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Spesso nella pratica didattica la poesia si vede ma non c’è. Volto in prosa mediante stentate parafrasi, frutto di un diffuso pregiudizio contenutistico, sezionato senza tregua dagli strumenti esplicativi propri dei manuali scolastici, il testo poetico diviene un accessorio un po’ strano e fastidioso da cui si può tranquillamente prescindere o a cui conviene rapportarsi sulla base di una comoda passività. «L’introduzione diceva Calvino-l’apparato critico, la bibliografia vengono usati come una cortina fumogena per nascondere quel che il testo ha da dire e che può dire solo se lo si lascia parlare senza intermediari che pretendono di saperne più di lui» (l). Dobbiamo allora affidarci alla spontaneità emotiva, alla lettura ingenua? Tutt’altro: il lettore può misurarsi attivamente col testo poetico e ascoltare ciò che esso ha da dire solo se è in grado di «scoprire… / il filo da disbrogliare / che finalmente ci metta nel mezzo di una verità» (2). Il filo spesso è nascosto e va cercato nella parola, o meglio nel sovrasenso che la parola acquista in poesia.
L’osservazione del verso
Per avviare i giovani lettori a compiere tale ricerca sono solito, all’inizio del primo anno del Triennio, presentare agli studenti alcune poesie di epoche e di autori differenti (ad esempio, nel caso in esame, testi di Tasso, Foscolo, Pascoli, Ungaretti e Montale) e li invito a leggerle attentamente per circa un quarto d’ora. Poi chiedo che cosa trovino, in tutti quei testi, che giustifichi la comune definizione di poesia. Le risposte sono varie: alcune tautologiche, altre, più interessanti, che ruotano attorno al verso e all’uso che viene fatto delle parole. Il verso, osservano, rivela che le parole hanno valore non solo come portatrici di significato, ma anche come un insieme di sillabe, cioè di suoni parziali, che in alcuni casi assumono rilevanza fondamentale (le rime, le assonanze, le consonanze ecc.); inoltre attraverso la successione degli accenti si determina una certa musicalità, che lega tra loro parole e versi. Per verificare tutto ciò (e combattere l’opinione che la poesia sia il risultato di parole difficili) si scelgono alcuni versi formati da parole assolutamente normali, come i seguenti del Tasso: «E ne la notte bruna / alto silenzio fa la bianca luna». Gli studenti vengono sollecitati a notare tutta una serie di elementi, come ad esempio:
a) una forte allitterazione in -1- (-r-);
b) una corrispondente allitterazione in -n- (alcuni ragazzi osservano che entrambe le serie di allitterazioni esprimono un senso di serenità e di pacatezza);
c) la corrispondenza tra /ne la/ e /fa la/;
d) il chiasmo /notte bruna/ – /bianca luna/ (queste strutture, mi dicono, comunicano un senso di equilibrio e rivelano l’armonia della natura).
Viene notato inoltre che “alto” produce un effetto di verticalizzazione che ben si collega con l’immagine della luna e che il suono della parola “silenzio”, valorizzata dall’accento tonico, dalla doppia allitterazione e dalla cesura che la segue immediatamente, si riverbera sul verso e su tutto il testo.
Si giunge così a un primo risultato: si comprende che il sovrasenso della parola riguarda sia il significante che il significato, che presentano, in poesia, una sfasatura molto fertile: il significante svolge delle funzioni indipendentemente dal significato e il significato assume un valore più ampio di quello che normalmente viene attribuito a quel significante. La ricchezza del significante trae origine dalla sua funzione fonetica che viene esaltata dal ricorso a rime, assonanze, allitterazioni. Ma negli esempi proposti gli studenti possono cogliere anche altre particolarità dell’uso del suono dell’espressione verbale:
a) le “parole nascoste”, cioè parole con significato compiuto inserite come semplici sillabe in termini con altro significato; ad esempio le parole “onde” e “acque”, proprie dell’area semantica dell’isola, concludono i primi otto versi del sonetto “A Zacinto” del Foscolo. Le parole nascoste spesso hanno un grande valore per individuare il “filo”;
b) il fonosimbolismo, in cui parti minori di parola non esprimono un significato compiuto ma ugualmente, grazie all’evocazione subliminale che producono attraverso il suono, trasmettono sensazioni, stati d’animo, ecc. Gli esempi sono numerosissimi: anche solo ne “L’assiuolo” di Pascoli si può andare dal fonosimbolismo di valore positivo di «sentivo il cullare del mare» (3) all’altro, in -ù-, evocatore di morte, o infine a quello, decisamente angosciante, determinato dalla sequenza di consonanti raddoppiate spesso unite alla vocale -i- («Squassavano le cavallette / finissimi sistri d’argento / tintinni a invisibili porte …»).
