Il termine ‘gotico’ venne applicato, non prima del XIX sec., alla pittura del Due e del Trecento per estensione, mutuandolo da quello che, a partire dal Settecento, era stato usato per designare un certo stile architettonico i cui primi esempi erano stati creati nell’Ile-de-France poco prima della metà del XII sec. Il quadro cronologico della pittura gotica è peraltro un poco diverso rispetto a quello dell’architettura: si potrà infatti cominciare a parlarne solo a partire dagli inizi del XIII sec., e anche i suoi caratteri necessiteranno di particolari definizioni. Del resto non si è certo arrivati a un consenso generale né sulle frontiere cronologiche di quella che chiamiamo la pittura gotica (e addirittura sulla legittimità di applicare alla pittura un termine coniato per indicare uno stile architettonico) né sui caratteri che, al suo nascere, la differenziano da quella romanica.
Occorre tener presente che le distinzioni avanzate dai moderni storici dell’arte possono in molti casi non essere state affatto sentite come tali da coloro che vissero al tempo in cui le opere furono create (mentre non mancano per l’architettura le testimonianze di come i nuovi modi e metodi di costruzione – quelli che un celebre documento riguardante la costruzione della chiesa di Wimpfen am Tal nell’alto Reno designava con il nome di opus francigenum – fossero avvertiti dai contemporanei come diversi dai precedenti) e che quindi l’impiego di certi termini rischia di essere convenzionale al limite dell’arbitrario. Il fatto tuttavia che questo termine sia stato a lungo usato dagli storici dell’arte in presenza di certi modi di definire e di strutturare le forme, di rappresentare un panneggio, di trattare la linea, di raffigurare i volti, gli atteggiamenti, le figure, di fronte a un’attenzione naturalistica che si manifesta nella creazione di formule nuove, piú ricche d’informazioni sull’apparenza di un animale, di una foglia, di un fiore, di quanto non fossero le accentuate stilizzazioni dell’epoca precedente, autorizza ad utilizzarlo.
I centri elaboratori di questa pittura furono, nei primi decenni del Duecento, la Francia e l’Inghilterra, ma le sue prime grandi manifestazioni si possono riconoscere in certi prodotti della regione della Mosa dove molte opere del XII sec., bronzi, smalti, miniature, oreficerie, improntate a un sereno classicismo, sfuggono completamente alle forme della stilizzazione romanica. Questo, per esempio, è il caso degli smalti di Nicolas de Verdun, un orafo mosano attivo alla fine del XII sec. e agl’inizi del XIII, le cui opere proposero modelli che ebbero grandissimo seguito e che oggi vengono considerati come testimonianze paradigmatiche di quello «stile 1200» di cui si è voluta fare un’autonoma entità situata tra il romanico e il gotico.
La geografia della pittura gotica ebbe il suo nucleo originale sui due lati della Manica, tra Francia settentrionale, Inghilterra meridionale e vane della Mosa, e di qui si irradiò fino a comprendere nel corso del Duecento la Renania, i paesi scandinavi, la Francia meridionale, la Navarra, la Catalogna, per imporsi trionfalmente, sia pure attraverso molte trasformazioni, tra gli ultimi decenni del Duecento e gl’inizi del Trecento in tutta l’Europa occidentale e centrale, dalle coste dell’Oceano una Prussia, alla Polonia, alla Boemia, all’Ungheria, dall’estremo Nord sino alla Sicilia. Vi resistettero solo le aree profondamente dominate dalla cultura figurativa bizantina, Serbia, Russia, Grecia, Bulgaria.
Se dovessimo considerare la situazione basandoci sui monumenti conservati, dovremmo affermare che né la pittura murale né la pittura su tavola, fino al Trecento, furono tra le piú importanti tecniche della pittura gotica. Nel primo caso ciò si deve, oltre alle tremende perdite e ai rifacimenti ottocenteschi, alla particolare struttura delle chiese gotiche e al posto sempre maggiore che presero in esse le finestre invetriate a scapito della superficie delle pareti. Nel secondo caso il giudizio è soprattutto influenzato dalla scarsità del materiale sopravvissuto e dal fatto che solo recentemente gli studi hanno insistito sui prodotti di questa tecnica, di cui esempi superstiti sono non solo in Italia e in Catalogna, ma anche in Inghilterra, Germania, Scandinavia, e di cui documenti e testi manoscritti fanno piú d’una menzione.
