Quando un bambino è indaffarato con i suoi pentolini in miniatura non sta cucinando: gioca. Quando un parodista riscrive una poesia, gioca ma sta facendo anche della letteratura. A dispetto di quanto sarebbe necessario per la definizione di un gioco, è dunque difficile separare i «giochi letterari» dalla «letteratura vera e propria», anche perché la letteratura stessa esibisce alcuni tratti che sono tipici del gioco: la gratuità, il carattere fittizio e artificioso, talvolta il carattere di esercitazione. Esistono forme letterarie in cui si manifestano le pulsioni fondamentali al gioco che sono state descritte da Roger Caillois (Les jeux et les hommes, 1958 e 1967): l’impulso alla competizione regolata (agon), l’impulso ad abbandonarsi al verdetto del caso (atea), l’impulso alla simulazione e al travestimento (mimicry), la ricerca della vertigine e della perdita di sé (ilinx).
Competizione
Le forme letterarie dell’agon sono antichissime. Le sfide a enigmi, discendenti dal mito della Sfinge, sono fondamento della sapienza greca (G. Colli) e sono presenti in ogni epoca e cultura (J. Huizinga). Ne sono a loro volta derivate logomachie, tenzoni poetiche e dispute dialettiche di vario genere, che in alcuni casi sono sopravvissute fino ai nostri tempi, come forme del folklore (l’improvvisazione poetica delle ottave in Toscana; l’alburéa gallurese), come giochi (la moda salottiera delle sciarade) o come spettacoli (il quiz televisivo, le gare di free style nella musica hip-hop). In campo strettamente letterario, qualche residuo di gusto agonistico è tuttora presente nella cerimonia dei premi e nelle classifiche dei best-seller.
Il fenomeno peculiarmente italiano dell’enigmistica è tributario sia della cultura «alta» che del folklore: si articola in gare per la composizione e la risoluzione di testi sistematicamente ambivalenti, per la presenza di doppi sensi o per operazioni sul piano dell’espressione, secondo gli schemi dell’anagramma, dell’incrocio, della sciarada (il vento le foglie «aduna ad una ad una ad una duna» è una sciarada a frase di A. Campanile).
Una forma di sfida dall’autore al lettore, a un livello agonistico meno regolato e anzi irrituale, è costituita dalla presenza di elementi criptici nel testo, come accade nell’allegoria (Dante), nella letteratura a chiave (M. Proust), o con l’uso di pseudonimi (Rabelais), messaggi cifrati (in Ricordi di egotismo Stendhal scrive: «devo approfittare del mio dolore per u. L. 18», ovvero «uccidere Luigi XVII), acrostici (Boccaccio), enigmi narrativi (A. Christie).
Caso
In letteratura è difficile trovare l’alea allo stato puro: normalmente è preceduta da una fase preparatoria, in cui l’autore dispone coscientemente gli elementi su cui farà agire il caso. Succede così nel collage (T. Tzara), nei cadaveri squisiti (surrealismo, J. Prévert) e nella letteratura combinatoria: dalla cabala al Livre di Mallarmé, dalle macchine per produrre proposizioni e aforismi (J. Swift, R. Wilcock, Bénabou) ai sonetti combinatori di R. Queneau, dai libri-game agli attuali ipertesti. In ognuno di questi casi, il percorso dal senso al caos può concludersi con un ritorno al senso, ossia con il tentativo di interpretare la distribuzione caotica ottenuta: è quanto si verifica nella composizione di anagrammi (le lettere di una parola vengono distribuite caoticamente e ricomposte per formarne una diversa; Licofrone, sec. in a.C.). Nessuna fase preparatoria, invece, è richiesta dalla scrittura automatica (A. Breton), dalla composizione a partire da elementi arbitrari (R. Roussel: Come ho scritto alcuni miei libri, per scoprirne i meccanismi; Impressioni d’Africa, per vederne gli esiti) e dalla poetica del lapsus (A. Savinio). L’uso oracolare dei libri (bibliomanzia) è pure fondato sull’atea, come anche la lettura trasversale.
Simulazione
I due ingredienti della mimicry, simulazione e travestimento, ineriscono direttamente all’attività letteraria: c’è simulazione nell’invenzione fantastica (di personaggi, animali, luoghi, parole e addirittura lingue); c’è travestimento in ogni gioco di enunciazione narrativa, e in ogni relazione di omaggio, plagio, pastiche, parodia fra un autore e l’altro. La mimicry arriva ad annettersi territori sconfinati come la dissimulazione, l’arguzia, l’ironia. Ma si può parlare di giochi? Il gioco potrebbe cominciare, più propriamente, quando la letteratura diventa meta-letteratura, e propone simulazioni di simulazioni, travestimenti di travestimenti: il libro che finge di essere un manoscritto ritrovato avventurosamente (A. Manzoni: i suoi Promessi sposi sono sottotitolati «Storia milanese del sec. XVII scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni»); il racconto di racconti (M. Bontempelli, La vita intensa; I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore); la prefazione scritta da un personaggio del racconto (J.L. Borges, U. Eco, V. Nabokov, I. Svevo); l’uso non solo criptico dello pseudonimo (F. Pessoa).
