La linguistica teorica successiva, dagli anni Trenta agli anni Cinquanta, enfatizza l’aspetto della lingua studiata di per sé nei suoi meccanismi di funzionamento, astraendola dal contesto; questa corrente può essere definita strutturalismo, e prende le mosse dalle idee del Corso di linguistica uscito nel 1916 che avevano avuto ampia circolazione. Il nome deriva dall’assunto che la lingua costituisca una struttura, insieme ordinato di elementi solidali tra loro e la cui funzione si comprende solo in relazione a tutti gli altri elementi. In seguito con il termine strutturalismo si indica un orientamento culturale che tra gli anni Sessanta e Settanta specialmente in Francia esporta alcune concezioni tipiche della linguistica teorica ad altri ambiti del sapere (antropologia, storiografia, critica letteraria, pensa ai ruoli fissi dei personaggi delle fiabe, che si definiscono in relazione a quelli degli altri). All’avanguardia nel panorama europeo è il circolo di Praga, che si raccoglie intorno a personalità come il principe Nicolaj Trubeckoj e Roman Jakobson, che ha il maggior sviluppo tra gli anni Venti e il 1939, anno della morte di Trubeckoj e dell’esilio di Jakobson dovuto alla persecuzione nazista (egli muore negli Stati Uniti nel 1982). Grundzuge der Phonologie fu scritto da Trubeckoj, sono fondamenti di fonologia in cui compare la nozione di fonema sistematizzata e chiaramente definita come unità concettualmente astratta, al livello della langue, che dia origine ad una coppia minima; sono fondamentali le nozioni di opposizione e coppia minima, il fonema è distinto dall’allofono che è la variante combinatoria di un suono che non produce opposizione distintiva (vedi n dentale di dente o o n velare di vanga). Anche Jakobson lavora sulla fonologia, a lui si deve l’idea di fonema come fascio di tratti; compie studi in America dove dispone di strumenti avanzati di misurazione acustica, e arriva alla conclusione che esistono dei tratti di tipo articolatorio associati in coppie che creano opposizione all’interno di tutte le lingue, sarebbero universali linguistici (esempio sonorità / non sonorità, durata / non durata); sono dodici coppie combinando le quali si ottengono i sistemi fonologici di ciascuna lingua. Jakobson elabora poi la teoria della comunicazione muovendo dalle osservazioni di Duhler, che aveva individuato in un atto comunicativo emittente, destinatario e messaggio; Jakobson individua il canale (luce per lo scritto aria per il parlato), il codice e il contesto o referente, cioè la realtà extralinguistica cui si riferisce il messaggio. Egli parte da una posizione funzionalistica, questi sei elementi possono costituire ciascuno il focus su cui è concentrata la comunicazione: se sull’emittente la funzione è emotiva (ad esempio le esclamazioni), se sul destinatario è conativa (ordini), se sul canale è fàtica che controlla il canale (pronto? ci sei? al telefono), se sul codice è metalinguistica, quando la lingua è utilizzata per parlare di se stessa (grammatica, vocabolari, parole crociate), se sul referente è referenziale, la lingua è usata per accrescere la conoscenza del destinatario in merito ad un referente concreto o astratto, esistente o non esistente; se sul messaggio la funzione è da lui chiamata poetica, perché l’esempio più evidente è quello della poesia, il codice è usato mettendo l’accento sulla forma del messaggio, producendo il fenomeno della semantizzazione del significante (poesie scritte in modo da riprodurre l’oggetto di cui parlano nella disposizione e nella struttura dei versi, i calligrammi, indovinelli o modi di dire che sfruttano le figure di suono).
