Nelle raffinate corti francesi dell’XI e del XII secolo nasce la nuova concezione dell’amore (amore cortese o “fin’amor” come si diceva in provenzale), che fu la base della lirica, e più in generale della letteratura romanza fino alla fine del Duecento.
Per comprendere lo sviluppo di questa nuova teoria occorre risalire indietro nel tempo. Il Medioevo aveva ereditato dall’antichità classica la concezione erotica di Ovidio, il “maestro dell’amore sensuale” (lascivi praeceptor amoris), le cui opere ebbero una straordinaria circolazione. Questa concezione ludica e spregiudicata entrò in crisi con la rivoluzione cristiana, che mutò radicalmente i parametri dell’amore, quando i padri della chiesa elaborarono una complessa precettistica che mirava sia a condannare la libertà nei rapporti erotici sia a disciplinare l’amore coniugale. Su questa linea della condanna di ogni passionalità si muovono scrittori ed educatori di parte ecclesiastica (ad esempio Pietro Lombardo e Ugo di San Vittore) fino al XII secolo, cioè nel pieno della cosiddetta civiltà cortese, legata alle corti della Provenza e della Francia settentrionale.
Su una nuova idea della vita, fondata sugli ideali di liberalità, magnanimità, raffinatezza, venne a innestarsi una nuova concezione dell’amore, assai più nobile e intensa di quella che emergeva nelle pagine di Ovidio, autore pur riscoperto e valorizzato in quegli ambienti. Fu allora che fermenti di libertà intellettuale e di tolleranza morale cominciarono a scardinare l’ortodossia cristiana nell’ambito erotico. Questa nuova concezione trovò la sua codificazione nel trattato De amore di Andrea Cappellano vissuto alla corte di Maria di Champagne (fine XII secolo). Per Andrea l’amore è una passione naturale che si origina dalla vista e dal pensiero ossessivo della bellezza di una persona di sesso diverso che fa nascere un intenso desiderio di portare a compimento con volontà concorde tutti i precetti dell’amore, senza escludere il godimento fisico. Questa famosa definizione comporta l’esclusione dell’amore dal rapporto coniugale: l’amore è extra-coniugale perché il vincolo matrimoniale, con la legalità e disponibilità del possesso, elimina la trepidazione che nasce dal desiderio ostacolato; ed è spesso asimmetrico, cioè rivolto ad una donna sposata di rango più elevato del poeta. L’amore è quindi adorazione segreta, intimo vagheggiamento dell’amata, dedizione, servizio, stupefatta contemplazione dell’amante di fronte all’amata, la cui superiorità è sintesi di bellezza fisica (stereotipata nella chioma bionda e nella luce del volto) e di qualità morali. L’amore è sempre esperienza gratificante, anche nell’insuccesso, perché diventa per l’amante, nobile di animo, un itinerario di affinamento interiore.
L’amore cortese includeva così una vasta gamma di possibilità tematiche: adorazione quasi religiosa, analisi dei turbamenti e degli stati d’animo dell’amante-poeta, processo di perfezionamento interiore. Sue convenzioni topiche sono: la lode della donna amata, l’innamoramento per una donna lontana, la figurazione dell’amante silenzioso e in pena, il servizio alla donna, il ricorso ad ambigui riferimenti o alla perifrasi per evitare una chiara identificazione della donna (il cosiddetto, pseudonimo, o senhal). In parecchi casi il poeta adotta uno stile di ricercatezza e allusività oscuro ed ermetico (il trobar clus, “poetare chiuso, oscuro”) contrapposto al trobar leu (“poetare chiaro”). La produzione dei trovatori (poeti, dal verbo provenzale trobar, “poetare”) provenzali (fine XI – XII secolo) è vastissima. Ci sono giunti 2542 componimenti: un decimo di essi sono adespoti (privi di autore), gli altri si ripartiscono fra 460 autori di cui è noto almeno il nome. Dalla Provenza i temi e i moduli della lirica cortese si diffondono, attraverso i frequenti spostamenti dei trovatori da una corte all’altra, nel mondo germanico, in Spagna e in Italia. In Italia ebbero un’influenza notevole nell’ambito della Scuola siciliana e dei successivi poeti toscani fino allo Stilnovo.