Se pensiamo ad Elena la associamo ai temi della bellezza e della colpevolezza per le vicende della guerra di Troia. Della bellezza si parla nell’Encomio di Gorgia 4, ella ottenne e accolse senza ritegno la bellezza e suscitò amore in molti eroi. Elena ha bellezza pari agli dei e la bellezza ha una forza distruttiva che porta sofferenza ai Frigi e ai loro figli (Iliade III), i capi dei Troiani vorrebbero inviarla ai Greci sulle navi perché portatrice di sventure; Priamo invece ritiene responsabili gli dei. Si uniscono lessico della bellezza e del dolore che oltre all’epica si accompagnano al nome di Elena anche nel teatro del V secolo; il dolore è o dei Frigi o dei Greci i quali entrambi hanno sofferto per questa guerra.
Elena nel teatro greco, per ciò che ci è rimasto, compare in Euripide, personaggio nelle Troiane nell’Oreste e protagonista nell’Elena ma è citata in svariate altre tragedie. L’attributo della bellezza è condiviso da Elena e Alessandro, Paride, giovane con aspetto pari a un dio., La bellezza di Elena è offerta come premio a Paride da Cipride per ottenere la palma di più bella, ma ella stessa fu sciolta dal piacere per la vista del corpo di Alessandro (Gorgia); Gorgia adduce come giustificazione dell’innocenza di Elena quest’attrazione per il corpo di Alessandro, alla pari della forza dell’amore mette volontà del fato, forza della persuasione, rapimento. C’è quindi rapporto di reciprocità tra Elena e Alessandro, in Gorgia l’innamoramento è portato come prova a giustificazione di Elena ma nelle Troiane diviene un capo d’accusa: Ecuba, nell’agone con Elena alla presenza di Menelao, le rinfaccia di aver perso la ragione per amore perché suo figlio era bellissimo. Ella accusa Elena di frenesia erotica che le ha fatto abbandonare la patria che si sposa con cupidigia e amore per il lusso, tema che ritorna nell’Oreste. Queste osservazioni si trovano anche nel Ciclope, il coro dei satiri racconta a Odisseo la vicenda di Elena come in preda a frenesia erotica e amore per l’aspetto di Paride, fu questo desiderio ad indurla ad una fuga volontaria da Sparta. Non sarebbe quindi la bellezza di Elena una merce di scambio tra Paride e Afrodite: Io sono stata venduta per la mia bellezza e la mia vita è stata rovinata, si accostano il verbo vendere e essere rovinati, iunctura che compare anche in Filottete quando l’eroe scopre di essere ingannato da Neottolemo. Elena difende quindi la tesi che la fuga non è stata una sua scelta ma risultato di transazione commerciale e tradimento. L’affermazione della bellezza come sventura è anche in altre tragedie: nelle Trachinie Deianira compiange l’amara sorte della bella Iole divenuta schiava di Eracle che si era innamorato di lei al punto di muovere guerra alla sua patria; la bellezza come sventura ha una sua concretezza e dignità. Nelle Troiane, quando Elena dice Sono stata sventurata per la bellezza, suona falsa perché si serve della bellezza stessa per sedurre il marito, con un atteggiamento impudente perché si muove in uno scenario di distruzione e morte da lei stessa creato. Nelle Troiane si attende Elena come prigioniera, ci si aspetta che arrivi dimessa e non ben vestita, mentre lei si presenta in tutta la sua bellezza, esercita un tale fascino da ridurre Menelao al rango di bestia. Lo sappiamo dai versi dell’Andromaca dove Peleo, nell’affrontare Menelao che vuole uccidere Andromaca concubina di Neottolemo, arriva in scena per fermare Menelao e lo insulta chiamandolo vile e lo accusa di essersi arreso vergognosamente di fronte alla moglie che gli mostrava la sua bellezza. La bellezza è quindi deprecata a parole e utilizzata di fatto da Elena; nell’Oreste, quando è rientrata in patria, all’inizio ha un dialogo con Elettra e chiede di portare le offerte sulla tomba di Clitennestra e lei, per fare omaggio alla sorella, taglia un ricciolo dei suoi capelli ma solo nella punta per non rovinare la sua bellezza. Nella stessa tragedia troviamo notizia della sua passione per il lusso: quando Oreste e Pilade fanno irruzione nella reggia per ucciderla la trovano a lavorare la porpora, vestita elegantemente e mentre fugge calza un sandalo d’oro; lavora il bene che ha portato da Troia e si circonda di un lusso tipicamente orientale, ha intorno anche schiavi addetti ai profumi. L’immagine è simile a quella del IV libro dell’Odissea pur con atmosfera diversa. In Euripide, anche a distanza di tempo, si insegue questo tema del lusso, della bellezza, nell’Elena questi