Un segno linguistico come la parola si divide in morfemi (nell’esempio di un verbo radice, vocale tematica, desinenza). La seconda articolazione è la divisione dello stesso segno in unità non ulteriormente segmentabili prive di significato, i fonemi la loro resa grafica, i grafemi.
Morfema o monema: segmento linguistico di grado superiore al fonema, portatore di significato. Esistono anche monemi costituiti da un unico fonema, detti morfofonemi. Il morfema è fornito di almeno un significato, uno stesso morfema può fornire diverse informazioni, caratteristica delle lingue flessive. Altra caratteristica è la relativa mancanza di discrezione (separazione): non è sempre possibile segmentare un termine facendo le adeguate distinzioni di morfemi (es agg masch pulchris dat o abl pl, si segmenta nei morfemi pulchr- e –is, ma –is è la fusione dei due morfemi vocale tematica o e desinenza is).
Definizione di lingua flessiva: lingua sintetica, cioè le cui parole sono composte dall’unione di più morfemi, che ha come caratteristica predominante la flessività.
Definizione di flessività: carattere linguistico consistente nella tendenza ad utilizzare morfemi polifunzionali non sempre tra loro discreti in posizione finale di parola per segnalare una determinata funzionalità sintattica.
Definizione di flessione: insieme dei mutamenti di parola in posizione finale volti a segnalare un mutamento funzionale. La flessione del nome e del pronome è la declinazione, quella del verbo la coniugazione. In italiano esistono le declinazioni ma molto meno evidenti del latino, e per determinare le funzioni sintattiche si utilizzano dei marcatori esterni.
Tipologie di morfemi
Desinenza: morfema variabile che definisce la funzionalità morfosintattica di una parola. La radice e il tema sono tendenzialmente invariabili; la loro funzionalità è semantica, veicolano il significato di una parola (il tema) o di una famiglia di parole (la radice).
Terminazione o uscita: morfema composto da una parte necessaria (desinenza) e da una accessoria (vocale tematica).
Tema: morfema costituito da una parte necessaria (radice) e da parti accessorie (infissi, prefissi, suffissi). La vocale tematica è un suffisso.
Suffisso: morfema che si salda alla radice nella sua parte posteriore.
Prefisso: morfema che si salda alla radice nella sua parte anteriore.
Infisso: morfema che si salda alla radice al suo interno.
Segmentazione in morfemi del verbo dixisset (Nat. Deor. I 1)
Dic: radice; s: suffisso; is: suffisso; se: suffisso; t: desinenza. Non ha vocale tematica.
Suffisso s: marca aspettuale, si trova in tutti i tempi del sistema temporale perfectum, insieme di tempi verbali con il medesimo tema e la stessa connotazione aspettuale; dal punto di vista funzionale li accomuna l’indicare l’azione conclusa. Si contrappone all’infectum, sistema di tempi con lo stesso tema e la stessa connotazione aspettuale, dal punto di vista funzionale indicano l’azione non conclusa, in corso.
Suffisso is: marca temporale, demarca il tempo passato.
Suffisso se: marca modale.
Forme radicali del perfectum attivo
Esistono quattro tipologie radicali o tematiche di perfectum attivo:
– il più diffuso è quello in ui-vi: è caratterizzato da un suffisso semivocalico che nel latino postclassico si è trasformato nella consonante labiodentale sonora in posizione postvocalica interna a parola. Questo tipo di perfetto è un’innovazione rispetto al perfetto delle altre lingue indoeuropee, ma è il più diffuso poiché probabilmente è un effetto della legge dell’analogia: legge di evoluzione linguistica che spinge ad uniformare ad un paradigma molto diffuso altre forme ad esso simili. Tra i verbi latini esiste un modello molto utilizzato che contiene il suffisso ui, il verbo sum (perf fui), quindi gli altri verbi al perfetto cercano di adeguarsi a questo modello. Questo perfetto è un’innovazione latina rispetto alle altre lingue indoeuropee.
– Perfetto sigmatico, cui appartiene dixisset: caratterizzato dalla suffissazione con spirante-dentale s; costituisce un’isoglossa tra latino e greco, già presente nell’indoeuropeo. Le funzioni sono però diverse: in latino il suffisso connota il perfectum, in greco l’aoristo; questo perfetto morfologicamente è un originario aoristo sigmatico, è dunque una componente linguistica sincretica, in cui si fondono l’aspetto ed il tempo (l’aoristo è una categoria riferita all’aspetto), ma in latino quella di perfetto è diventata progressivamente sempre più legata al tempo e non all’aspetto. Dal punto di vista fonologico può esserci tra radice e suffisso sigmatico fusione (dixi), giustapposizione (mansi), aplologia o semplificazione (da *sentsi sensi: nts è un nesso consonantico in cui si ha la caduta della dentale).
