Nel medioevo, ancora più che in altre epoche, il matrimonio non aveva niente a che fare con le “sciocchezze del cuore”, ma sottostava agli interessi concreti; se cambiava il vento, il marito-padrone poteva disfarsi senza troppa difficoltà di una moglie diventata inutile. Si aggiunga che la funzione procreativa del matrimonio, accentuata dalla cultura, finiva per limitarne il valore intrinseco; c’erano, insomma, le premesse per una idealizzazione dell’adulterio: ci si sposava per interesse o per costrizione, ci si amava per elezione.
I trovatori provenzali, padri fondatori della nuova lirica europea, elaborano una teoria del «fino amore» improntata a valori cavallereschi: l’amante indirizza parole e versi a una dama d’alto rango, spesso la donna del signore. Nelle corti feudali della Francia meridionale ragioni storiche e sociali facevano si che il signore chiudesse un occhio su quel «corteggiamento» (la parola deriva proprio da corte) misurato, elegante, discreto: i vassalli ammettevano la proprietà privata del signore, moglie compresa, solo se questi li rendeva liberalmente partecipi.
Dunque, il poeta amante attinge al repertorio delle virtù feudali (servigio, lealtà, fedeltà, omaggio, pregio) e le trasporta nella sfera di un eros raffinato e sublimato; s’intende che la dedizione dell’amante-vassallo sarà compensata da un beneficio o “mercede» che l’amata-signora gli elargirà: in che cosa consista, si sa ma non si dice, se non in componimenti come le albe, poesie in cui gli innamorati, dopo una notte d’amore, pregano I’usignolo o la sentinella di tardare ad annunciare il giorno per rinviare il doloroso commiato. Nato per tutelare l’onore della donna, lo pseudonimo simbolico o senhal, che cela il nome dell’amata, diventa presto una convenzione: Dante e Petrarca trattano i nomi veri di Beatrice e Laura come senhals (donna-beatificante, donna-alloro); al matrimonio, naturalmente, non pensano: se la Bice Portinari dell’Alighieri era nubile, la Noves celebrata in vita e in morte dal clericus Francesco era maritata.
Del resto, l’amore è un istinto, cioè una forza della natura, che non puo irnbrigliarsi nelle regole dell’opportunità sociale: la primavera spinge tutte le creature viventi ad amare, e nessuna fine amante può resistere a un innamorato gentile; lo sanno bene Paolo e Francesca, che hanno sottomesso la ragione al talento. Il marito (jalos), il pettegolo o la spia (malparleul), il lusingatore (lauzengier), nemici d’amore, ostacolano a un tempo natura e cortesia.
La società cortese propriamente detta, che si sviluppa le nelle corti di Eleonora d’Aquitania e di Maria di Francia grazie all’incontro fra il mondo trobadorico e le fascinose leggende bretoni, pone l’accento sulla forza fatale della passione e sullo stigma individuale dell’amore, trasformando la donna in protagonista attiva (come nei Lais di Maria di Francia). Si tratta pur sempre di amori trasgressivi:
Lancillotto ama Ginevra, moglie del suo re, Artù; Tristano s’innamora di Isotta-la-bionda, promessa sposa dello zio, e continuerà ad amarla, con conseguenze nefaste, anche dopo aver sposato Isota-dalle-bianche-mani. Interprete per eccellenza della civiltà cortese, Chrétien de Troyes cerca una conciliazione fra cuore e vincolo coniugale nella storia di Erec e Enide, dove la sposa si traveste da scudiero per seguire il marito nelle avventure cavalleresche. All’ombra di Maria, oltre al grande Chrétien, opera Andrea Cappellano, il più celebre trattatista d’aurore del medioevo, che nel De amore (1180 ca) tesse l’elogio dell’amor cortese; lo rinnegherà nell’ultima parte dell’opera lodando il matrimonio, forse per evitarne la condanna che il vescovo di Parigi pronuncerà comunque nel 1277.
Nel suo galateo d’amore, Andrea raccomanda di adattare lo stile del corteggiamento al rango sociale della donna. Analogamente, in poesia, il registro muta: nelle pastorelle e nei contrasti, per esempio, la «mercede» non è richiesta solo allusivamente. Il matrimonio, comunque, rappresenta solo una (falsa) promessa cui può ricorrere il seduttore, come nel Contrasto di Cielo d’Alcamo. Amore, sesso e matrimonio sono congiunti, invece, in un testo folclorico dei Memoriali bolognesi, dove una giovane chiede al babbo di darle marito poiché più non resiste al desiderio; d’altra parte, la Compiuta Donzella lamenta in un sonetto di essere destinata a un uomo che non ama. Più sfortunata di lei, la malmaritata Francesca da Rimini paga a caro prezzo la lettura del «libro galeotto» che narra gli amori di Lancillotto e Ginevra: Dante, pur commosso, chiude il capitolo dell’amore profano puntando decisamente sull’amor sacro. Con il Decameron di Boccaccio (che ha per sottotitolo Prencipe Galeotto), la poesia dell’amor cortese cede alla prosa dell’amor borghese. E le storie «di corna» si moltiplicano.