Prima di parlare della porpora, del suo trattamento e delle specie di molluschi gasteropodi utilizzate in tale procedimento è necessario innanzitutto riportare alcune precisazioni sul popolo che probabilmente ne effettuò la scoperta: i Fenici.
Nonostante recenti studi inducano a pensare che gli scopritori-inventori della porpora furono gli abitanti di un paesino dal nome di Ugarit, in Siria, coloro che sono passati alla storia per tale processo sono i Fenici, un popolo di abili navigatori e commercianti che viveva in una regione tra Palestina e Siria, dal nome di Cancan (l’odierno Libano), il cui significato, era, appunto, “Terra della porpora”, ed il loro stesso nome, Fenici (Phoìnikes) fu un appellativo assegnato loro dai Greci e derivante dalla parola phoìnix, che significava “rosso”, molto probabilmente non per indicare la carnagione scura della popolazione ma la tintura rosso-porpora che li rese ben famosi. La produzione della porpora fu per molto tempo un loro monopolio esclusivo tanto che trassero da esso, oltre che abbondante fama, anche un certo vantaggio economico. Tale colorante fu particolarmente apprezzato perché bello, indelebile ed utilizzato su varie stoffe (lana, lino, cotone) di produzione locale o importate da zone limitrofe.
La pesca dei molluschi
La pesca dei molluschi da cui si estraeva tale tintura si effettuava con metodi particolarmente ingegnosi: un metodo consisteva nel calare in mare lunghe corde intrecciate su cui venivano appesi dei sonagli alternati a nasse di giunco e pezzi di sughero in modo da mantenere la fune lievemente al di sopra del fondo marino. I molluschi, così, attratti dai luccichii, si infilavano nelle nasse, da cui, però, non riuscivano più ad uscire, mentre in un altro metodo venivano calate a mare nasse con all’interno molluschi bivalvi quali cozze, o esclusivamente queste ultime legate in modo naturale a funi tramite il bisso, una secrezione filamentosa prodotta, appunto, dagli stessi molluschi per legarsi a substrati rigidi. I mitili, essendo organismi filtratori, per sopravvivere si aprono leggermente costituendo una preda gustosa per i Muricidi, che infilano in quest’apertura la loro radula (una sorta di lingua), ed è a questo punto che i bivalvi, disturbati, si richiudono violentemente, lasciando gli esemplari di Murex penzolanti e pronti per essere catturati.
Il processo di estrazione
Per ottenere una buona dose di porpora, necessaria per la tintura di anche un solo capo di grandi dimensioni quali vesti o tuniche, occorrevano migliaia (si suppone 10.000!) di esemplari, di conseguenza tale tinta fu, sin dall’epoca dei Romani, simbolo di massimo potere o smisurata ricchezza, e le uniche persone che potevano permettersi o ricevevano un indumento tinto di quel colore erano i generali vittoriosi in guerra e gli imperatori; buoni clienti dei Fenici furono anche i sacerdoti ebrei, senza tralasciare che per tutto il Medioevo il colore rosso, in tutte le sue gradazioni e sfumature, fu il simbolo delle persone importanti e facoltose, pure in ambito religioso (ricordiamo, ad esempio, i “porporati” della Chiesa cristiana, cioè i cardinali). Il processo di estrazione della porpora è riportato con dovizia di particolari dallo scienziato latino Plinio il Vecchio nel libro IX della sua Naturalis Historia, 60-61. I molluschi, una volta catturati con i metodi succitati, venivano rovesciati in ampie piscine situate ai sobborghi delle città, dove venivano fatti morire in acqua dolce per accelerare il processo, dal momento che tali organismi riescono a sopravvivere a secco, fuori dall’acqua di mare, fino a circa 50 giorni.
I murici, inoltre, dovevano essere catturati vivi poiché l’emissione del succo è contemporanea alla morte. A questo punto veniva estratta la parte molle (ricordiamo che la porpora viene estratta da una particolare ghiandola presente nel corpo dei gasteropodi) che veniva spremuta (specialmente negli esemplari di minori dimensioni) e mescolata con acqua marina o semplicemente con sale in proporzione adeguata all’intensità di rosso di cui si necessitava. La poltiglia ricavata, poi, veniva esposta per tre giorni all’azione del sole ed il succo, infine, veniva fatto bollire a fuoco lento in vasi di piombo per una durata di circa 10 giorni in modo da farlo restringere ancora di più. La sostanza, dopo il suddetto processo, appariva densa e vischiosa ed emanava un odore talmente nauseante e pestilenziale che si narra che in alcuni periodi dell’anno le vie di Tiro (una delle città più famose per la produzione di porpora) fossero irrespirabili. Solo a questo punto vi si immergevano i panni, che assumevano, così, una volta asciugati, colori bellissimi di tonalità diverse, dal rosa chiaro al violetto scuro. Ne era sconsigliato, invece, l’uso per le tecniche pittoriche, anche se, in seguito, fu usato sotto forma di “purpurissimum”. Nel processo sopra elencato è importantissima l’azione chimica della luce. Ricordiamo, infine, che anticamente la porpora era conosciuta con i più disparati nomi, tra cui ricordiamo Ostro Sidonio, Ostrum, Purpurina, Fuco, Tyria Purpurea.
I Muricidi e la porpora
I molluschi che anticamente erano utilizzati per la produzione di tale sostanza erano principalmente quattro, tutti appartenenti alla famiglia dei Muricidae: Bolinus brandaris (Linné,1758), Hexaplex trunculus (Linné,1758), Ocenebra erinaceus (Linné,1758) e Stramonita haemastoma (Linné,1766).
La famiglia dei Muricidi è una delle predilette dai collezionisti per la varietà di dimensioni, forme e colori dei suoi rappresentanti, in particolare quelli dei mari tropicali. Misurano all’incirca dai 6 ai 300 mm, possono avere forme globose o affusolate, presentare spine o aculei, noduli, cordoni spirali, ramificazioni, inoltre spesso all’interno della stessa specie è presente un’accentuata variabilità individuale. Quello che accomuna specie morfologicamente così diverse tanto da farne un’unica famiglia sono le caratteristiche anatomiche quali radula, organi interni, opercolo, ecc. Tale famiglia comprende molti generi (circa 100) e moltissime specie (circa 1000) distribuite in tutti i mari del mondo; nel Mediterraneo, secondo l’ultima check-list aggiornata all’anno 2000, se ne contano circa 32 specie suddivise in 19 generi.
Tutti i Muricidi sono carnivori e si cibano di pesci o di altri molluschi (predatori liberi), secernendo una sostanza acida che permette loro di perforare altre conchiglie con modalità simile a quella dei Naticidi (altra famiglia dei gasteropodi); un tipico esempio è costituito dalla Rapana venosa (Valenciennes,1846), introdotta per errore dall’Asia Orientale nel Mediterraneo e che sta arrecando notevoli danni ai mitilicoltori, specie dell’Adriatico.
I Muricidi, infine, depongono generalmente uova in capsule ammassate di consistenza papiracea che vengono spesso erroneamente chiamate spugne.