– Perfetto a raddoppiamento, altra isoglossa tra latino e greco, anzi un autentico perfetto indoeuropeo; raddoppia la consonante iniziale e vi è l’indispensabile interposizione di una vocale di solito palatale detta vocale d’appoggio; nella segmentazione il raddoppiamento è da considerare prefisso.
– Il meno diffuso è il perfetto a variazione o alternanza apofonica. Un esempio è il verbo venio, che all’infectum ha la radice caratterizzata da vocale breve, nel perfectum lunga, vi è una contrapposizione di quantità; il perfectum dunque si distingue dall’infectum dall’apofonia indoeuropea quantitativa. Ma vi sono casi di apofonia anche qualitativa: ago ha la vocale breve, egi ha la vocale lunga.
Definizione di isoglossa: somiglianza linguistica che documenta il legame genetico tra due o più lingue.
Nota: il sincretismo dei tempi è un fenomeno simile al sincretismo dei modi.
Definizione operativa della categoria di indoeuropeo: insieme di lingue, parlate simili proprie di popolazioni nomadi che si muovevano tra l’Europa orientale e l’Asia centro-settentrionale; intorno al 3000 cominciarono le migrazioni di questi popoli e le loro lingue furono introdotte nell’area; quasi tutta l’Europa e parte dell’Asia utilizzano ora lingue di ceppo indoeuropeo. È una lingua che i filologi tedeschi chiamavano primigenia, primitiva.
Analizzo la marca temporale del perfectum: dal punto di vista prosodico è biceps, la vocale può essere lunga o breve e i fonemi vocalici possono evolversi e cambiare: verbo dico, perf ind 3 plur dixerunt, non compare la marca ma la forma originaria ricostruita è *dixisont: la vocale tematica passa da o a u (oscuramento cioè introflessione del punto di articolazione di vocale breve in sillaba finale chiusa; o vocale velare media diventa u vocale velare estrema); per rotacismo la s diventa r (rotacismo: fenomeno di evoluzione fonetica per cui s sonora intervocalica diventa r, questo passaggio si attua intorno al III secolo); successivamente si ha la metafonia (cambiamento fonetico di natura fonosintattica, da i ad e quando il fonema palatale precede r, i due fonemi contigui si influenzano); la quantità delle due vocali è la medesima (vedi sulla metafonia le trasformazioni dei verbi a coniugazione mista), nel caso della metafonia vi è una estroflessione del punto di articolazione, dalla vocale estrema a quella media. Il piuccheperfetto risulta da un originario dixisam, con gli stessi passaggi; il futuro anteriore era dixiso; in questi casi il vocalismo è breve.
Analisi della marca modale: -se connota la forma come appartenente al modo congiuntivo. Nell’imperfetto essa trasforma la s in r per rotacismo, mentre resta inalterata nel piuccheperfetto.
Segmentazione del verbo successivo inquit:
In = prefisso; qu = radice; i = vocale tematica; t = desinenza.
Si tratta di un verbo composto ma non derivato, entrambe le categorie si oppongono al verbo semplice o primitivo. Il verbo derivato è un verbo la cui radice è amplificata da un suffisso: derivati sono i verbi incoativi, iterativi o frequentativi, desiderativi, queste idee si rendono con suffissi. I due meccanismi di costruzione verbale di composizione e derivazione non si escludono a vicenda. Secondo le ricostruzioni dei glottologi il verbo deriverebbe dalla radice indoeuropea secv o scv, ed il verbo deriverebbe dal grado zero dalla semplificazione del nesso consonantico cv e dalla conservazione della labiovelare; dal grado normale deriva invece insece (nell’incipit dell’Odussia di Livio Andronico).
Qu è un digramma, sequenza di due grafemi che rappresentano un unico fonema; sotteso ad esso vi è il fonema di una consonante occlusiva labiovelare sorda; il corrispettivo fonema sonoro è gu, ma mentre il sordo è sempre digramma gu lo è solo dopo consonante nasale dentale e davanti a vocale diversa da u (ad esempio nella parola anguis); il digramma trattandosi di una consonante fa sillaba con la vocale seguente, quindi anguis è bisillabo.
Segmentazione del verbo congredi:
Segmentazione del verbo congredi: con prefisso, gred radice, i terminazione. Il verbo è composto. Il verbo semplice da cui deriva è gradior, è una radice apofonica.
