La scuola di Mileto non finì con Anassimene; da Mileto proviene anche LEUCIPPO (sebbene qualche scrittore antico lo dica di Elea o di Abdera), il fondatore dell’atomismo, che si può considerare l’ultimo e più maturo frutto della ricerca naturalistica iniziata nella scuola di Mileto.
Di Leucippo si sa così poco che si è potuto dubitare perfino della sua esistenza. Epicuro (Diels, 67, A 2) dice che non c’è mai stato un filosofo di questo nome; e questa opinione è stata ripresa anche da storici recenti. Secondo testimonianze antiche, egli fu contemporaneo di Empedocle e di Anassagora e scolaro di Parmenide. I suoi scritti dovettero essere confusi con quelli di Democrito, con il quale fu unito ad indicare i due fondatoti dell’atomismo antico.
DEMOCRITO di Abdera fu il più grande naturalista del suo tempo. Era contemporaneo di Platone, dal quale però non fu mai nominato. Egli stesso ci dice (fr. 5, Diels) che era ancora giovane, quando Anassagora era vecchio; la sua nascita è situata nel 460-59 a. C. Le molte opere che vanno sotto il suo nome, e di cui abbiamo numerosi frammenti, Il grande ordinamento, Il piccolo ordinamento, Sull’intelligenza, Sulle forme, Sulle l’anima, ecc., molto probabilmente non sono tutte dovute a lui; alcune espongono la dottrina generale della scuola. La fama di Democrito come scienziato ha fatto sì che la sua figura fosse stilizzata in quella di un dotto completamente astratto dalla pratica della vita. Orazio (Ep., I, 12, 12) racconta che mandrie di bestiame saccheggiavano, pascolando, i campi di Democrito mentre la mente dello scienziato vagava lontano. Nella spartizione della ricca eredità paterna volle avere la sua parte in contanti e così ebbe meno, e spese tutto nei suoi viaggi in Egitto e presso i Caldei. Quando ancora il padre viveva, usava rinchiudersi in una casetta campestre che serviva anche di stalla; e qui una volta rimase chiuso senza accorgersene con un bue che il padre vi aveva legato in attesa di portarlo al sacrificio (Diels, 68, A 1).
Lo spirito lievemente canzonatorio. di questi aneddoti lo delinea come il tipo dello scienziato distratto.
Pare che Leucippo abbia gettato i fondamenti generali della dottrina e che Democrito abbia poi sviluppato questi fondamenti sia nella ricerca fisica sia nella ricerca morale. Oli atomisti concordano con il principio fondamentale dell’eleatismo che solo l’essere è; ma intendono riportare questo principio all’esperienza sensibile e servirsi di esso per spiegare i fenomeni. Così intendono l’essere come il pieno, il non essere come il vuoto e ritengono che il pieno e il vuoto sono i principi costitutivi di ogni cosa. Ma il pieno non è un tutto compatto: è formato da un numero infinito di elementi che sono invisibili per la piccolezza della loro massa.
Se questi elementi fossero divisibili all’infinito, si dissolverebbero nel vuoto; devono dunque essere indivisibili, e perciò sono detti atomi. Soltanto gli atomi sono nel loro interno continui; gli altri corpi non sono continui perché risultano dal semplice contatto degli atomi e possono perciò essere divisi. La differenza tra gli atomi non è qualitativa come quella dei semi di Anassagora, ma quantitativa. Gli atomi non differiscono tra di loro per natura ma soltanto per forma e grandezza. Essi determinano la nascita e la scomparsa delle cose con l’unione e la disgregazione; determinano la diversità e il mutamento di esse con il loro ordine e la loro posizione. Essi sono, secondo il paragone di Aristotele (Met., I, 4, 985 b), simili alle lettere dell’alfabeto; che differiscono tra loro per la forma e danno luogo a parole e a discorsi diversi disponendosi e combinandosi diversamente. Tutte le qualità dei corpi dipendono dunque o dalla figura degli atomi o dall’ordine e dalla combinazione di essi.