Altra scuola strutturalista europea è il circolo di Copenagen, il cui principale rappresentante è il danese Luis Hijemslev, inventore della glossematica che offre una visione formalizzata ed astratta del sistema linguistico considerato esclusivamente nelle relazioni di interdipendenza dei suoi elementi. Egli voleva pervenire ad una descrizione con il rigore e la scientificità propri della matematica, e fu criticato in seguito per l’estrema astrattezza che faceva perdere di vista il dato esperienziale. Ad André Martinet strutturalista francese si deve il recupero di una prospettiva diacronica; Martinet è funzionalista, per lui la lingua è strumento di comunicazione e concentra l’attenzione sulle funzioni che può assumere; secondo lui i mutamenti si spiegano con l’esigenza del parlante di ottimizzare l’efficacia comunicativa, attribuisce un ruolo centrale all’individuo che agisce secondo un principio di economia, è spinto dalla ricerca di un equilibrio costantemente messo in discussione e mai definitivo, ed è punto di incontro tra il bisogno del parlante di distinguere (comunicazione non ambigua) e il principio del minimo sforzo, attenuare la tendenza a moltiplicare, ridurre sistematicamente le differenze. Pensa alla tendenza all’assimilazione o dissimilazione che si bilanciano: prefisso negativo in, se segue labiale im, parziale assimilazione, la nasale passa nel luogo di articolazione della consonante successiva; se segue liquida diventa il/ir, assimilazione completa, i due suoni diventano identici sempre per diminuire lo sforzo articolatorio. La tendenza opposta serve a ripristinare quelle differenze fondamentali per il sistema, ogni lingua cerca un punto di equilibrio. Martinet esprime il concetto che il linguaggio umano è basato su una doppia articolazione: possiamo individuare in ogni elemento del sistema unprimo livello dei monemi che possono essere lessicali (lessemi) o portatori di informazioni grammaticali (morfemi), e un secondo dei fonemi, in cui gli elementi non sono portatori di significato (se non si parla di morfofonemi). Negli Stati Uniti nello stesso periodo si afferma uno strutturalismo proprio dell’area americana che ha come principale esponente Leonard Blumfield, che scrive Language dal 1933; lo strutturalismo è diverso da quello europeo, questi studiosi desiderano sviluppare una descrizione del linguaggio il più possibile oggettiva, tensione propria di tutte le scienze umane. Fu negletta la semantica in questo periodo perché è quella che sfugge maggiormente alla descrizione scientifica, oggi si è recuperata in parte grazie alle neuroscienze: è impossibile descrivere i funzionamenti dei significati senza fare un discorso psicologico e mentalistico. Hijemslev osserva che come il fonema anche il significato può essere scomposto in tratti ma la sua scomposizione è inafferrabile, non c’è un numero minimo di tratti di una parola e ogni tratto può essere ulteriormente scomposto (es mucca bovino femmina; bovino può essere ancora scomposto). Blumfield voleva liberarsi dallo psicologismo e trovare una descrizione condivisibile da chiunque; questi studiosi avevano a che fare con l’inglese e con lingue che non avevano tradizione scritta e non avevano grammatiche, dunque devono essere utilizzati mezzi diversi da quelli delle lingue indoeuropee che si prestavano alla descrizione grammaticale. Per prima cosa Blumfield raccolse un corpus di frasi, poi le scompose nei loro costituenti minimi: x y z h l, x y m h l, x y g, ritorna sempre x y che viene isolato come costituente; x b, x c, x d, un costituente a sé è x, e così via, usando la prova della commutazione. Si procede poi all’ulteriore scomposizione degli elementi, a seconda di quali meccanismi si riconoscono nella lingua (se ci sono morfemi, reduplicazione per il plurale ecc.); scendendo ancora al livello dei fonemi si ha una descrizione completa e rigorosamente esterna della lingua, senza sapere nulla del significato. È un approccio che privilegia fonetica e morfologia, la sintassi comincia già a spostare l’analisi sul piano del significato, capire i rapporti tra le parole che formino frasi di senso compiuto implica una conoscenza del significato. Questi linguisti lavoravano come gli antropologi, condividendone l’interesse e le difficoltà nel conoscere queste culture che avevano lingue nuove.