Le tecniche-guida della pittura gotica, se dobbiamo basarci su ciò che se ne è conservato furono piuttosto quelle della miniatura, della vetrata, dello smalto, del ricamo, dell’arazzo. I cicli di vetrate delle cattedrali di Chartres, Sens, Bourges, Le Mans e Canterbury comprendono alcune delle prime manifestazioni della grande pittura gotica. In particolare, a Chartres, il Maestro di Saint-Cheron, autore di numerose vetrate e tra l’altro dello straordinario ciclo della facciata del transetto meridionale con gli apostoli sulle spalle dei profeti.
Un documento grafico di fondamentale importanza per la storia del disegno, e quindi della pittura, è il cosiddetto taccuino di Villard de Honnecourt, un libro di modelli e schizzi fatti da un architetto piccardo che girò l’Europa verso il 1230-40 e diresse importanti imprese costruttive. Verso la metà del sec. Parigi è un centro attivissimo della pittura gotica, i maggiori artisti lavorano per la corte di san Luigi. È questo il momento delle vetrate della chiesa superiore della Sainte-Chapelle (1245 ca.) e di grandi capolavori della miniatura come l’Evangeliario della Sainte-Chapelle (1230 ca.: Parigi, bn) e il Salterio di san Luigi (ivi). Rivelatori nelle miniature luigiane e in particolare in quelle del Salterio di san Luigi gli inquadramenti architettonici che riprendono elementi e motivi della costruzione contemporanea e dove è evidente un certo tentativo di resa spaziale. Non dovettero però mancare in questo periodo importantissime realizzazioni anche nel campo della pittura murale, per esempio la decorazione della stessa Sainte-Chapelle (edificio che dovette offrire, nella sua decorazione vitrea e murale e nell’illustrazione dei suoi libri liturgici, uno straordinario repertorio del nuovo stile) radicalmente ripresa e ridipinta verso la metà dell’Ottocento il cui singolare e raffinatissimo sfarzo polimaterico cui partecipano foglia d’oro e d’argento, vetri, smalti, rilievi in pastiglia, ebbe valore di modello per molte realizzazioni della pittura gotica anche fuori di Francia.
Del gotico luigiano risentono fortemente i capolavori della prima pittura gotica in Spagna: i manoscritti illustrati delle cantigas di Alfonso X il Saggio, il dotto monarca che ebbe un ruolo di committente e di promotore dell’attività artistica analogo a quello di san Luigi (tra i piú splendidi due codici alla biblioteca dell’Escorial, uno alla Biblioteca Nazionale di Firenze).
In Inghilterra si può definire gotico il linguaggio delle miniature del salterio di Robert de Lindesey, abate di Peterborough tra il 1214 e il 1222 (Londra, Society of Antiquaries), dove la tenerezza, la sinuosità, l’eleganza delle figure indicano il nuovo stile; e tipicamente gotiche sono le precoci drôleries, con amorose rappresentazioni di animali intenti alle piú diverse attività, che s’incontrano nelle illustrazioni di salteri dipinti nei primi del Duecento (Londra, bm, Harl. ms 5102), cosí come improntata al nuovo stile è l’opera del miniatore William de Brailes la cui firma compare tre volte in manoscritti illustrati nel terzo e nel quarto decennio del secolo. Un’altra personalità della pittura gotica inglese di cui conosciamo il nome è Mathew Paris, monaco, storiografo, scriba e miniatore che diresse intorno alla metà del secolo lo scriptorium dell’abbazia di Saint Albans e che ha illustrato con rapidi disegni al tratto numerosi codici. Estremamente importanti e di altissima qualità le pitture murali, solo recentemente portate alla luce, del priorato di Horsham (Norfolk). Particolarmente significativo il manifestarsi nell’ultimo quarto del Duecento di una vera e propria scuola di corte che lavora per committenti reali e che è fortemente influenzata dalla miniatura francese dei tempi di san Luigi. In questo periodo vengono prodotte opere tra le piú belle e significative dell’intera pittura gotica europea, tra cui il dossale d’altare di Westminster (1270-80 ca.), attualmente nel deambulatorio meridionale ma originariamente sull’altar maggiore della chiesa, alcune pitture murali e i sedilia del coro per lo stesso edificio, molti eccezionali codici miniati e gli stupendi ricami che ornano indumenti liturgici disegnati da artisti di corte e designati sotto il nome di opus anglicanum. I prodotti di questa tecnica largamente esportati in tutt’Europa ed estremamente apprezzati furono un tramite importante della diffusione dei modi della pittura gotica inglese.