Perciò non tutte le qualità sensibili sono oggettive, cioè appartengono veramente alle cose che le provocano in noi. Sono oggettive le qualità proprie degli atomi: la forma, la durezza, il numero, il movimento; invece il freddo, il caldo, i sapori, gli odori, i colori sono soltanto apparenze sensibili, provocare bensì da speciali figure o combinazioni di atomi, ma non appartenenti agli atomi stessi (fr. 5).
Gli atomi sono tutti animati da un movimento spontaneo, per il quale si urtano e rimbalzano dando origine al nascere, al perire ed al mutare delle cose. Ma il movimento è determinato da leggi immutabili. «Nessuna cosa, dice Leucippo (fr. 2), accade senza ragione, ma tutto accade per una ragione e di necessità». Il movimento originario degli atomi, facendoli roteare ed urtarsi in tutte le direzioni, produce un vortice dal quale le parti più pesanti sono portate al centro e le altre sono invece respinte verso la periferia. Il loro peso, che li fa tendere verso il centro, è dunque un effetto del movimento vorticoso in cui sono trascinati. In questo modo si sono formati infiniti mondi che incessantemente si generano e si dissolvono.
Il movimento degli atomi spiega anche la conoscenza umana. La sensazione nasce dalle immagini (idola) che le cose producono nell’anima mediante flussi o correnti di atomi che emanano da esse.
Tutta la sensibilità si riduce quindi al tatto; perché tutte le sensazioni sono prodotte dal contatto, con il corpo dell’uomo, degli atomi che provengono dalle cose. Ma di questa conoscenza, alla quale l’uomo è necessariamente limitato, Democrito stesso non è pago. «In verità, egli dice, nulla sappiamo di nulla, ma a ciascuno l’opinione vien dal di fuori» (fr. 7).
«Bisogna conoscere l’uomo con questo criterio: che la verità è lontana da lui», (fr. 6). E difatti le sensazioni dalle quali deriva l’intera conoscenza umana mutano da uomo a uomo, mutano anche nello stesso uomo a seconda delle circostanze, cosicché non forniscono un criterio assoluto del vero e del falso (Diels, 68 A 112). Queste limitazioni tuttavia non concernono la conoscenza intellettuale. Sebbene questa sia soggetta alle condizioni fisiche che si verificano nell’organismo (Diels, 68 A 135), è tuttavia superiore alla sensibilità, perché fa cogliere, al di là delle apparenze, l’essere del
mondo: il vuoto, gli atomi e il loro movimento. Là dove termina la conoscenza sen
sibile, che, quando la realtà si assottiglia e tende a risolversi nei suoi ultimi elementi, diventa inefficace, comincia la conoscenza razionale, che è un organo più sottile e raggiunge la realtà stessa (DEMOCR., fr. 11). L’antitesi tra conoscenza sensibile e conoscenza intellettuale è così recisa come quella tra il carattere apparente e convenzionale delle qualità sensibili e la realtà degli atomi e del vuoto. «Per convenzione si parla, dice Democrito (fr. 125), di Colore, di dolce, di amaro; in realtà, ci sono soltanto atomi e vuoto». In tal modo, corrispondentemente al contrasto tra apparenza e realtà, permane nell’atomismo il contrasto tra conoscenza sensibile e conoscenza intellettuale, nonostante la loro comune riduzione a fatti meccanici; ed entrambi questi contrasti sono desunti dall’eleatismo.
L’atomismo rappresenta la riduzione naturalistica dell’eleatismo. Dell’ eleatismo ha fatto propria la proposizione fondamentale: l’essere è necessità; ma ha inteso tale proposizione nel senso della determinazione causale. Parmenide esprimeva poeticamente il senso della necessità ricorrendo alle nozioni di giustizia o di fato. L’atomismo identifica la necessità con l’azione delle cause naturali.