La scoperta della parola poetica
Gli studenti, colpiti dalla percezione di questi aspetti della poesia, solitamente obiettano: ma se i poeti veramente pensano a tutte queste cose quando scrivono, dove sta la spontaneità della poesia? E non si rischia, con questo metodo, di perdersi in una selva di particolari tecnici minuti, ininfluenti per la comprensione del testo? Alla prima obiezione è facile rispondere: tutti i testi poetici sono frutto di un lungo e complesso lavoro di stesura, di varianti, di lima. Un esempio molto significativo e facilmente reperibile sui testi scolastici è fornito da “Fratelli” di Ungaretti (4). Ma l’altra non può essere soddisfatta se non ricordando che finora abbiamo esaminato solo la strabiliante ricchezza del significante e non ancora l’inesauribile ampliamento del significato.
Un richiamo al duplice valore, denotativo e connotativo, della parola introduce il secondo argomento e permette di far riferimento al linguaggio metaforico. La metafora impone al lettore un’opera di esplicitazione semantica, il cui obiettivo non può essere però quello di stabilire un significato univoco, ma di impostare dei percorsi coerenti. Ad esempio leggiamo i versi pascoliani: «Ed ergersi il mandorlo e il melo / parevano a meglio vederla».
Prestando attenzione al fonosimbolismo caratterizzato dalla presenza di numerosi nessi consonantici, tra cui spesso compare la -r- seguita da un’altra consonante (-erg-; -ers-; -orl-; -erl-) possiamo cogliere lo sforzo della tensione verso l’alto, quasi un doloroso avvitamento verso un desiderio ancora ignoto.
Dalla metafora, con lo stesso procedimento, possiamo passare ad altre figure retoriche: al chiasmo, ad esempio. così frequente e rivelatore, o alla sineddoche, o ancora all’antonomasia, all’ossimoro, alla sinestesia. Non si tratta di un esercizio erudito, ma di un utile allenamento per comprendere come in una poesia la parola acquisti una particolare valenza espressiva proprio perché viene utilizzata in nessi particolari, capaci di esaltarne le possibilità evocative dilatandone il significato fino quasi a farne sparire i contorni logici, razionali, controllabili.
L’ampiezza del significato della parola si manifesta sia lungo l’asse sincronico (tramite l’espansione dell’area connotativa si stabilisce un rapporto tra parole, espressioni, concetti anche molto distanti tra loro nel significato iniziale) sia lungo la linea diacronica, grazie alle sottili connessioni con l’insieme della tradizione letteraria, legami che si creano attraverso i meccanismi della memoria poetica volontaria e involontaria. Ad esempio il verso di Montale «l’acqua sale alla luce e vi si fonde» presenta in posizione forte (primo termine e ultima “parola nascosta”) il gioco simbolico “l’acqua – onde” presente nel sonetto “A Zacinto” e con ciò ci trasporta nel mondo ideale e perfetto dell’isola-infanzia foscoliana. Le citazioni dirette e indirette sono indizi del “filo” da non trascurare mai.
Presa consapevolezza dell’importanza dei segnali espressi dal significante e del carattere vasto e indeterminato della parola poetica, lo studente sarà in grado di pervenire al centro della questione, che consiste nell’insieme dei rapporti analogici; una lettura può essere fruttuosamente collaborativa se è in grado di elaborare ipotesi di “saturazione” delle aperture analogiche.
L’esempio per guidare la classe a comprendere questi concetti può essere tratto da una lettura anche parziale della poesia “Fratelli” di Ungaretti.
«Di che reggimento siete / fratelli?».
La differenza semantica tra le parole “reggimento” e “fratelli”, la prima dura, burocratica, appartenente all’area concettuale della guerra, l’altra evocatrice di pace e vita, suscita, per analogia, la seconda breve strofa: «Parola tremante / nella notte», in cui l’ambito della vita (“parola tremante”, espansione appositiva di “fratelli” appare in tutta la sua debolezza, assorbita dalla negatività compatta della notte. Ma il cerchio analogico non si chiude: anzi, il termine “tremante” si sviluppa efficacemente nel terzo passaggio «Foglia appena nata», in cui la dimensione vitale si manifesta non solo nella sua precarietà, ma anche come istinto insopprimibile nella sua necessità naturale.
Siamo a metà della poesia e abbiamo raggiunto il culmine della tensione analogica. I quattro versi seguenti sono volutamente più esplicativi (lo dimostra anche una maggiore continuità sintattica) e riportano la metafora centrale a ricongiungersi con lo spunto iniziale: la parola “fratelli”. Si può anche far notare come l’unica rima della poesia (“tremante-spasimante”) formi un chiasma («tremante nella notte / nell’aria spasimante») che incornicia e sottolinea il verso centrale isolato, o che l’allitterazione finale “fragilità – fratelli” indichi il profondo nesso tra il senso di precarietà e il bisogno di solidarietà; infine, come la presenza nella parola “involontaria” delle stesse sillabe, ma in ordine turbato, del termine “rivolta” rafforzi il senso istintuale, pre-razionale, subconscio della ribellione all’autodistruzione.