Della fine del Duecento e degl’inizi del Trecento sono alcuni tra i piú celebri esempi: la pianeta Clare (verso il 1270: Londra, vam), il piviale di San Domenico a Bologna, forse appartenuto al domenicano Benedetto XI, papa tra il 1303 e il 1304 (Bologna, Museo civico medievale), quello di Ascoli Piceno, donato dal papa Niccolò IV nel 1288, il piviale vaticano (Roma, bv) e il piviale Syon (Londra, vam), quelli di Saint Bertrand de Comminges donati nel 1309 da Clemente V, quelli di Anagni e di Pienza.
Sul finire del secolo la fisionomia della pittura gotica nell’area franco-inglese andava cambiando: caratterizzano questo mutamento una maggiore attenzione naturalistica, la ricerca espressiva e i tentativi di chiaroscuro, il moltiplicarsi delle drôleries, scenette vivacemente animate che decorano i margini dei manoscritti, dove elementi grotteschi e fantastici si fondono con acutissime osservazioni, specie nel campo della raffigurazione di animali. Esempi sorprendenti ne offrono alcuni salteri inglesi che alternano il sapido e umoresco realismo dei margini ai ritmi eleganti e sinuosi delle grandi storie: tra questi il Salterio dei mulini a vento (Windmill Psalter: New York, pml), il Salterio di Peterborough (Bruxelles, Bibl. Royale), il Salterio della regina Maria. (Queen Mary Psalter: Londra, bm), il Tickhill Psalter (New York, Public Library), ecc.
Verso la fine del Duecento è attivo a Parigi Maître Honoré, una delle figure piú importanti della storia della pittura gotica. Nella sua opera principale, l’illustrazione del Breviario di Filippo il Bello (Parigi, bn), e in altri manoscritti usciti dalla sua bottega unisce all’intensa espressività una ricerca indirizzata a suggerire l’esistenza corporea dei personaggi attraverso un accorto uso delle ombre. L’espressività di Maître Honoré si manifesta in una insistita ricerca di espressività nei volti dei personaggi, nei loro atteggiamenti, in un modo di disegnare gli occhi e le ciglia, di contorcere le barbe e i riccioli delle chiome, di imprimere ai corpi una inclinazione ondulante mentre le ombre tendono a rilevare le vesti, ad accennare il rilievo, a segnare la figura umana di una espressività psicologica.
Se fino alla metà del Duecento i nuovi modi della pittura gotica avevano ricevuto un’accoglienza ineguale, spesso un rifiuto, o avevano ispirato soluzioni locali diverse, ora una sorta di koiné accomuna i vari centri europei diffondendosi in modo rapido in un’area cosí vasta da poter configurare questo fenomeno quasi come una «prima internazionale gotica» (la seconda essendo quella splendida del gotico al suo declino) che si manifesta in vetrate e in miniature da Parigi all’Alsazia all’Inghilterra, alla Svizzera, alla Germania, all’Austria.
In Italia è significativo che uno degli esempi piú illustri del nuovo stile in pittura si colleghi con l’ambiente federiciano: sono le miniature che illustrano un esemplare (Roma, bv), eseguito attorno al 1260-65 per re Manfredi, del trattatello De arte Venendi cum avibus composto da Federico II, dove si rivela un’eccezionale attenzione naturalistica che comporta nuove e piú precise formule di rappresentazione degli uccelli e degli animali. Nella seconda metà del secolo si trovano in Toscana, in Abruzzo, nel Lazio, in Umbria, in Lombardia, in Piemonte, nel Trentino, pitture che risentono del nuovo stile, ma il suo ingresso solenne è segnato dalla decorazione del transetto meridionale della basilica superiore di san Francesco ad Assisi. Qui in ambiente cimabuesco lavorò un maestro transalpino o forse un italiano che aveva viaggiato nel Nord, che disegnò figure fiammeggianti di santi personaggi in modi del tutto inabituali alla pittura tosco-romana, introducendo nella decorazione delle logge che si aprono sulle pareti orientali e occidentali motivi pseudoarchitettonici di tipo gotico del tutto diversi da quelli usati da Cimabue nel vicino transetto settentrionale. Accanto a questi affreschi altri esempi di modi settentrionali erano stati proposti dalle vetrate dell’abside della chiesa superiore, opera di un atelier tedesco partecipe del cosiddetto Zackenstil, che fu una sorta di risposta germanica al primo gotico francese, e successivamente dalla splendida vetrata, questa volta francamente gotica, della quadrifora del transetto settentrionale.