La mimicry richiede di attenersi non a regole ma a modelli. Regole precise possono però essere sovrapposte al modello, come nel lipogramma (Laso di Ermione, sec. vi a.C.), nel rovesciamento di significato (E. Zamponi, Draghi locopei, che è l’anagramma di °giochi di parole») e in genere negli esercizi di stile (R. Queneau).
La mimicry include i travestimenti figurativi del linguaggio: carmi figurati (Teocrito, sec. .1i a.C.), calligrammi (G. Apollinaire), poesia verbo-visiva (P. Klee), strategie tipografiche (F.T. Marinetti), imprese (Accademia della Crusca), emblemi (A. Alciato), rebus (Leonardo da Vinci).
Una regione della mimicry molto prossima al gioco di parole vero e proprio è la costruzione di unità a partire da elementi dati, che si realizza nei mots-valises (J. Joyce) o nell’etimologia popolare (G.G. Belli).
Vertigine
L’ ilinx è la ricerca della vertigine, della perdita di sé, della perturbazione della percezione. La vertigine della letteratura è il nonsenso: paradossi (L. Carroll), limerick (E. Lear), filastrocche paronomastiche (T. Scialoja), bisticci (Guittone), aforismi (K. Kraus) e witz (S. Freud), elenchi caotici (C.E. Gadda), accozzamenti bizzarri (Burchiello), sistematiche dell’ossimoro (F. Villon), mise en abime (A. Gide, G. Perec), poetiche dell’assurdo (E. lonesco) causano, ognuno in modo differente, un capogiro della logica.
ANAGRAMMI E PSEUDONIMI
Francois Rabelais = Alcofribas Nasier (pseud. con cui firma «Gli orribili e spaventevoli fatti e prodezze del molto rinomato Pantagruel, re dei Dipsodi, figlio del gran gigante Gargantua»).
Trilussa = Salustri (Carlo Alberto).
Teofilo Folengo = Merlin Cocai, 1° pseudonimo, e Limerno Pitocco, 2° pseudonimo, parziale anagramma del 1°.
L’autore come giocatore
Roger Caillois distingueva il gioco che si svolge a partire da una spontaneità improvvisata e sorgiva (paidia) dal gioco in quanto strettamente regolato (ludus). Applicato alla nostra materia, il ludus equivale alla «restrizione» (contrainte) teorizzata dall’Oulipo, e incarna il gioco letterario in senso stretto, a qualsiasi delle quattro categorie individuate venga riferito. Si può descrivere il ludus come un solitario in cui il giocatore sfida se stesso a superare un ostacolo, a compiere un esercizio particolare. La rima, che pure è uno strumento di mimicry sonora, non è avvertita come gioco finché non satura il verso in modo maniacale e totalizzante, come nei versi olorimi (V. Hugo) o nei leporeambi (L. Leporeo). Del resto, in una nota al libro Il castello dei destini incrociati, Calvino racconta il difficile ludus attraverso cui è riuscito a combinare lo schema d’incrocio dei tarocchi (e questa nota non è il racconto meno appassionante del libro).
La regola del gioco è già una regola letteraria. Un racconto che parli di palindromi (frasi che si possono leggere anche da destra verso sinistra, come «È fedel, non lede fe’/ e Madonna annod’a me”: biglietto che accompagnava il regalo di un anello a Eleonora Duse da parte di Arrigo Boito) contiene palindromi a tutti gli effetti (P. Levi): invece un racconto in cui si parli di cibo rimane insapore e il suo autore non diventa cuoco, neppure se narra ricette. Le ricette potrebbero essere immaginarie, ma non esistono palindromi (o altri giochi) «immaginari»: il gioco non è raccontato dalla letteratura, ma ne è parte.
LAPSUS, MOTS-VALISES E LEPOREAMBI
«Familionario» è un lapsus studiato da S. Freud, ma è anche una parola-valigia (familiare+milionario). Spiega Humpty Dumpty ad Alice: «È come un baule, capisci, ci sono due significati imballati dentro a un’unica parola» (così Alice sa che «pratiale» è un prato artificiale).
Ci sono anche parole-valigia allo stato naturale: è il caso di «retorica», che è una retata storica. Il leporeambo è un sonetto virtuosistico, gremito di rime al mezzo, bisticci e allitterazioni, inventato da L. Leporeo, poeta italiano del Seicento; ma è anche una parola-valigia: da Leporeo e ditirambo.
