Perché non si impara la matematica? La necessità di organizzare il recupero in matematica, ovvero il tentativo di fare capire la matematica allo studente che non riesce a capirla durante le lezioni “normali”, rimanda a un problema ben più importante: perché molti studenti non capiscono la matematica?
Prima di tentare una risposta è bene fissare un punto di partenza non confutabile: tutte le riforme e le rivoluzioni nel modo di insegnare questa disciplina non hanno minimamente intaccato la rocciosa difficoltà di questo problema.
Tutte le statistiche e le ricerche realizzate nei paesi che, a differenza dell’Italia, hanno imboccato con grande determinazione la strada del riformismo matematico, stanno a dimostrare che le fortunate generazioni nutrite di insiemi, di logica, di matrici e, naturalmente, di programmazione strutturata hanno una preparazione matematica non superiore o, in non pochi casi, addirittura inferiore a quella posseduta dai loro sventurati predecessori tirati su con massicce dosi di algebra, di espressioni o di teoremi euclidei. Forse, ultima, disperata speranza dei matematici modernisti, la piccola minoranza degli studenti contemporanei che sa molto bene la matematica è più preparata della corrispondente piccola minoranza di un tempo. La verità di questa affermazione verrà messa alla prova nei prossimi decenni. Per ora accontentiamoci di una constatazione sintetica e brutale: ieri come oggi una fetta imponente di esseri umani vede nella matematica una occasione di grande sofferenza, un modo artificioso di ragionare, una montagna inaccessibile di invenzioni astratte e inutili, in una parola, qualcosa di profondamente innaturale.
La matematica da cucina
Seymour Papert nella sua opera divulgativa più recente (1) ripresenta la sua nota proposta: la matematica scolastica è troppo astratta. Occorrre sostituirla con un’altra matematica, fondata sulla manipolazione e sul bricolage. La “matematica da cucina”, appunto (così l’autore battezza questa ennesima utopia empirista anglosassone). La visione di Papert contiene un nucleo di innegabile verità: la matematica non è una torre inaccessibile; essa, al contrario, è una cultura, uno stile intellettuale, una fra le numerose culture possibili. Altre culture, come quella fondata su procedure concrete e manipolative, si muovono a partire da principi e da paradigmi completamente diversi. Ecco perché molti studenti (e molti adulti) non capiscono la matematica. Ma contrariamente a quanto pensa Papert, un assorbimento della matematica nella cultura pratico-manipolativa avrebbe come conseguenza un veloce collasso di ciò che intendiamo per razionalità. Forse tutto ciò porterà a una grande riforma intellettuale dove intuizione e astrazione finalmente si incontreranno, ma un insegnante deve affrontare in tempi brevi problemi concreti molto seri. Affrontare il recupero degli studenti che non riescono a seguire il programma curricolare con la matematica da cucina significa, presto o tardi, arrivare alla “matematica degli avanzi”, ovvero a scodellare un programma degradato il cui esito finale sarà la sanzione ufficiale dello svantaggio. Forse, a volte, questa è la soluzione inevitabile, ma è bene lasciarla come ultima spiaggia. Da queste considerazioni si possono dedurre le prime due regole:
Regola 1.
Di fronte a uno studente che non capisce la matematica non ci sono scorciatoie; in particolare è bene evitare di inventarsi una matematica semplificata e mutilata: il risultato, di solito, è un disastro.
Regola 2.
A volte questa scelta è drammaticamente inevitabile; se occorre produrre un programma ridotto e semplificato da usare nel recupero è bene che tale operazione sia il risultato di una programmazione realizzata da più insegnanti (2).
La “matematica del callo”
Secondo i numerosi teorici della pedagogia del callo, i problemi scolastici si risolvono picchiando e ripicchiando sempre nello stesso punto. Alla fine qualcosa si ottiene sempre. In termini di recupero questa grintosa filosofia si traduce in una tenace replica della scena già recitata al mattino: «Tu non capisci la matematica perché sei colpevole o, forse, perché sei vittima di un incantesimo. Io ti ripeto le stesse cose che ho detto durante la lezione del mattino e voglio vedere se non capisci!».