Se Assisi è il centro dove piú vistosamente si manifestano le novità della pittura gotica, negli ultimi decenni del Duecento Roma ebbe in questa vicenda un ruolo certamente non minore, grazie alla presenza di cardinali provenienti dal Settentrione che avevano conservato legami con la cultura artistica dei loro paesi, anche se oggi ci possiamo rendere conto di questo clima goticheggiante soprattutto grazie a sigilli cardinalizi e ad altri prodotti di microtecniche suntuarie (significativa la presenza presso Roma del rotulo di Velletri, un importante documento di pittura gotica inglese). Siena, centro di produzione di straordinari prodotti di tecniche suntuarie, fu teatro dell’attività di Guccio di Mannaia, che firmò un calice donato da papa Niccolò IV al tesoro della basilica di Assisi, databile dunque tra il 1288 e il 1292. È in quest’opera che troviamo per la prima volta splendidi esempi della nuova tecnica (probabilmente messa a punto dallo stesso Guccio) degli smalti translucidi, posti su placche d’argento incise in modo da essere visibili attraverso la pasta colorata e trasparente dello smalto sí da arrivare, come scrive il Vasari, a una «spezie di pittura mescolata con la scultura». In questi smalti le capigliature, i volti, le lunghe dita angolose, le pieghe profonde dei panneggi mostrano come Guccio avesse compreso lo spirito e le forme di questo momento di espansione europea della pittura gotica che ha nell’espressività e nella drammaticità i suoi denominatori comuni. Anche nella miniatura Siena si mostra ricettiva verso i modelli francesi: il Trattato della Creazione del Mondo della Biblioteca comunale mostra gli echi della miniatura luigiana trasformati, modificati, adattati alla tradizione locale.
Un nuovo fenomeno originato in Italia conoscerà di lí a poco un’analoga espansione europea, ed è quello della nuova spazialità, del nuovo modo di introdurre la rappresentazione
dello spazio e del volume creato da Giotto. L’introduzione della rappresentazione tridimensionale realizza e porta alle conseguenze piú avanzate quel processo volto a dare una figurazione nuova e ampiamente comprensiva del mondo e della natura. Cosí la ricerca della profondità e del concreto volume, che era stata una delle esigenze dell’arte gotica e che largamente sviluppatasi in scultura era rimasta parzialmente sviluppata nella pittura, tecnica bidimensionale per eccellenza, trova un’applicazione che va al di là del singolo particolare per attingere la struttura stessa della rappresentazione. L’eccezionale diffusione, diretta o mediata delle novità giottesche dalla Francia all’Inghilterra, alla Spagna, alla Germania è segno di una risposta da queste fornite a una generale attesa, e d’altronde della superiorità e modernità che viene riconosciuta a questo tipo di rappresentazione. Grazie a questi fondamentali mutamenti, la pittura gotica è ormai nettamente caratterizzata, tanto da poter tendere alle grandi conquiste del Trecento: il ritratto, la raffigurazione del paesaggio, l’attenta descrizione di piante e di animali. A Bologna pittori e miniatori tentano inediti accordi tra il volume dei toscani e l’estro lineare del gotico transalpino.
Una significativa riuscitissima fusione tra la sinuosa linearità e il fasto polimaterico della pittura gotica d’oltralpe e la spazialità giottesca si ha nell’opera di Simone Martini, specialmente nella sua produzione giovanile, nella Maestà del Palazzo civico di Siena o nel San Luigi di Tolosa eseguito a Napoli. Non fu certo un caso se Simone fu attivo nell’ultimo periodo della sua vita ad Avignone, sede della corte papale e punto d’incontro tra diverse tradizioni artistiche grazie alla presenza contemporanea di pittori e scultori di origini diverse spesso impegnati nelle medesime imprese. La vasta committenza delle corti in cui alla produzione artistica furono consacrate somme sempre maggiori e la conseguente sempre maggiore circolazione internazionale degli artisti che passano da un centro all’altro (Etienne d’Auxerre, pittore di Filippo il Bello, si reca a Roma sul finire del Duecento; il romano Filippo Rosati, con due collaboratori, si sposta al Nord per lavorare per il re di Francia; un nugolo di artisti di varia origine converge su Avignone; sempre piú numerosi scendono a Parigi pittori fiamminghi e neerlandesi; la corte imperiale stabilita a Praga da Carlo IV calamita parimenti pittori, mosaicisti e scultori).