Definizione di apofonia latina: tendenza all’indebolimento (in i breve, u breve di solito) di una vocale breve in sillaba aperta originariamente collocata in sillaba iniziale o finale divenuta interna per derivazione, composizione o flessione. Lo stadio di i breve oppure u breve è l’estremo indebolimento, cioè l’estrema chiusura, poiché si tratta delle due vocali estreme; la chiusura può limitarsi anche alla vocale media. Nel caso di congredi: si parte dal primitivo gradior, che è trisillabo, la vocale a soddisfa tutte le caratteristiche elencate nella definizione; la sillaba in cui si trova diventa interna alla parola per composizione; c’è stato un indebolimento che ha portato ad un fonema intermedio: nel caso di facio e dei suoi composti l’indebolimento porta alla vocale palatale estrema. Nel caso di manica, derivato da manus, abbiamo un indebolimento che dà un esito atipico, da u breve ad i breve. Nel caso di certaminis e breve si riduce ad i breve, l’esito è una sillaba aperta ed è passata da finale ad interna per la flessione del sostantivo certamen, in cui la sillaba era chiusa.
La causa dell’apofonia latina è la posizione dell’accento primitivo protosillabico intensivo, che secondo gli studiosi aveva regole diverse da quelle che avrà in epoca storica. Periodo primitivo di una lingua è quello precedente alla prima testimonianza scritta, che per il latino è il lapis niger del VI secolo a. C. L’accento era protosillabico perché non soggetto alle tre leggi dell’accento ma aveva una sede fissa, la sillaba iniziale; questa caratteristica è comune anche alla fase antica di altre lingue italiche come l‘osco. L’apofonia è diversa dalla metafonia: quest’ultima affonda le sue radici nella fonosintassi, la chiusura del fonema nell’apofonia è dettata dall’influsso non di fonemi ma dell’accento, quindi non da un elemento segmentale ma da un elemento soprasegmentale. Diversa dall’apofonia latina è l’apofonia indoeuropea, che è un fenomeno funzionale mentre non lo è quella latina: infatti il cambiamento di fonema in latino non riflette un cambiamento di significato, ma è solo formale.
Concetto di coniugazione
Abbandonare la coniugazione mista, è una notazione insoddisfacente, così come lo è la distinzione in quattro paradigmi flessivi. Il criterio con cui la grammatica normativa classifica i verbi in coniugazioni è la loro vocale tematica. Ma in questo senso si deve distinguere la coniugazione che non ha vocale tematica (verbi atematici) e la coniugazione con vocale tematica. I verbi cosiddetti anomali aderiscono parzialmente al modello di coniugazione atematica, in latino nessun verbo ha coniugazione del tutto atematica, come avviene anche per i verbi in mi in greco; sempre in uno stesso paradigma si alternano forme tematiche ed atematiche (est atematico, erit tematico). L’insieme della coniugazione tematica si divide in due sottinsiemi inbase alla quantità della vocale tematica. Il sottinsieme dei verbi in vocale lunga comprende verbi in a lunga, e lunga, i lunga (cosiddette prima seconda e quarta coniugazione). Il sottinsieme dei verbi in vocale breve comprende verbi in a breve, e breve/o breve, i breve; i primi sono esistiti ma si sono estinti ed i temi che avevano questa vocale tematica sono confluiti nella serie in a lunga. Un verbo in a breve era sto, il cui perfetto steti ha vocale e originata per introflessione da una a breve; il paradigma di sto ha alternanza apofonica a/e come il corradicale hìstemi greco. Anche il verbo do aveva vocale tematica a breve; ne sono spie il paradigma del giustapposto circumdo… circumdatum con vocale breve, ed il fatto che i suoi composti come perdo passano alla cosiddetta terza coniugazione per apofonia latina. Il verbo dare è della coniugazione atematica, la a breve dell’infinito presente è parte della radice, l’infinito è una forma atematica nata dalla radice indoeuropea d scwa. L’insieme dei verbi in e breve, la cosiddetta terza coniugazione, ha in realtà alternanza vocalica e breve/o breve: le persone del presente indicativo di lego eccetto la prima singolare hanno subito un fenomeno di oscuramento: leges legit, legont legunt. In alcune forme dei verbi in i breve questa vocale si è aperta per metafonia in e, ad esempio prima di r o in fine di parola; ciò fa pensare a una somiglianza con il paradigma flessivo della terza coniugazione. Dunque si distinguono due macroinsiemi tra tutti i verbi e cinque sottinsiemi dei verbi tematici (l’insieme in a breve è vuoto, dare fa parte del macroinsieme atematico). Si possono fare distinzioni diverse se si considera la grammatica diacronica: verbi in consonante, semivocale o vocale.
Segmentazione del verbo conatus:
Con: radice; a: vocale tematica; tus: terminazione: desinenza è s, u è un’altra vocale tematica, t suffisso dentale.
Conatus deriva da un originario conatos, diventato conatus per oscuramento. La vocale a indica l’appartenenza ad un paradigma flessivo, alla coniugazione tematica in a lunga; u denota l’appartenenza allo schema flessivo della declinazione degli aggettivi a tre uscite in us-a-um. La presenza di queste due vocali tematiche è segnale della natura ambigua del participio, sia nominale sia verbale. La forma originaria conatos mostra analogia con gli aggettivi verbali greci in tos-te-ton, è un’isoglossa tra latino e greco.