Può sembrare una battuta, ma gran parte dell’attività di recupero viene realizzato proprio su questa base, eterna e massiccia. Se la posizione di Papert (e le sue versioni italiche, pie e solidaristiche) si basa su una eccessiva enfatizzazione dello studente svantaggiato come portatore di cultura “altra” (alla quale adattare la matematica secondo i principi dei fautori della “diversità”), i pedagoghi del callo negano ogni posizione attiva allo studente che non segue i ritmi.
Mettiamoci ora nei panni di un insegnante, o di un preside, che deve organizzare il recupero collaborando con insegnanti fautori della pedagogia del callo. E’ bene tenere presente queste altre regole:
Regola 3.
Se in una classe una percentuale consistente di studenti ha difficoltà nell’apprendere la matematica, evitare di affidare l’attività di recupero all’insegnante del mattino.
Regola 4.
Solo in casi di difficoltà lievi il recupero come ripetizione funziona.
Regola 5.
Il recupero di matematica generalmente deve essere cosa completamente diversa dalla ripetizione.
Individuare i nuclei
Due sono i modi per entrare in contatto con una cultura aliena: o praticarla o individuarne i nuclei ovvero i concetti strategici. Il primo modo è quello ideale, ma richiede troppo tempo. Il recupero di matematica deve quindi sfruttare il secondo: ruotare attorno all’individuazione dei nuclei strategici, ovvero deve fare ciò che troppo spesso la didattica “normale” non fa. Nell’insegnamento quotidiano, infatti, l’acquisizione del sapere appare quasi sempre come la ricognizione di una pianura omogenea. Il recupero deve ridare il senso dell’orografia: le nozioni insegnate non sono tutte uguali. Ci sono concetti decisivi e concetti irrilevanti. Agli studenti in difficoltà occorre insegnare i primi trascurando i secondi. Uno studente recuperato efficacemente può, al massimo, arrivare a una conoscenza essenziale e scheletrica. La carne verrà dopo, se verrà. Ecco allora, altre tre regole:
Regola 6.
Le cose essenziali da imparare in un programma scolastico di matematica sono molto poche e molto importanti. E’ bene sottolineare l’importanza di questa regola, in un tempo in cui i programmi e i libri di testo si modificano secondo un’ambizione enciclopedica. L’attività di recupero può essere, almeno per la matematica, l’occasione per imporre una dieta brutale ai programmi.
Regola 7.
Chi progetta un’attività di recupero deve partire da un’analisi profonda e radicale della disciplina e salvare l’essenziale, ovvero il concetto di funzione e le sue più importanti incarnazioni.
Regola 8.
L’attività di recupero non può seguire come un’ombra l’attività curricolare: deve muoversi sulla base di un’economia di lungo periodo. Il ruolo dei concetti strategici è proprio questo: funzionare come correnti di fondo ed emergere solo in alcuni momenti. Il recupero di matematica, insomma, è forse l’occasione di sperimentare una reimpostazione dell’insegnamento. Solo quando gli insegnanti si saranno abituati a distinguere l’essenziale dal secondario potranno applicare metodi innovativi. Le rivoluzioni metodologiche senza l’applicazione di un “rasoio” sono quasi sempre esercitazioni manieristiche.
Note
(1) S. Papert, The Children’s Machine, HarperCollins, New York, 1993; trad. it. I bambini e il computer, Rizzoli, Milano, 1994
(2) A proposito della diversa opinione degli insegnanti di matematica della secondaria superiore riguardo a quelle che sono le abilità fondamentali cfr. R. Bolletta, Matematica, didattica, valutazione: osservazioni a margine, in “Quaderno di RES”, n.5, febbraio 1995, p. 26 e sgg.