del posto dove è nato o comunque la lingua parlata intorno, abbiamo un meccanismo umano che ci predispone ad imparare qualsiasi lingua per quanto le diversità siano enormi le une dalle altre (pensa alle lingue isolanti che non aggregano elementi come le flessive). Dal punto di vista biologico tutti abbiamo lo stesso cervello, per questo studioso per le lingue è lo stesso che per la posizione eretta o altro, anche quello dell’apprendimento delle lingue è un meccanismo biologico. Osserva poi che ciascuno può produrre infinite frasi, e che possiamo dare un giudizio di grammaticalità o agrammaticalità su una frase anche se non l’abbiamo mai sentita prima; dobbiamo avere una serie di caratteristiche comuni e presenti fin dall’inizio, regole di organizzazione superficiale. Secondo lo studioso l’uomo ha un componente biologico che lo rende capace di utilizzare questo strumento del linguaggio, apprenderlo e produrre frasi infinite.
Esisterebbe una struttura profonda che ad esempio coincide con la frase assertiva attiva, che una volta presente può portare a produrre frasi infinite con una regola di trasformazione (se vuoi ottenere la frase negativa attiva devi inserire una negazione preverbale; se vuoi l’interrogativa usi una diversa curva prosodica). Egli è l’iniziatore della grammatica generativo-trasformazionale, nome che dà idea di entrambi i passaggi: generativa perché basta la struttura profonda (svo ad esempio) e non serve conoscere tutte le frasi dell’italiano, trasformazionale perché studia le trasformazioni che portano dalla struttura profonda a quella superficiale per usare correttamente la lingua. L’accento è fortemente posto sulla sintassi e fu questa una delle prime critiche a questa grammatica, deve esistere anche una componente semantica nel giudizio di grammaticalità o agrammaticalità delle frasi (pensa ai verbi che selezionano il tratto + umano). Nei successivi sviluppi si perse l’attributo generativa e rimase la grammatica trasformazionale, lo studioso ha cercato di integrare queste critiche nella sua teoria semplificandola e raffinandola; tuttavia questa teoria studia la lingua senza tener conto del parlante, egli prende come riferimento un parlante ideale con competenze ideali in una situazione di comunicazione ideale. Questa teoria è forse influenzata dallo sviluppo dei linguaggi formali legati all’informatica (?), si tentò di far tradurre il computer con risultati scarsissimi; alla base c’era ancora la ricerca di oggettività e scientificità.