ELENCO CAOTICO
E poi ancora Milano, Como, Brescia, i Tubi Togni, Busto Arsizio, la lega lombarda, I’S.P.Q.R., San Giorgio e San Marco, il «vecchio» Piemonte, le virtù militari del «vecchio» Piemonte, ed Emanuele Filiberto, e Carlo Emanuele primo: ma però il Papa, però Garibaldi: il Gianicolo, il faro del Gianicolo bianco rosso e verde: però Michelangelo, la Città Eterna, detta anche l’Urbe: e le case popolari, e la modema edilizia, e i moderni finanziamenti della grande edilizia. E finalmente il crak.
(Da «L’Adalgisa» di C.E. Gadda)
VERTIGINE E NONSENSO
1
«C’era un vecchio di Berlocchi
Dai costumi tristi e sciocchi; Si sedeva, per mangiare
Pere e mele, sulle scale,
Quell’imprudente vecchio di Berlocchi».
(Limerick di E. Lear;)
2
«Con il verme di Viterbo venerdì venni a diverbio»
«Il tenore fa le scale per le scale della Scala».
(filastrocche paronornastiche di T. Scialoja e A. Campanile;)
3
«Gioia gioiosa», «altera altezza».
(bisticci di Guittone;)
4
«Una delle malattie più diffuse è la diagnosi».
(aforisma di K. Kraus;)
5
«Nominativi fritti e mappamondi
e l’arca di Noè tra due colonne
cantavan tutti chirieleisonne
per l’influenza de’ tagliar mal tondi».
(accozzamenti bizzarri di Burchiello)
REBUS
Questa frase (8,7) da ventaglio, non firmata, non datata, è un ritaglio banale,
da un giornale: un uomo, che porta un GE sopra una spalla destra, suda, per una sega,
seriamente, lì alle prove con una lignea e liscia cosa numero 9: seguono due finestre
con imposte quasi del tutto aperte, legate con un’L.
(Poesia-rebus di E. Sanguinati. Soluzione: genovese galante.)
LIPOGRAMMA
Aiuole obliate gialle d’erba, sa
un cupo brusio smuovervi, allusione
ad altre estati, cetonia blu-violetta,
enunciando noumeni oscuri: tutto fu
sarà ed è in circolo: dunque è sempre
presente nelle eterne senescenze
e effervescenze d’ere, nel serpente
Lipogramma è un testo in qui non compare mai una lettera dell’alfabeto prestabilita. Nella poesia di I. Calvino, i primi 4 versi formano quello che si potrebbe chiamare un lipogramma progressivo vocalico: nel primo verso, ogni parola elimina una vocale; nel secondo, la reintegra; terzo e quarto ripetono lo schema inverso. Anche gli altri versi riservano delle sorprese…
SONETTO COMBINATORIO
Le cheval parthenon s’enerve sur sa frise
pour du fin found du nez exciter les arceaux
le chauffeur indigene attendait dans la brise
des narcisses on cueille ou bien on est veaux
Il deplore il deplore une telle mainmise
oui clochard devenant jetait ses oripeaux
l’un et l’autre ont raison non la foule imprecise
l’enfant pur aux yeux bleus aime les berl ingots
Le brave a beau cier ah cre nom saperlotte
on compait les esprits aceres a la hotte
lorsqu’on revient au port en essuyant un grain
Ne fallait pas si loin agiter ses breloques
les banquiers d’avignon changent-ils les baioques?
Le beaune et le chianti sont-ils le meme vin?
Compose par queneau r
D’apres Raymond Queneau
No 012345678912345
ACROSTICO
«Da un lago svizzero»
Mia volpe, un giorno fui anch’io il «poeta
assassinato»: là nel noccioleto
raso, dove fa grotta, da un falò;
in quella tana un tondo di zecchino
accendeva il tuo viso, poi calava
lento per la sua via fino a toccare
un nimbo, ove stemperarsi; ed io ansioso
invocavo la fine su quel fondo
segno della tua vita aperta, amara,
atrocemente fragile e pur forte.
Sei tu che brilli al buio? Entro quel solco
pulsante, in una pista arroventata,
àlacre sulla traccia del tuo lieve
zampetto di predace (un’orma quasi
invisibile, a stella) io, straniero,
ancora piombo: e a volo alzata un’anitra
nera, dal fondolago, fino al nuovo
incendio mi fa strada, per bruciarsi.
(Nelle prime lettere di ogni verso E. Montale ha celato il nome dell’amica Maria Luisa Spaziani.)
L’«Amorosa visione» di Boccaccio è un poema in 50 canti di terzine dantesche incatenati da un enorme acrostico che, con le iniziali di ogni terzina e con il verso finale di ogni canto, forma tre sonetti: due dedicati a Madama Maria (d’Aquino) e uno ai lettori.