La corte parigina degli ultimi Capetingi e di Filippo VI di Valois vede una ricchissima produzione pittorica, rinnovata grazie agli esempi straordinari lasciativi da Jean Pucelle, attivo a partire dal 1320 e morto nel 1334, autore di un gruppo di libri illustrati dove una conoscenza diretta dei modi di rappresentare lo spazio e il volume nella piú recente pittura italiana si unisce a una straordinaria attenzione alla rappresentazione naturalistica dei fiori o degli insetti, a un estro incomparabile spiegato nelle drôleries dei margini. Accanto alla miniatura venivano praticate anche la pittura murale, oggi in gran parte scomparsa, e quella su tavola. Di questa, la cui esistenza è testimoniata in tanti documenti, non rimane che un esempio nel piccolo dittico di Rabastens casualmente sopravvissuto, ma possiamo immaginarne l’aspetto nelle rappresentazioni di tavole dipinte che si trovano qua e là nella miniatura contemporanea.
Di pitture su tavola della seconda metà del Duecento e della prima metà del Trecento abbiamo scarsi esempi nel Nord, alcuni di provenienza inglese posteriori allo splendido altare di Westminster, quali l’altare di Tornham Parva con crocifissione e santi e l’antependio con storie della Vergine (oggi a Parigi, Museo di Cluny), che doveva provenire dalla medesima chiesa. In Norvegia un numero rilevante di antependia dipinti a olio su tavola, dove la derivazione da esempi inglesi è assai forte, è conservato nel museo di Bergen e proviene da chiese di questa diocesi. In Germania il trittico proveniente da Soest (oggi a Berlino-Dahlem), con al centro la Trinità e ai lati la Vergine e san Giovanni evangelista, è databile al 1250-70 e, come la Madonna della coll. Carrand (oggi a Firenze, Museo del Bargello), appartiene al cosiddetto Zackenstil caratteristico della Turingia e della Sassonia, mentre piú a nord, nello Schleswig o nel prossimo Jutland, in Danimarca, esiste in questo periodo una produzione di antependia dipinti con piú spiccati caratteri gotici (antependium di Quern, presso Flensburg: Norimberga, nm). Piú tardi, sugli inizi del Trecento, si svilupperà a Colonia una vivace produzione di pittura su tavola ormai compiutamente gotica, ma agli inizi del Trecento il gotico pervade tutte le espressioni della pittura, dalle vetrate al ricamo (antependio del duomo di Bamberga, oggi a Monaco, nm) alla miniatura, di cui offre un celeberrimo esempio il cosiddetto codice di Manesse (Heidelberg, Bibl. universitaria), che deve il suo nome a due aristocratici zurighesi che riunirono nel codice i testi delle principali canzoni dei Minnesänger, alla pittura murale esemplarmente rappresentata dalla decorazione delle pareti sovrastanti gli stalli del coro della cattedrale di Colonia. Ricca e di altissima qualità è la produzione di tavole dipinte nella Boemia del Trecento.
Al Sud numerosissime sono le testimonianze della pittura su tavola: in Catalogna, dove già nell’età romanica la produzione ne era stata imponente; in Navarra, dove penetra presto il gotico lineare francese. Ma sarà nell’Italia centrale che la pittura gotica su tavola prenderà il suo massimo sviluppo creando nuove forme, nuovi luoghi d’integrazione delle tecniche e dei modi di rappresentazione dove si fondono iconicità e narrazione, dove s’intrecciano pittura, scultura, carpenteria e disegno architettonico. I grandi polittici dipinti toscani del Trecento sono appunto una delle creazioni piú sensazionali e nuove della pittura gotica europea.
Nel corso del Trecento si assisterà in tutta l’Europa, tranne quella di stretta obbedienza bizantina, a un incontro e a una progressiva fusione del dinamico fluire della linea gotica e della spazialità ritrovata da Giotto. Ci saranno aree dove i modi italiani conosceranno una totale egemonia (la Catalogna, le Baleari) o una forte predominanza (la Boemia, che sarà uno degli astri piú splendenti della pittura trecentesca europea); altre dove s’intrecceranno progressivamente con le tradizioni esistenti dando vita a nuove soluzioni d’avvenire (Parigi e la Francia). La storia di questi incontri, di queste opposizioni, di queste ricezioni e del loro superamento è la storia della pittura gotica europea nel Trecento fino alla nascita su queste basi di un linguaggio cosmopolita, unitario anche se policentrico, di rapidissimo e vasto successo quale sarà il gotico internazionale.