Forma e diatesi verbale
Definizione di diatesi verbale: classificazione logica del verbo in base al rapporto esistente tra soggetto ed azione verbale. Si distinguono la diatesi attiva, passiva e media, le prime due sono considerate come sottotipi di un’unica tipologia che si oppone a quella media: essa infatti è distinta dal segmento della partecipazione interiore del soggetto all’azione, cioè il coinvolgimento emotivo del soggetto o la riflessività dell’azione, assente nelle altre due diatesi. La diatesi attiva rappresenta un’azione svolta dal soggetto e destinata a ricadere all’esterno del soggetto stesso; la passiva indica un’azione che dall’esterno si riverbera sul soggetto; la media rimane nell’ambito del soggetto, o sottolinea il coinvolgimento emotivo (azione verbale intransitiva) o dal soggetto si riverbera sul soggetto (azione riflessiva). In latino la diatesi media non dispone di marche formali proprie, a differenza del greco; dunque è presente ma si oscura, non è immediatamente evidente, cosa che condurrà alla sua eliminazione ed infatti il medio non esiste nelle lingue romanze.
Definizione di forma verbale: classificazione morfologica del verbo in base alle desinenze verbali. In greco esistono due forme verbali complete di tutti i tempi, di attivo e medio, ed altre specifiche del passivo dell’aoristo e del futuro; in latino esistono due forme complete della coniugazione attiva e passiva.
Il concetto di diatesi non è pari per estensione in greco e in latino, quest’ultimo ha un concetto di diatesi media più ampio: in latino la funzione riflessiva è inclusa nel medio, in greco invece si ricorre ad una forma attiva con o senza un pronome riflessivo; l’azione autopàtheia non è mai espressa dalla serie desinenziale del medio.
Relazione tra forma e diatesi (la forma si evince dalla desinenza): la forma dovrebbe veicolare la diatesi, a forma attiva corrisponde diatesi attiva e viceversa, la forma attiva è espressione della diatesi attiva, e ciò accade nella maggior parte dei casi. Ma alcuni pochi verbi hanno la forma attiva ma diatesi passiva, per esempio il verbo fio: è semideponente per forma, ma ha diatesi passiva, dal significato intransitivo di divenire si ha il passivo essere fatto; lo stesso vale per perdo (passivo pereo) e vendo (passivo veneo) nei quali da un significato intransitivo (vado in malora, vado in vendita) si sviluppa quello passivo (sono perduto, sono venduto).
Talvolta la forma passiva esprime una diatesi media o attiva, osservazione già degli antichi grammatici, all’origine della creazione della categoria di verbo deponente, cioè che a deposto la propria forma attiva per assumerne una passiva. È tuttavia possibile trovare ragione di questa sfasatura attraverso la grammatica diacronica: in latino sono medi i verbi di tre tipologie: 1) verbi queror, intransitivo, che risponde all’idea indoeuropea di medio attestata in varie lingue del ceppo, esprimono un’azione emotivamente partecipata, un sentimento; 2) tipologia lavor, cioè mi lavo, verbi propriamente riflessivi dunque transitivi, nei quali il coinvolgimento emotivo proprio del medio risiede nella circolarità dell’azione, partecipata perché si riflette sul soggetto agente; 3) tipologia uror, cioè bruciarsi ardere in senso fisico che si è evoluto poi dal senso primitivo concreto a quello astratto e metaforico, verbo intransitivo, non si coglie nell’originario senso fisico il coinvolgimento emotivo, è una tipologia misteriosa. I verbi riflessivi della seconda tipologia possono essere anche in forma attiva accompagnata da un pronome: lavor oppure me lavo.
Alcuni verbi transitivi attivi hanno forma desinenziale passiva, quelli del tipo hortor, la ragione è misteriosa; è possibile che in origine fossero connessi con il medio, e sarebbero diventati attivi per una successiva evoluzione semantica. Pochi sono i verbi che hanno tutte le diatesi espresse dalle due forme: es frango diatesi attiva forma attiva, io spezzo; frangor forma passiva diatesi passiva, sono spezzato; frangor forma passiva diatesi media, mi spezzo; è un esempio del tipo uror, azione fisica avvicinata al medio.
Segmentazione del verbo sim:
s: radice; i marca modale dell’ottativo; m: desinenza da ottativo.
In questo verbo abbiamo morfemi eredità dell’ottativo indoeuropeo; si evidenzia dunque il carattere sincretico del congiuntivo latino e la sua eterogeneità anche in ambito morfologico. È chiaro che la i modale del verbo è assimilabile ad oi lungo del greco, caratteristico dei verbi tematici; mi desinenza greca della prima persona singolare corrisponde ad m, forma scempiata ad essa geneticamente collegata.