Alan Turing, matematico inglese. Nel 1935 inventò una ideale macchina informatica (dotata di un nastro e capace di muoverlo nei 2 sensi, leggere le cifre 1 o 0 registrate su di esso e registrarne o cancellarne altre sullo stesso nastro). Durante la II Guerra Mondiale collaborò a decifrare i messaggi che i tedeschi crittografavano con la loro famosa macchina Enigma. All’epoca dei primi studi sulle “macchine pensanti” si occupò delle caratteristiche distintive della mente, proponendo un test per il riconoscimento di esseri intelligenti.
Il primo test proposto da Turing si svolgeva in due parti. Nella prima un operatore comunicava per telescrivente con un uomo e una donna che stavano in stanze diverse: dai loro messaggi cercava di capire chi fosse l’uomo e chi la donna, mentre i due cercavano di trarre in inganno l’operatore. Nella seconda parte veniva sostituito un computer all’uomo o alla donna e l’operatore avrebbe dovuto riconoscerlo. Il computer, dunque, cerca di dimostrare la sua intelligenza solo ricevendo e trasmettendo simboli (alfanumerici, cioè lettere e numeri).
Il pensiero, però, dovrebbe includere l’abilità di stabilire connessioni significative fra i simboli e segnali (visivi, uditivi, tattili) provenienti dal mondo esterno. Forse questa abilità non appartiene a tutti i computer capaci di passare il test di Turing. Per questo sono stati proposti test più completi.
Per passare il test di Turing, un computer dovrebbe essere capace di fuorviare lo sperimentatore. Questo implica che la macchina dovrebbe aver registrato conoscenze sui comportamenti e i processi umani e anche sui comportamenti che gli uomini si attendono dalle macchine. Questo computer dovrebbe avere una qualche forma di autocoscienza per essere capace di costruire frasi concernenti i suoi stati e processi interni.
Se guardiamo dentro di noi, ci accorgiamo che molti pensieri non hanno alcun bisogno di simboli letterali o numerici. Possiamo avere in mente un’immagine vivida di una persona e possiamo descriverla a parole (con simboli, ma in modo non univoco) senza ricordarne il nome. Chi ci ascolta, se la conosce, può riconoscerla dalla nostra descrizione e può fornire altri dettagli che la descrivono. Ma oggi questo tipo di comunicazione, consueta fra esseri umani, pare che non possa essere effettuata da macchine. Dunque anche una macchina capace di passare il test di Turing sarebbe attualmente incapace di emulare comportamenti umani piuttosto ordinari come quelli descritti. La conclusione è che l’intelligenza artificiale forte, dopo tutto, non è tanto forte.
Sappiamo bene, infine, che i computer sono capaci di risolvere in tempi brevissimi problemi matematici e logici – sono stati progettati e costruiti proprio per questo! A questo scopo, naturalmente, devono essere stati muniti di programmi adeguati (software), ma al loro funzionamento governato dal programma non attribuiamo doti di intelligenza. Paradossalmente per passare il test di Turing un computer dovrebbe essere tanto furbo da far finta di non saper trovare in tempi brevi la soluzione di problemi matematici oppure dovrebbe dare risposte sbagliate – come le sbaglierebbe un uomo.