Un esempio di analisi
Siamo arrivati alla fine del nostro percorso e incomincia l’esercizio da parte dei ragazzi. Naturalmente le prime letture saranno rigide, più volte alla ricerca e all’elencazione dei diversi elementi che al loro utilizzo consapevole. Ma perché il lavoro non si inaridisca mi sembra che sia conveniente fornire agli studenti degli esempi che possano servire come conferma a ciò che hanno compreso sul piano teorico e offrire un modello di metodo. In conclusione potremmo esaminare e commentare la poesia di Montale “Cigola la carrucola …”, in cui la struttura suggerisce un concetto guida: la specularità. La superficie specchiante, che nella poesia è rappresentata dal verso 5 («Accosto il volto a evanescenti labbri»), è costituita dall’acqua pura, tersa, trasparente: è lo specchio di Narciso. In esso, l’Io contempla la propria immagine e di essa si innamora. Il processo avviene per tappe scandite dal succedersi dei versi. In primo luogo vi è il recupero memoriale, faticoso e incerto: assonanze e allitterazioni danno un tono quasi ripetitivo a tutto il primo verso: “Cigola la carrucola…, mentre le due coppie di doppie (-rr-, ozzo ) indicano lo sforzo necessario per compiere l’operazione, sforzo compensato dalla erompente musicalità del secondo verso, quasi completamente bisillabico e piano. Poi il tremore: ci richiama la natura della superficie specchiante e introduce l’attesa del miracolo. Questi significati si esplicitano nei due versi successivi, tra i quali la connessione è profonda: vi è un chiasma tra la prima metà del terzo e la seconda del quarto («Trema un ricordo / un’immagine ride») e un isocolon tra le altre due parti («… nel ricolmo secchio / nel puro cerchio …»), una rima interna nascosta in ricolmo / ricordo, una quasi rima interna “secchio / cerchio”. Tutto ciò indica che i due valori, l’acqua e il miracolo, cioè il ricupero della propria immagine, della propria giovinezza, sono fortemente connessi tra loro, perché l’acqua è in Montale il più evidente simbolo di vita.
Il gesto di Narciso, l’errore che «accese amor tra l’omo e il fonte» (5) è provocato dal desiderio di totalità, di unire cioè se stesso determinato, adulto, alla strabiliante ricchezza della giovinezza indeterminata, “evanescente”, in cui «Norma non v’era, / solco fisso, confronto, / a sceverare gioia da tristezza» (6). Ma il bacio di Narciso rompe contemporaneamente la “tesa lucente” (7) dell’acqua e l’attesa-illusione del miracolo. Il degrado è rapido, inarrestabile la discesa. Il riso diviene deformità, l’immagine si rivela passato, il passato si sbriciola in vecchiume, inutile, inutilizzabile, di un altro. La rapida dinamica di depauperazione psicologica si concretizza nella rappresentazione plastica della discesa, in cui il v.7, spezzato, divide e nello stesso tempo collega due triadi parallele, che appartengono l’una al campo psicologico, I’altra a quello degli oggetti. Ecco, l’analisi attenta del testo ci fa cogliere meglio la caratteristica di fondo della visione: l’inafferrabilità della memoria. Nata dall’acqua e dalla luce, la visione non può uscire dal suo elemento, «una città di vetro dentro l’azzurro netto» (8). E quando l’inganno diviene palese, il ricordo diviene soltanto distanza, “atro fondo”, buio; e l’acqua, non più generatrice di vita, si richiude, come per Ulisse (9), sopra le illusioni, indifferente.
Note
(1) I. Calvino, Perche leggere i classici, Mondadori, Milano 1991, p. 14.
(2) E. Montale, “I limoni”, In Ossi di seppia, vv. 26-28.
(3) Cfr. G. Caproni: «…rime chiare / usuali, in -are. / Rime magari vietate / ma aperte: ventilate» in “Per lei”, in Il seme del piangere, vv. 1-4.
(4) Così la prima redazione di “Fratelli” (1916): «Di che reggimento siete / fratelli? / / Fratello / tremante parola / nella notte / come una fogliolina / appena nata // Fratelli / saluto / accorato / nell’aria spasimante / implorazione sussurrata / di soccorso / all’uomo presente alla sua fragilità» .La redazione definitiva è del 1943.
(5) Dante, Paradiso, III, 18.
(6) E. Montale, “Fine dell’infanzia”, in Ossi di seppia, vv. 59-61.
(7) E. Montale, “Vasca”, in Ossi di seppia, v. 7.
(8) E. Montale, “Ho sostato talvolta nelle grotte…”, in Ossi di seppia, v. l0.
(9) Dante, Inferno, XXVI, v. 142.