temi sono rovesciati. Euripide manipola il mito in modo originale, ha messo in scena la figura dell’adultera per eccellenza come se fosse un’altra Penelope, savia e onesta, Aristofane lo riconosce e parla di nuova Elena. La figura di Elena innocente proviene da Stesicoro ed Esiodo, ma come prende forma sulla scena la nuova Elena? All’inizio è supplice sulla tomba di Proteo e rivela ciò che è accaduto, che a Troia c’era una sua immagine, e ciò ha forte impatto sul pubblico; vengono rovesciati i suoi difetti, egoismo, spudoratezza, avidità, poliandria. È una donna che per diciassette anni attende il marito senza sapere se potrà arrivare e si rifugia supplice su una tomba per sfuggire alle profferte di un giovane re che può darle ricchezza e posizione. Nel prologo Elena depreca la sua bellezza ma suona diversamente dalle Troiane, in questo caso è una disperazione sincera ed Elena è disposta a cancellare la sua bellezza, sfigurarsi per recitare la parte della vedova affranta davanti a Teoclimeno. Elena arriva a dire che è meglio essere trasformata in fiera come Callisto che sentirsi responsabile di tante sciagure, scompare il suo egoismo. Anche qui come in altre tragedie, Ifigenia in Tauride, è la donna che conduce le scene ed è lei ad escogitare la falsa morte del marito e il falso funerale, laddove Menelao non ha piani attuabili da proporre. Teoclimeno rimane colpito dall’aspetto diverso di Elena, il gioco di Elena è la negazione della propria bellezza come arma di seduzione, usa la non bellezza per convincere Teoclimeno della veridicità della storia che gli ha raccontato. In questo nuovo personaggio compare l’Elena della tradizione, è malizioso e gioca anche sul tasto dell’erotismo davanti a Teoclimeno; la vecchia Elena non scompare, gli spettatori non l’avrebbero accettato. Elena si rivolge a Teoclimeno al suo ingresso in scena come Mio signore, scelto con astuzia a indicare una resa totale, ribadita dalla gestualità della supplice che si getta ai suoi piedi tendendo verso di lui le candide braccia. Al momento della fuga Elena che vuole partire con Menelao lo apostrofa come nuovo sposo, egli vorrebbe trattenerla ma Elena gli promette la sua riconoscenza (charis). Ci sono alcune attestazioni (Donne a parlamento, Iliade) di charis con significato sessuale, è termine connotato e crea gioco erotico sottile; lo stesso Teoclimeno aveva prospettato la necessità di uno scambio di favori, prima che Elena gli prometta questa riconoscenza aveva utilizzato per questo proprio il termine charis. Elena esplica questo potere seduttivo anche con Menelao e gli fa credere di aver subito violenza da parte del re: quando riconosce il marito cerca di dimostrare la sua innocenza, ma pone dubbi sull’esperienza egizia ed afferma di dover subire le violenze del re. Anche nella parodia aristofanea all’interno delle tesmoforiazuse Euripide travestito da Elena afferma una violenza che non c’è stata, Elena insinua il dubbio nella mente di Menelao e per questo gioco sottile Euripide fa balenare accanto alla nuova Elena il personaggio della tradizione. La bellezza, comunque sia vissuta e rappresentata dal personaggio, resiste fino al tempo di Ovidio dove Elena vede sfaldata la sua bellezza. Nel mondo greco Luciano testimonia un’Elena anziana e differente dalla tradizione. In Luciano si parla di Elena nella Storia vera, Elena è nell’isola dei beati con il marito Menelao e si innamora di un giovane bellissimo il quale si era del pari innamorato di lei; era una more impossibile ma Cinira decide di rapire Elena con il suo consenso e fuggire in una delle isole vicine e il piano fu attuato. Menelao però si sveglia verso mezzanotte e con il fratello andò dal re Bradamanto, ironia sul fatto che ha sempre bisogno di una spalla. Fece inseguire i due amanti e li intercettò poco prima che potessero scappare, Cinira è sottoposto a giudizio e punito, la fine è tragicomica con Elena che versa calde lacrime e lamenta il fatto di essere stata rapita due volte. Nel dialogo tra un ciabattino e il gallo abbiamo la rappresentazione di un’Elena anziana e dal collo lungo, la sua bellezza non era certo straordinaria: aveva carnagione pallida e collo lungo. Nei dialoghi dei morti Menippo ed Ermes cercano i belli e le belle, divenuti ossa e crani scarnificati più o meno simili tra loro, ciò di cui i poeti dicono meraviglie. Menippo si chiede come fecero gli Achei a non capire che si affannavano per qualcosa di così effimero e rapido a sfiorire.
