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Il tempo è una realtà che può essere utilizzata in senso assoluto o relativo. La prospettiva di studio differente da quella della grammatica normativa è fornita dalla grammatica diacronica, ed ha come centro la proposizione subordinata ed i tempi in essa utilizzati. Esiste una correlazione tra tempi di reggente e subordinata con tutti i modi e non solo con il congiuntivo (ovvio); la consecutio è di solito più sistematizzata in presenza di congiuntivo nella subordinata; all’infinito si parla di consecutio per analogia con il comportamento di indicativo e congiuntivo. La lingua si può studiare da diverse prospettive, in base alle variabili diastratica, diacronica, diafasica, diatopica e diamesica;
Se si studia la lingua prescindendo dalla sua evoluzione nel tempo, per esempio in rapporto alla variabile diatopica, si parla di sincronia; la grammatica normativa è sincronica, ha per oggetto il latino classico, quello utilizzato tra la seconda metà del I secolo a. C. e la prima metà del I secolo a. C.
Distinzione tra tempo assoluto e relativo
Le categorie di tempo assoluto e relativo risalgono al XVII secolo, introdotte dai grammatici di Port Royal; fino ad allora l’approccio allatino era stato ad una lingua viva, e non si riduceva alla pura formalizzazione di norme, ma si integrava l’insegnamento con opere di ascolto e confronto con il latino parlato. Sono usati come relativi i tempi verbali che si riferiscono al tempo di un’altra azione o stato verbale; esprimono dunque idea di anteriorità, contemporaneità o posteriorità. Sono usati come assoluti quelli che esprimono il tempo in sé, il tempo di chi scrive o di chi parla. Sono usati di più come relativi l’imperfetto e il piuccheperfetto di congiuntivo e indicativo, ed il futuro anteriore indicativo; come assoluti il presente e perfetto indicativo e congiuntivo ed il futuro semplice indicativo; ciò vale nella maggior parte dei casi ma non è una regola. La gamma dei tempi assoluti può riferirsi al personaggio immanente al testo o allo scrittore che si esplicita nel testo.
Individuazione di una tripartizione delle subordinate
Applicando questa suddivisione alla sintassi si dividono le subordinate in tre gruppi:
– Subordinate in cui si possono utilizzare sia tempi assoluti sia relativi, senza contraddire l’accettabilità dell’enunciato; il fatto che si usi una o l’altra categoria di tempo produce sensibili differenze. Esempi: a philosophis diu disputatum est quid sit bonum / quid esset bonum. Entrambe le categorie sono accettabili allo stesso modo: quid sit non è una violazione della consecutio pur essendoci un tempo storico nella reggente, scarto dalla grammatica normativa. Quid esset è l’alternativa che si adegua alla sfera cronologica della sovraordinata; quid sit non si adegua ad essa, è assoluto, fa riferimento al tempo di chi scrive ed a ciò che egli desidera dire in rapporto con il suo tempo; quid sit indica perciò una condizione perpetua ed universale; quid esset mantiene l’attenzione sul passato, si relativizza il concetto di bene limitando la considerazione a come era ritenuto nel passato. Secondo esempio (da Cic): quid Oppianicum metuebat cum ille verbum nullum facere potuerit? Nella subordinata si sarebbe potuto usare potuisset, con gli stessi esiti dell’esempio precedente: potuerit = dal momento che egli non ha potuto proferire parola; potuisset = dal momento che egli non aveva potuto proferire parola. Potuerit attualizza il silenzio di Oppianico fino ai tempi di Cicerone, di quell’actio che egli sta pronunciando; potuisset mantiene l’azione circoscritta alla vicenda di cui si sta parlando, il metus viene provato nel passato e così il silenzio di Oppianico è passato. Si può aggiungere per chiarezza nella traduzione un avverbio di tempo: con potuerit = fino ad ora; con potuisset = fino ad allora. Non si tratta dunque di un’infrazione della consecutio nel caso di potuerit, infatti essa si può applicare solo ai tempi relativi.
In altre subordinate si usano solo tempi assoluti: esempio: quamquam nunc magnas divitias habet, olim pauper fuit. È un caso di consecutio dell’indicativo. Non si può sostituire habet con habebat, l’enunciato non sarebbe plausibile e perderebbe il senso. Habet è un tempo assoluto perché riferito al tempo di chi riporta la notizia.
Il terzo gruppo comprende subordinate solo contempi relativi, soggetti alla consecutio che mutano al mutare del tempo del verbo reggente. Esempio: mitto ad te libros ut legas. Il congiuntivo presente della subordinata è relativo perché contemporaneo al verbo reggente; sostituirlo con legeres farebbe perdere senso all’enunciato.
Conseguenze della tripartizione
è evidente l’estensione della consecutio temporum quando si applica questa griglia valutativa ad un testo; essa è minore di quanto appaia dalla grammatica normativa: in ogni singolo caso bisogna verificare per quale motivo si usi un tempo e non un altro, non si tratta sempre di applicazione della consecutio. Due esempi:i n metu sum ne aegrotus sim; satis fortis sum quamvis aegrotus sim. Essi sono equivalenti solo in apparenza, sembrano entrambe applicazioni della consecutio, contemporaneità rispetto a tempo principale. In realtà essa è applicata solo nel primo esempio,in cui il tempo ha valore relativo; nel secondo caso l’enunciato è plausibile anche se si sostituisce il tempo della sovraordinata con un tempo storico, mantenendo il congiuntivo presente nella subordinata, dunque non è applicata la consecutio perchè ci troviamo di fronte ad un tempo assoluto.