Dall’eleatismo, l’atomismo desume anche l’antitesi tra realtà e apparenza; ma quest’antitesi stessa viene portata sul piano della natura e la realtà di cui si parla è quella degli elementi indivisibili della natura stessa. Il risultato di queste trasformazioni, che va al di là delle intenzioni degli stessi atomisti, è l’avviamento della ricerca naturalistica a costituirsi come disciplina a sé e a distinguersi dalla ricerca filosofica come tale. La costituzione di una scienza della natura a disciplina particolare, quale appare in Aristotele, è preparata dall’opera degli atomisti, che hanno ridotto la natura a pura oggettività meccanica, con l’esclusione di qualsiasi elemento mitico o antropomorfico. La prova di questa iniziale separazione della scienza della natura dalla scienza dell’uomo si ha nel fatto che Democrito non stabilisce alcuna relazione intrinseca fra l’una e l’altra.
L’etica di Democrito non ha infatti alcun rapporto con la sua dottrina fisica. Il più alto bene per l’uomo è la felicità; e questa non risiede nelle ricchezze, ma nell’anima sola (fr. 171). Non i corpi e la ricchezza rendono felici, ma la giustizia e la ragione, e là dove la ragione difetta, non si sa godere della vita. Per gli uomini la gioia nasce dalla misura del godimento e dalla proporzione della vita: i difetti e gli eccessi tendono a sconvolgere l’anima e a generare in essa movimenti intensi. E le anime che si muovono da un estremo all’altro, non sono costanti né contente (fr. 191). La gioia spirituale, l’eutymia, non ha dunque niente a che fare con il piacere (edoné): «il bene e il vero – dice Democrito – sono identici per tutti gli uomini; il piacere è diverso per ognuno di essi» (fr. 69). Perciò il piacere non è bene in se stesso: bisogna scegliere solo quello che deriva dal bello (fr. 207). L’etica di Democrito è, così, lontanissima da quell’edonismo che ci si potrebbe aspettare come corollario del suo naturalismo teoretico. Anzi al risoluto oggettivismo che è la direttiva di Democrito nel dominio della ricerca naturalistica fa riscontro, nell’etica, un altrettanto risoluto soggettivismo morale. La guida dell’azione morale è, secondo Democrito, il rispetto (aidos) verso se stesso. «Non devi aver rispetto per gli altri uomini più che per te stesso, né agir male quando nessuno lo sappia più che quando lo sappiano; ma devi avere per te stesso il massimo rispetto e imporre alla tua anima questa legge: non fare ciò che non si deve fare» (fr. 264). Qui la legge morale è posta nella pura interiorità della persona umana, la quale è anzi fatta legge a se stessa mediante il concetto del rispetto verso se stesso. Questo concetto, fondamentale per intendere il valore e la dignità umana, si sostituisce al vecchio concetto greco del rispetto verso la legge della polis, e dimostra come la ricerca morale di Democrito si muova in direzione antitetica alla sua ricerca fisica e come quindi si sia ormai iniziata la differenziazione della scienza naturale dalla filosofia.
Un altro accenno è notevole nell’etica di Democrito: il cosmopolitismo. «Per l’uomo saggio – egli dice – tutta la terra è praticabile, perché la patria dell’anima eccellente è tutto il mondo» (fr. 247). Egli riconosce tuttavia il valore dello stato e dice che niente è preferibile a un buon governo, giacché il governo abbraccia tutto: se si mantiene, tutto si mantiene, se cade tutto perisce (fr. 252). E dichiara che bisogna scegliere di vivere povero e libero in una democrazia piuttosto che ricco e servo in un’oligarchia (fr. 251). La superiorità che egli attribuisce alla vita esclusivamente dedicata alla ricerca scientifica è resa evidente dalle sue idee sul matrimonio. Questo è da lui condannato, in quanto fondato sulle relazioni sessuali che diminuiscono il dominio dell’uomo su se stesso, e in quanto l’educazione dei figli impedisce di dedicarsi ai lavori più necessari, mentre il successo della loro educazione rimane dubbio. Qui evidentemente la preoccupazione di Democrito è quella di salvaguardare quella disponibilità dell’uomo a se stesso che rende possibile l’impegno nella ricerca scientifica.