Elena è uno dei personaggi ripresi in modo più poetico e riuscito da Rizos, autore del XX secolo. Egli ebbe una vita difficile e piena di sventure, per la sua ideologia comunista rischiò di essere internato ma poiché aveva contratto la tubercolosi evitò il campo di concentramento. La sua fu una vita di grande sofferenza che non poteva non lasciare impronta nel carattere del poeta (1909-1990); l’Elena fu composta nel 1970 parte di una raccolta intitolata La quarta dimensione scritta nell’arco di dieci anni. In 17 monologhi i personaggi dell’antichità classica vengono riletti in modo moderno e penetrante; Elena è qui presentata vecchia in prossimità della morte e va a trovarla un suo passato amante, interlocutore muto. Si ha in tutto l’ambiente in cui si svolge il monologo un disfacimento generale che coinvolge anche la sua persona, ingobbita e vecchia, diversa da come ce la si aspetta. Elena nel mito è padrona assoluta del logos nella versione negativa delle Troiane e in quella virtuosa dell’Elena; qui sta per scordarsi le parole perché vede pochissime persone, ha perso anche l’arma del logos. Rizos usa sacchi di farina come metafora della vita, tutto è vuoto ma noi lo riempivamo di crusca per dargli una forma. Il vuoto, l’inutilità di tutto ciò per cui si combatte che si sfalda per lasciare posto al nulla percorre questo monologo, così come un mondo di vivi popolato di morti. Nell’Ifigenia di Rizos torna l’immagine dei sacchi di farina che in quel caso si riempiono di acqua perché piove e la farina si impasta diventando inutile. In questa pseudo vita i morti restano e ci accompagnano, il mondo anzi porta già i segni della morte. Elena, abituata ad essere regina e venerata a Troia e nel ritorno a Sparta, donna di grande dignità, è una vecchia in balia delle ancelle giovani, dispettose, irriverenti che se chiama non accorrono, non la soccorrono nel bisogno e la scherniscono. Elena è di una bruttezza infinita, ma in questa descrizione con peli ispidi sul volto e capelli ormai non più curati, ritorna il ricordo del passato, quel momento citato nel III libro dell’Iliade quando compare sulle mura di Troia davanti ai capi dei troiani durante il duello tra i suoi due contendenti, bella e intatta. Ella allora si aspettava un segno di ostilità dai guerrieri ma sapeva che non avrebbero osato scagliare frecce contro la sua bellezza che faceva tremar loro le mani; allora non temeva la morte perché le sembrava lontanissima.
Nota sul doppio di Elena: la sua immagine ha qualcosa di pirandelliano, è ciò che vedono gli altri. Questo è il primo doppio, Euripide fonda un tema che sarà sviluppato da Plauto e avrà lunghissima storia da Shakespeare a Stevenson. Infinito è anche il tema della vista che inganna, della falsità delle sensazioni che cela il problema del relativismo e della sofistica.