Violazioni della consecutio temporum
In alcune subordinate che utilizzano tempi relativi si hanno deroghe rispetto alla tendenza generale; gran parte di questi casi sono episodi di prevalenza del valore assoluto del tempo verbale sull’atteso uso relativo. Esempio (Cic. Verr.): “a vobis ita arbitror spectari oportere quanti haec venire soleant, quanti haec ipsa, si palam libereque venirent, venire possent”. Traduzione: ritengo che voi dobbiate considerare in questo modo a che prezzo queste merci sono solite essere vendute, a quanto queste stesse merci potrebbero essere vendute se fossero poste in vendita apertamente e liberamente. Le subordinate che siano dipendenti da un infinito presente o futuro, regolano il proprio tempo sulla base della reggente dell’infinitiva; se invece dipendono da un infinito perfetto, applicano la consecutio alla frase all’infinito, ci si comporta come in dipendenza da un tempo storico. Per decidere se i tempi delle soggettive interrogative siano assoluti o relativi dobbiamo modificare il tempo del verbo principale arbitror: soleant ha un valore relativo, è riferito alla situazione presente; se avesse avuto valore assoluto sarebbe stato al perfetto, sciolto da ogni evento contingente, sarebbe stato venire solitae sint: soleant ha valore di presente durativo, solitae sint ha valore aoristico. Questo tempo relativo è riferito ai prezzi contemporanei senza allusione prospettica al futuro, mentre venire possent è una deroga alla consecutio. Il motivo si comprende dal congiuntivo irreale della subordinata condizionale, che esprime irrealtà nel presente; possint non avrebbe reso l‘idea di irrealtà nel presente che Cicerone vuole esprimere; la deroga dunque è motivata dal prevalere del valore assoluto perché si vuole sottolineare l’irrealtà dell’enunciato, idea che si rende con il congiuntivo imperfetto; si traduce con potrebbero perché è un caso che non può verificarsi, perché è Verre che decide i prezzi e le merci non si vendono palam libereque. Le sostantive interrogative ammettono sia l’uso di tempi assoluti sia relativi.
Consecutio nelle sostantive
In genere esse presentano tempi relativi, che seguono la consecutio, ma in alcuni casi soprattutto nelle sostantive interrogative esigenze di senso conducono all’uso di tempi assoluti. Il fatto che di norma ci siano tempi relativi non è originario, lo stato primitivo di queste proposizioni era 1) in origine erano coordinate, solo giustapposte paratatticamente agli enunciati dai quali in seguito sarebbero state percepite come dipendenti, l’ipotassi si sviluppa dalla paratassi; 2) il congiuntivo che marcava le affermative era volitivo/esortativo, le dubitative da uno volitivo/dubitativo; 3) le congiunzioni che le introducono erano avverbi, diventeranno congiunzioni con l’origine dell’ipotassi.
Es: impero ut hoc facias, ti comando di fare ciò; al suo stato primitivo era: ut hoc facias! Impero,su fai ciò! Te lo comando. Lo stesso vale per le interrogative, con la differenza che il congiuntivo non è esortativo ma dubitativo. L’evoluzione ipotattica della paratassi ebbe due conseguenze notevoli: 1) conversione d’uso del tempo verbale, due proposizioni prima giustapposte diventano collegate ed il tempo della subordinata da assoluto diventa relativo, nasce la consecutio; 2) questo stesso passaggio porta ad un’articolazione maggiore nell’uso dei tempi, soprattutto per quanto riguarda il congiuntivo dubitativo, a presente ed imperfetto di questo congiuntivo si affiancarono per esprimere anteriorità perfetto e piuccheperfetto, per esprimere posteriorità perifrastica attiva con il verbo esse al presente o all’imperfetto.
Esempio di tempo assoluto (Cic. Pro Vatinio) quaero… cur Cornelium non defenderem; in luogo del congiuntivo imperfetto sarebbe stato possibile usare il presente, tempo relativo, ed entrambi gli enunciati sarebbero stati plausibili, con esiti espressivi diversi. Traduzione con il tempo relativo: ora mi chiedo perché io non stia difendendo Cornelio, oppure si può dare valore dubitativo: domando ora perché non dovrei difendere Cornelio; sono entrambi usi relativi del tempo, nel primo caso Cicerone non sta difendendo Cornelio e se ne domanda il motivo, nel secondo o si accinge a difenderlo o lo sta difendendo e si domanda perché non dovrebbe farlo. Traduzione con il tempo assoluto: mi chiedo ora perché non avrei dovuto difendere Cornelio; qui Cicerone ha già difeso Cornelio e domanda perché non avrebbe dovuto farlo, l’enunciato ha senso poichè l’imperfetto esprime un dubbio sul passato di chi parla. Prevale quindi l’uso assoluto e questa deviazione dal normale uso relativo è indotta dalla volontà dell’autore di trasmettere un messaggio altrimenti non chiaro. Questo discorso si applica anche alle affermative al congiuntivo: introdotte da ut volitive (negazione ne), introdotte da ut dichiarative (negazione ut non), sostantive introdotte da quin o quominus, volitive paratattiche. Nel latino postclassico a queste quattro tipologie di sostantive si affiancano quelle introdotte da quod quia quoniam; ciò è all’origine dell’italiano uso del che come congiunzione dichiarativa.